Lo
scandalo delle multinazionali produttrici di chemioterapici è ormai scoppiato
grazie anche a medici coraggiosi e a stampa non addomesticata, in testa
l’inchiesta di Jon La Pook della CBS News. Sarebbero moltissime le aziende che
per ragioni di affari avrebbero smesso di produrre farmaci antitumorali di
lungo corso, economici ed efficaci per lanciare prodotti di punta che sono
invece costosissimi.
La denuncia arriva in Italia anche dallo Sportello dei Diritti che documenta la mancanza anche nel nostro Paese di farmaci considerati efficaci per diverse tipologie di tumore. Sono diventati difficili da trovare medicinali come la carmustina, utile nei trapianti di midollo, il 5- fluoro uracile per i tumori dell’apparato gastrointestinale e poi ancora la bleomicinasata per i tumori del testicolo e linfomi e la doxorubicina liposomiale utilizzata nel cancro dell’ovaio e nel mieloma.
Se è vero soprattutto nella ricerca medica che la sperimentazione e la ricerca debbano andare avanti alla ricerca di farmaci sempre più mirati e con meno effetti collaterali, è vero altrettanto che le cure sperimentali non possono diventare di colpo l’unica prescrizione possibile per i pazienti, soprattutto se questo implica che i colossi produttori guadagnino enormemente dalla manovra.
Stando così le cose infatti, il confine tra deontologia e affari salta del tutto a scapito dei soli ammalati. Un po’ come è già accaduto sull’interferone e su alcuni suoi dosaggi ormai commercializzati solo oltre confine, perché riservati a una quota troppo ristretta di popolazione. E’ per questo che sono molti gli oncologici e le associazioni che si sono mobilitati per chiedere un intervento del Ministero della Salute e dell’AIFA.
C’è chi propone addirittura l’interruzione di produzione dei nuovi farmaci biologici per fare spazio a quelli “tradizionali”. Si tratterebbe forse, in questo caso, di una misura eccessiva, con il rischio di ostacolare le novità farmacologiche che pure è giusto lanciare e sondare. La stranezza è che per le multinazionali del farmaco possano valere delle logiche di ricambio della linea di prodotto al pari, se non peggio, di chi produce cellulari o televisioni come se gli utenti finali non fossero dei pazienti da curare ma persone che consumano.
La logica del business di chi produce cure può non essere quella di una fondazione
La
bandiera delle novità di cure è una facciata ipocrita al business, tant’è che
non vale più tanto quando presunte cure efficaci e nuove non vengono dai
laboratori occidentali e non fanno guadagnare i soliti colossi. Non c’è bisogno
di scomodare l’Escoazul cubano, ma basta arrivare in Germania e Svizzera dove
da tempo ai pazienti ammalati di cancro vengono proposte cure parallele di tipo
fitoterapico complesso che in Italia non solo sono impossibili da reperire, ma
vengono accompagnate da una pessima pubblicità. La novità di cura quindi vale
la pena, a quanto pare, solo quando promette picchi di profitto, ancor
più promettenti se estesi a larga scala.
Non importa se intanto i vecchi farmaci, ormai quasi irreperibili, fossero ancora in grado di curare tante neoplasie con successo e a costi bassi per i governi. Le multinazionali del farmaco non accettano rischi di investimento e sulla malattia del secolo tentano la scalata numero uno. Quindi vogliono il business senza rischi e pretendono di farlo sulla vita e la morte di tante persone, visto che il cancro è tutto tranne che una malattia rara. Cosi come è stato per l’HIV del resto, salvo poi prendere una sonora bocciatura dagli indiani e dalla loro farmacia sostenibile per il Sud del mondo.
La parola spetta alla politica e ai governi. Per ricordare che il guadagno sui
farmaci ha dei limiti etici invalicabili. Gli stessi che, trasgrediti, hanno
fatto nascere migliaia di bambini focomelici con il Talidomide. Gli stessi che
ci danno il legittimo sospetto di pensare che tra la ricerca e le aziende del
farmaco ci sia più che un’alleanza, una gerarchia di comando. Che diventa
pericolosa e fatale per la libertà dove le Istituzioni non ricordino con
sufficiente chiarezza che in un sistema di civiltà la salute non è - e non
potrà essere mai - una voce di bilancio.
di
Silvia Mari
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