Gli
impegni europei presi dal governo Monti e confermati da Letta stanno per dare i
loro " frutti". A settembre verremo massacrati con una finanziaria
immonda e portatrice di fame. La sistematica distruzione del nostro disgraziato
popolo non è ancora stata totalmente compiuta, biosgna fare di più, le belve di
Bruxelles chiedono più " sangue". Questa è la drammatica realtà, chi
fa finta di non vederla è complice: una scelta di campo è inevitabile: o con i
banchieri o contro i banchieri. Claudio Marconi
Dietro
gli inni di "vittoria" lanciati da Letta per la fine della procedura
di infrazione Ue, si avvicina il precipizio della manovra finanziaria
d’autunno. Dopo l’ultima riunione del Consiglio Europeo, il Presidente del
Consiglio _Enrico_ Letta ha cantato vittoria e lanciato messaggi di grande
ottimismo sul futuro dell’economia e delle finanze pubbliche italiane.
Purtroppo, si tratta soltanto di una pura operazione propagandistica tesa a
guadagnare qualche settimana di relativa tranquillità prima della bufera. Alla
vigilia delle ferie estive il clima politico è dominato dall'incertezza. La
maggioranza delle “larghe intese” sembra turbata dalle vicissitudini
giudiziarie di Berlusconi. In realtà, le questioni vere sono ben altre. La mina
che sta per esplodere sotto le poltrone del Governo è la manovra finanziaria
del prossimo autunno, che allo stato attuale si annuncia imponente e
difficilmente realizzabile senza un massacro sociale senza precedenti. Si sta
facendo di tutto per nascondere il problema ma basta fare un po’ di conti,
avendo in mente il quadro complessivo della situazione macroeconomica, per
capire la situazione. Il deterioramento tendenziale del bilancio pubblico, che
dovrà essere corretto a settembre con la prossima legge di stabilità, deriva da
due fattori, il primo legato all'andamento macroeconomico e il secondo ai
vincoli programmatici sulla cui base il Governo Letta si è costituito.
Analizziamo con ordine cosa significano questi due vincoli.1) Il rispetto degli
impegni assunti con l’Unione Europea, sanciti dalla legge di stabilità 2013 e
ripetutamente confermati dall'attuale ministro dell’Economia Saccomanni,
prevede un indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari al 2,9% nel
2013 e all’1,8% nel 2014.
La declamata flessibilità del bilancio pubblico
derivante dall'uscita dell’Italia dalla procedura europea per deficit eccessivo
non modifica in nulla questi impegni già assunti. Il problema è che queste
cifre derivano da previsioni macroeconomiche che si sono rivelate fallaci perché
distorte in senso ottimistico. Esse infatti si basano su una stima
dell’andamento del PIL pari ad una flessione dell’1,3% nel 2013 e ad una
crescita dell’1,3% nel 2014. La realtà che si sta prospettando è ben diversa.
Le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, formulate in modo
benevolente nei confronti dell’attuale Governo, prevedono nel 2013 un calo del
PIL dell’1,9% e per il 2014 un incremento di appena lo 0,7%. La prossima legge
di stabilità non potrà discostarsi troppo da queste previsioni. In termini di
correzione tendenziale del bilancio pubblico ciò comporta la necessità di
reperire nuove risorse per _5_ miliardi di euro nel 2013 e di _6_ miliardi di
euro nel 2014. Quindi, soltanto a causa dell’aggravamento della crisi
economica, la copertura necessaria per raggiungere gli obiettivi di bilancio
ammonta a _11_ miliardi di euro.
2) L’accordo programmatico che ha consentito la
nascita del Governo Letta prevede due misure di carattere fiscale: l’abolizione
dell’IMU sulla prima casa e l’annullamento dell’aumento delle aliquote IVA che
doveva scattare dallo scorso 1° luglio. Con due decreti-legge il governo si è
finora limitato a posticipare la riscossione di queste tasse, con coperture
transitorie. Entro la fine di settembre occorrerà assumere una decisione
definitiva su entrambe. Dalle relazioni tecniche, che hanno accompagnato i
decreti-legge, si evince che l’abolizione dell’IMU necessita di una copertura
di 4,08 milardi di euro l’anno e quella dell’IVA di 2,12 miliardi per sei mesi.
Il che vuol dire che prima della fine del 2013 occorre reperire 6,2 miliardi di
euro a cui vanno sommati gli 8,22 miliardi per il 2014, per un totale di 14,42
miliardi di euro.
I conti sono presto fatti. Soltanto per il rispetto
dei vincoli europei e degli impegni programmatici fondamentali, la prossima
legge di stabilità deve prevedere una copertura pari ad oltre _25_ miliardi di
euro rispetto all’andamento tendenziale dei conti pubblici. A questo bisogna
aggiungere come minimo il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga
per il 2014 e risorse aggiuntive per il problema degli esodati. Non è difficile
prevedere che l’entità della prossima manovra finanziaria si aggirerà intorno
ai _30_ miliardi di euro, pari a circa il 2,3% del PIL. Una manovra imponente,
la cui quantificazione si basa sull’ipotesi di una situazione di relativa
tranquillità sui mercati finanziari, con uno spread tra i titoli di Stato
italiani e tedeschi attestato intorno alle attuali cifre di 270 punti. Se
invece, come il recente downgrading del rating italiano da parte di Standard
& Poor lascia presagire, le cose dovessero peggiorare su questo fronte, la
prossima manovra finanziaria arriverebbe a sfiorare addirittura i _35_ miliardi
di euro, pericolosamente vicina alla stangata storica del Governo Amato del
1992, subito dopo la svalutazione della lira.
In autunno tutti i nodi
politici verranno al pettine. Lo scivolamento verso uno scenario greco, fatto
di una spirale perversa di tagli alla spesa pubblica/inasprimento fiscale e
caduta del PIL, diventerà una tendenza irreversibile anche per l’Italia. Siamo
sull’orlo del precipizio. A sinistra ci sarà qualcuno che dirà che non bisogna
tagliare la spesa per la sanità, la scuola, l’università, gli enti locali e il
resto dello stato sociale ma bisogna combattere l’evasione fiscale, tassare i
ricchi, rinunciare alle grandi opere e ai cacciabombardieri. Rivendicazioni
giuste e sacrosante. Ma non bastano più. Neanche in questo modo si possono
recuperare 35-40 miliardi di euro in pochi mesi, come la mia esperienza diretta
in materia di formazione del bilancio pubblico, svolta anche come relatore
della legge di bilancio alla Camera dei Deputati, mi dice.
Senza
rimettere in discussione i vincoli europei e le modalità di finanziamento del
deficit pubblico, oggi costituite solo da emissione di titoli di debito per il
mercato privato, non esiste via d’uscita. Le scorciatoie propagandistiche non
funzionano più, di fronte al degrado della situazione sociale, alla sofferenza
sempre più acuta delle persone in carne ed ossa.
Tutto ciò pone, alla sinistra
in primo luogo, la questione dell’appartenenza all’area dell’euro, così come
essa è oggi attualmente configurata. Si troverà qualcuno che avrà il coraggio
di dire che il bilancio pubblico deve essere costruito sulla base delle
esigenze del popolo italiano, dei lavoratori ed anche della gran parte delle
imprese italiane, e non sulla base dei diktat dei mercati finanziari
internazionali? E se questo vuol dire addio all’euro, ebbene così sia. Sappiate
tutti che non moriremo per l’euro.
Scritto
da: Andrea Ricci – Fonte: contropiano.org
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