L'emergenza
non è archiviata. Una petizione chiede al Giappone di trattare con maggiore
trasparenza la situazione. Intanto, nessuno sa dove siano finiti i
"noccioli" di tre reattori e a Fukushima Daiichi, centrale in
funzione da oltre 40 anni, ci sono circa undicimila barre di combustibile
“spento”, un micidiale mix di uranio e plutonio.
Ormai nessuno ne parla più. E non solo sui media italiani, notoriamente poco propensi a
seguire con continuità eventi stranieri, aldilà dell’emergenza. Eppure a Fukushima l’emergenza è tutt’altro che
archiviata. E se mantra, scongiuri e menzogne del governo sono riusciti a
convincere il Cio ad affidare le Olimpiadi del 2020 a Tokyo, la
realtà è quella che è e va, di tanto in tanto, ricordata. La situazione di Fukushima – dove proprio in questi giorni è
iniziata una delle operazioni più delicate e pericolose (il trasferimento di
migliaia di barre di uranio altamente radioattive dalla cosiddetta
“piscina” del reattore n.4, l’unico a non avere subito il meltdown perché all’epoca era spento) non ha
precedenti per quanto è successo, quanto sta succedendo e quanto potrebbe
ancora succedere.
Un incubo che coinvolge non solo i
poveracci che ci lavorano dentro e la popolazione locale, ma l’intero Giappone e l’intera comunità internazionale,
come giustamente continuano a denunciareGreenpeace e altre organizzazioni internazionali
composte non solo solo da attivisti antinucleari, ma da fior fiore di
scienziati come Arnie Gundersen e Harvey Wasserman.
Date un’occhiata a Fairewinds.org e all'appassionata denuncia della situazione, con annessa petizione da firmare on line. La petizione è già
sul tavolo di Ban Ki Mon, segretario
generale dell’Onu e
davvero non si capisce perchè l’Onu, a questo punto, non imponga al Giappone di trattare e gestire la questione con
maggiore senso di responsabilità e trasparenza. In sintesi, possiamo dire che a
Fukushima, a quasi tre anni dalla catastrofe, sussistono tre grandi problemi.
1 – Non si sa dove siano finiti i “noccioli” di tre reattori. Davvero.
Non si sa.
2 – Continuano, senza sosta, le fuoriuscite,
anche ingenti, di acqua contaminata. L’intera centrale, è un vero e proprio
colabrodo. Non fanno a tempo a tappare (spesso in modo assolutamente precario)
una perdita che se ne scoprono di nuove.
3 – A Fukushima Daiichi,
centrale in funzione da oltre 40 anni, ci sono circa undicimila barre di
combustibile “spento”, un micidiale mix di uranio e plutonio che qualcuno ha definito, giustamente,
la cosa più pericolosa mai prodotta dall’uomo. Essendo Fukushima in piena
emergenza, sono tutte a rischio. Circa 1500 (quelle che la Tepco ha cominciato a trasferire) sono ad
altissimo rischio. Ciascuna di esse, se “maltrattata”, potrebbe provocare una
nuova, tragica emergenza nucleare. Eppure, nonostante i ripetuti appelli della
comunità internazionale e persino del governo giapponese, la Tepco ha deciso di
procedere da sola, senza l’assistenza di “tecnici” stranieri. Questo non è
eroismo, né orgoglio nazionale: è arroganza e profondo senso di
irresponsabilità (qui potete vedere foto e video ufficiali).
Ciascuno dei problemi elencati è di per
sé un’emergenza che dovrebbe essere gestita sotto i riflettori del mondo e non,
come avviene a Fukushima, con visite guidate, comunicati stampa e dati
inverificabili. Già il fatto che ci sia stato (e negato per oltre tre mesi) un
triplo meltdown è un evento senza precedenti. Ma che
nessuno sia ancora in grado di capire dove siano finiti i “noccioli” ha
dell’inverosimile. La Tepco, che
continua ogni tanto ad innaffiare i reattori, sostiene che sono ancora
all’interno, che non hanno “bucato” la cosiddetta camicia esterna, in acciaio e cementoarmato.
Ma nessuno lo sa con certezza. Nessun essere umano ha potuto sinora avvicinarsi
ai tre reattori per verificarlo: nemmeno i supersofisticati “robot”. Appena
entrano nel reattore, “friggono”, a causa delle radiazioni. C’è la concreta
possibilità che almeno una parte dei “noccioli”, sotto forma di lava
incandescente, abbia perforato il cemento e sia penetrata nelle falde acquifere.
E’ una plausibile giustificazione dei numerosi “hot spots” che
pullulano attorno alla centrale, anche oltre la cosiddetta “zona di sicurezza”
di 20 km. Senza precedenti è anche la quantità di acqua contaminata che Tepco e governo giapponese – dopo averlo per
lungo tempo negato – hanno ammesso di riversare quotidianamente in mare. E’
vero che l’Oms, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità,
ha affermato che non si tratta di quantitativi “pericolosi per l’uomo”. Ma c’è
da fidarsi? Molti esperti dicono di no, che non c’è da fidarsi, che solo tra
qualche anno ci renderemo conto delle reali dimensioni di questa catastrofe e
dell’impatto ambientale che ha provocato.
Le stesse Nazioni Unite stanno preparando un dettagliato rapporto
che – secondo alcune indiscrezioni – è destinato a contraddire
quanto sostenuto dall’Oms. Il rilascio in mare non è
certo l’unico problema delle acque contaminate. C’è, ed è forse più grave,
quello dei serbatoi (in superfice ed interrati) che la Tepco continua a costruire per conservare
l’acqua contaminata di “risulta”, dopo cioè che è stata usata per raffreddare i
reattori. I serbatoi in superficie sono oramai più di un migliaio, più un
imprecisato numero di interrati. Molti denunciano perdite, che vengono
tamponate in modo francamente artigianale: abbiamo visto con I nostri occhi
degli operai siliconare e posizionare sacchetti di sabbia intorno ai serbatoi.
Ogni giorno, i dati sono della Tepco, 400
tonnellate di acqua vengono usate per raffreddare i reattori: nonostante gli
enormi costi sostenuti sinora, il sofisticato sistema di decontaminazione
gestito assieme alla società francese Areva non ha mai funzionato perfettamente.
Il risultato è che circa la metà
dell’acqua deve essere immagazzinata nei serbatoi. Attualmente pare ce ne siano
circa 400 mila, nel giro di due anni, a questi ritmi, saranno il doppio, 800
mila. I serbatoi sono stati costruiti in fretta e
furia e come già detto hanno perdite dappertutto. Ma cosa succederebbe in caso
di un terremoto serio? Se tutto va bene, e francamente
ce lo auguriamo, per decommissionare definitivamente i reattori di Fukushima ci vorranno 30, forse 40 anni. Nel
frattempo, fra sette anni, ci saranno le Olimpiadi.
Forse la comunità internazionale dovrebbe puntare i piedi e far capire al Giappone che non può continuare a nascondere
una realtà che può – letteralmente – esplodere in qualsiasi momento. Nel
frattempo, sarebbe dovere dei media di tutto il mondo, visto che quelli
nazionali sono ricattati dall’ancora potente lobby nucleare, mantenere gli
occhi, anzi, i riflettori, aperti.
di Pio d'Emilia
Nessun commento:
Posta un commento