Nella sterminata sala stampa il dibattito è sulla definizione di che tipo di fallimento sia stato questo vertice: netto, incoraggiante, irresponsabile. Così si chiude, con una stanchezza e un senso di rassegnazione sulla sua incapacità di decidere, il quinto vertice del G20 di Seoul. Sembra ormai storia il summit di Londra, tenutosi solo 18 mesi fa, quando i toni dei venti leader nelle conferenze stampa finali era carichi e netti. Oggi si cerca di convincere una platea mondiale sempre più scettica che si stanno facendo passi avanti e che in un mondo multipolare i contrasti sono inevitabili. Barack Obama, l'incantatore del cambiamento, è quello che sembra avere maggiori difficoltà – oltre ovviamente al nostro premier che lascia Seoul alla chetichella, senza rilasciare neanche una dichiarazione.
Anche il vulcanico Nicolas Sarkozy, dopo il braccio di ferro irrisolto tra Usa, Cina e Germania sulle monete e gli squilibri globali, non può promettere miracoli per il prossimo G20 previsto in Francia nel novembre 2011. Appuntamento al quale il comunicato finale rimanda per la gran parte degli accordi ancora da trovare.
Ma alla chiusura di questo primo vertice in Asia si avverte qualcosa di strutturalmente diverso. Nonostante le tensioni e i conflitti tra i governi non mancassero nemmeno a Londra, i principali attori sembravano presi dal gioco e dalla novità della tipologia di forum. L'effetto Obama si faceva sentire e le parole cambiamento e regole erano sulla bocca di tutti. Diversi ipotizzavano tempi già maturi per una nuova Bretton Woods, ossia la definizione di un nuovo sistema monetario e finanziario internazionale.
Da allora lo sviluppo della crisi economica e sociale ha sparigliato le carte. Le agende nazionali hanno preso il sopravvento sulle priorità internazionali, ma soprattutto i paesi avanzati hanno avuto problemi a gestire la crisi a casa propria. Con l'eccezione della Germania, la “Cina d'Europa”, la quale, con gli squilibri macroeconomici che induce su scala regionale, oramai controlla l'intera Unione Europea.
Il problema di come creare di nuovo lavoro attanaglia gli altri governi occidentali. Negli Usa il vento politico è cambiato fino all'indebolimento di Obama, sancito dalla recente sconfitta alle elezioni di medio termine. Il Presidente Usa prima di partire per il vertice Apec in Giappone ha provato nuovamente ad incantare la platea, scherzando sul cinismo della stampa che esaspera i conflitti, ma il suo buonismo globale questa volta non ha convinto. Ha preteso che i progressi raggiunti a Seoul siano stati ispirati dagli Usa, che nonostante le difficoltà guiderebbero ancora la locomotiva mondiale. Un bluff, come l'intero processo G20.
Sul fronte del Sud del mondo, la situazione è evoluta in maniera diversa. Gli impatti reali della crisi ci sono stati anche nei paesi emergenti, ma la necessità di rifocalizzarsi sul proprio sviluppo interno ha aiutato a trovare subito una via di stabilità. La possibilità, soprattutto in Asia, di avere ancora in piedi strumenti quali il controllo dei capitali ha protetto dal peggio. Così la partita degli emergenti si è rapidamente spostata in via bilaterale sia con l'Unione Europea che gli Stati Uniti, nonché su scala regionale lì dove possibile. Per questo oggi in fin dei conti rispetto al G20 sembrano quasi più importanti il dialogo strategico Usa-Cina o i negoziati di nuovi accordi di libero scambio.
Dietro al G2 (Usa-Cina) seguono solamente Germania e India, mentre Russia, Brasile e Francia non rinunciano a giocarsi la partita seppur con armi più spuntate. Tutti gli altri sono fuori dal gioco. Impensabile solo due anni fa che Inghilterra e Giappone sarebbero diventate quasi irrilevanti in questi processi politico-economici globali. In questo scenario, tutti sanno che prima o poi ci si dovrà sedere ad un tavolo più ristretto per negoziare, ma per il momento le urgenze nazionali o regionali vengono prima. Solamente nuovi forti scossoni finanziari o un colpo di coda della recessione potrebbero accelerare il processo. Così il dollaro resterà ancora moneta di riferimento, ma i veri flussi finanziari e di capitale verso l'Asia prepareranno pian piano la transizione e la forma del tavolo su cui saranno scritte le nuove regole.
di Antonio Tricarico
Fonte: Campagna per la riforma della banca mondiale(CRBM)
Nessun commento:
Posta un commento