Il 23 dicembre la legge 833
compie 35 anni: è la legge che ha istituito il servizio sanitario nazionale,
pubblico e universalistico, una conquista di civiltà che ci stiamo perdendo.
Una legge bellissima, che tutto il mondo ci invidia, figlia dell’articolo 32
della Costituzione e sorella della legge 180 sulla salute mentale e della legge
194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Tutte del 1978.
Annata speciale,
segnata dalle lotte del mondo del lavoro, dei movimenti ambientalisti e dal
movimento delle donne, da una cultura critica che ha costruito soggettività
individuali e collettive, che ha cambiato il modo di vivere e di pensare di
ognuno di noi.
Ma quella legge è
stata tradita, da decenni di rimozioni, errori, ritardi. Era la legge del
cambiamento, quello vero, non quello della cosiddetta modernizzazione che
accetta le disuguaglianze e la devastazione sociale delle politiche di
austerità. Quel cambiamento non è mai avvenuto. La salute doveva essere al
centro di tutte le politiche, misura per l’equità e l’efficacia delle scelte,
perché il diritto alla salute era considerato il diritto “forte” capace di
riconoscere e promuovere tutti gli altri diritti: del lavoro, sociali, civili,
politici. La salute come bene comune, capace di opporsi alle logiche del
profitto e della speculazione.
La sicurezza sul
lavoro, la tutela dell’ambiente erano compiti precisi dell’istituzione
sanitaria pubblica, che doveva controllare, che aveva il primato della
responsabilità di fronte ai cittadini. Oggi? Il rischio è stato monetizzato, è
vincente il ricatto “o la salute o il lavoro”, i territori - come la Terra dei
fuochi - sono avvelenati.
Oggi il diritto alla
salute declina le vecchie e nuove disuguaglianze, quelle del censo e della
vulnerabilità sociale, quelle del paese di origine. Sono ormai milioni che
rinunciano alle cure perché non possono permettersi di pagare il costo dei
ticket. E troppi non accedono alla qualità delle cure, perché non conoscono i
servizi, o perché sono stranieri senza permesso di soggiorno, o perchè sono
costretti ad aspettare i tempi lunghissimi delle liste di attesa.
Altro che qualità e
appropriatezza, parole abusate perché mai realizzate. La tempestività
delle cure (che di queste dovrebbe essere un indicatore) segue ormai il ritmo
di in una sanità diventata a due velocità: intramoenia subito per chi può
pagare, tempi biblici per chi non può.
Il nostro sistema
sanitario nazionale è devastato dalla scure dei tagli, dallo sperpero delle
risorse pubbliche, dall’illegalità. L’ultimo dato: ogni anno la corruzione
assorbe alla sanità oltre 1,5 miliardi all’anno, quanto basta per costruire 5
nuovi grandi ospedali modello.
Invece anche Zingaretti
decide di tagliare dal prossimo anno 900 posti letto
nella città di Roma, mentre i malati al Pronto Soccorso restano anche 10
giorni sdraiati su una barella, in condizioni indegne di un paese civile,
in attesa di essere ricoverati perché i posti letto non ci sono.
Mentre la
programmazione resta una parola vuota e l’integrazione socio
sanitaria resta
solo un capitolo di relazioni ai convegni, saltano tutti i percorsi di cura,
lasciando i malati soli a rincorrere gli sportelli delle ASL.
Allora, basta
chiacchiere. Chi doveva agire è rimasto fermo e chi invece doveva restare
fermo, si è mosso fin troppo. I tecnici cosiddetti “neutrali” oggi dettano il
verbo: la sanità pubblica non è sostenibile, serve il soccorso dei fondi
privati. E ormai il refrain è canticchiato da tutti: “Non si può più dare tutto
a tutti, bisogna cambiare”. A 35 ani di distanza dalla legge 833, la speranza
del cambiamento è stata manipolata da questo furore. Chi parla ancora di 833 è
ideologico, chi sceglie i sistemi assicurativi è riformatore.
Per questo non bisogna
dimenticare, bisogna far ricordare a chi c’era e far conoscere a chi non c’era;
bisogna riprendere un pensiero, valori, principi, le ragioni di quella
conquista che restano più che mai attuali, ma più che mai inascoltate.
Per il 14 dicembre,
proprio per ricordare questa legge, per difendere la sanità pubblica “Se non
ora quando? Sanità” ha lanciato on line una petizione e ha organizzato un flash
mob davanti
all’ospedale San Camillo (circonvallazione Gianicolense 87, ore 12 ndr).
Tutte e tutti in movimento! Questo è il nostro slogan. Donne e uomini, giovani,
associazioni, operatori, artisti, pazienti si ritroveranno, ognuno con le
proprie storie, ognuno con i propri linguaggi, perché per la sanità pubblica il
tempo è scaduto. Se non ora, quando?
di Maura Cossutta
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