Anche
il Financial Times, con W. Münchau, dice in chiaro che il problema principale
dell’Italia è proprio l’euro. Le tanto invocate riforme strutturali potranno
ben poco senza i necessari cambiamenti nella governance della moneta unica –
cambiamenti che Renzi non può controllare e che appaiono politicamente
improponibili.
Come
riporta il FT, Matteo Renzi sta per realizzare la sua grande ambizione. Ma il
difficile viene proprio ora. Ecco come viene descritta la situazione che
troverà:
"Il nuovo Primo Ministro Italiano avrà il compito più difficile di tutta l’Europa. Una volta confermato, governerà un paese con tre fondamentali problemi economici: un debito molto grande; nessuna crescita; e l’appartenenza a un'unione monetaria disfunzionale.
La situazione è economicamente insostenibile. A meno che l'Italia non ritorni a crescere, il suo debito diventerà sempre più paralizzante, rendendo in definitiva impossibile la sua posizione nell'eurozona. Il lavoro del premier è difficile, ma può essere descritto semplicemente: cambiare una o più di quelle tre variabili – senza lasciarsi alle spalle un disastro."
Münchau giudica
che l'atteggiamento del predecessore Letta fosse davvero troppo
attendista, ma ora la domanda da porsi è: Renzi ha una comprensione
sufficientemente chiara di ciò che deve essere fatto, e dispone di una
maggioranza parlamentare abbastanza grande da sostenerlo attraverso la palude
delle riforme?
"La risposta standard su ciò che l'Italia ha bisogno di fare prevede una qualche combinazione di riforme economiche e consolidamento fiscale.
E la risposta non è completamente sbagliata. In Italia c’è un gran bisogno di riforme strutturali, ma dubito che esse sarebbero sufficienti. Per rendersene conto, giova ricordare quanto deludente sia l’andamento economico dell'Italia. Secondo i miei calcoli, il Prodotto Interno Lordo dell'Italia è ora del 15% sotto il trend che l'economia aveva durante gli anni novanta. Non è la crisi finanziaria che ha fatto danni in Italia. È l'euro stesso.
Se
si perde il 15 per cento di qualcosa, bisogna crescere di
circa il 18 per cento per ritornare al punto di partenza. E'
un po' come prendere un treno in corsa. Questo numero è una
misura approssimativa della dimensione del compito del signor Renzi.
Non voglio dire che il PIL dovrebbe aumentare di quell'ammontare nei prossimi quattro anni. Questo è impossibile. Ma bisognerebbe riportare il Paese su una traiettoria che alla fine chiuderà il gap - o almeno la maggior parte. Eppure, anche questa è un'ardua impresa. Si tratta di un aggiustamento più grande di quello messo in atto dalla Germania, o di quello che sta iniziando la Francia proprio ora.
Quanto
possono incidere le riforme strutturali? Un ottimista citerebbe studi come
quelli di Lusine
Lusinyan e Dirk Muir del Fondo Monetario Internazionale. Immaginiamo
un universo parallelo in cui l’Italia implementi una vasta gamma di riforme
strutturali e del mercato del lavoro in questo preciso istante. Secondo gli
autori, questo alla fine aumenterebbe il PIL del 13 per cento rispetto a quello
che sarebbe stato in assenza di riforme. È interessante, e contrario alla
percezione comune, constatare che le riforme del mercato del lavoro contano
meno delle misure sul mercato dei prodotti, come la liberalizzazione dei
servizi. Se si aggiungono le riforme fiscali, l'impatto potrebbe arrivare fino
al 20 per cento. Missione compiuta.
Ma dubito che questi numeri siano realizzabili. Per cominciare, le riforme non vengono mai totalmente implementate – certamente non da un governo di coalizione italiano. Anche in Germania 10 anni fa le riforme non sono state attuate nel modo in cui erano state proposte.
Inoltre, le previsioni a lungo termine sono sempre ipotetiche. Non sappiamo se l'economia si comporterà allo stesso modo che nel passato, ora che i tassi di interesse sono prossimi allo zero e il settore bancario è disfunzionale. Correlazioni consolidate tra le variabili economiche potrebbero cominciare a non essere più valide.
Le riforme, per quanto possano essere necessarie, non possono fare tutto il duro lavoro da sole. Per mantenere l'Italia nell’eurozona, il signor Renzi dovrà anche ottenere aiuto dalla Banca Centrale Europea. E questo significa che avrà bisogno di incidere sul dibattito macroeconomico all'interno dell'UE.
Devono
verificarsi quattro fatti, e non tutti sono sotto il controllo di Renzi.
In
primo luogo, l'inflazione dell'Eurozona non deve più rimanere costantemente al
di sotto del valore obiettivo, come è stata negli ultimi tempi. In secondo
luogo, l'Italia ha bisogno di tassi d'interesse più bassi, il che
richiederebbe ulteriori misure non convenzionali. Terzo, le banche traballanti
devono essere ristrutturate e quelle che vanno a pezzi devono essere chiuse, e
va istituita una "bad bank". Quarto, le massicce eccedenze
commerciali in Germania e Olanda dovranno scendere. Questi surplus stanno
rendendo estremamente difficile e doloroso il riaggiustamento per la periferia
dell’eurozona. Mr. Renzi dovrebbe incanalare meglio il suo spirito ribelle e
rivolgerlo verso i suoi vicini del Nord."
Per
Munchau, di fatto, tutte queste circostanze non dipendono da Renzi,
se non in minima parte, anzi la fattibilità politica di molte tra queste è
praticamente nulla. Basti pensare all'atteggiamento tedesco nei confronti delle
misure per alzare l'inflazione, o alla probabilità che i paesi "core"
rinuncino alle loro eccedenze commerciali conquistate a caro prezzo. La
conclusione, dunque, è che Renzi per avere successo avrebbe bisogno di una
grande dose di fortuna:
"Perché
l'economia italiana torni su un percorso sostenibile nell'eurozona, Mr. Renzi
dovrà mettere ordine nelle banche e affrontare i suoi partner europei. I suoi
predecessori potrebbero aver atteso troppo. Il compito potrebbe ora essere
semplicemente impossibile. Per avere successo, Mr. Renzi avrà bisogno di
abilità, lucidità, determinazione e, soprattutto, di un sacco di fortuna."
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