venerdì 10 maggio 2013

I giovani precari di oggi saranno i vecchi poveri di domani


Si dice spesso, di questi tempi, che è molto alta la probabilità che chi è giovane e precario oggi sarà un vecchio povero domani.[1] Questa affermazione necessita ad ogni buon conto di un riscontro. In linea generale si arriva a questa conclusione attraverso un ragionamento molto semplice, a dir poco banale: per avere una pensione bisogna lavorare un certo numero di anni e versare una certa quantità di contributi previdenziali. C’è quindi un legame strettissimo tra la qualità della vita lavorativa e ciò che si andrà a prendere di pensione, se una pensione si prenderà.
L’attuale condizione lavorativa dei giovani, segnata dal ritardo con cui si entra nel mondo del lavoro e dalla sua discontinuità, dà la garanzia di una pensione sicura e dignitosa? Per rispondere a questa domanda è necessario innanzitutto comprendere quali sono le regole in materia di previdenza oggi vigenti in Italia[2].
Com’è noto, l’ultimo intervento sul nostro regime pensionistico è stato fatto dal governo dei tecnici, presieduto dal professor Monti. In estrema sintesi la riforma ha previsto un’accelerazione del passaggio dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo. Se prima l’importo della pensione veniva calcolato in percentuale alle ultime buste paga percepite dal lavoratore, d’ora in avanti esso sarà calcolato soltanto sulla base dei contributi effettivamente versati. Scomparirà inoltre la pensione di anzianità, quella che si maturava combinando un certo numero di anni contributivi con l’età anagrafica. Adesso, per andare in pensione, a valere saranno solo gli anni di contribuzione: 41 anni e un mese di contributi per le donne e 42 anni e un mese per gli uomini. Continua su Economia e Politica