Foto: Wdonna.it |
Tra gli Obiettivi di
sviluppo del millennio il
quinto raccomanda il miglioramento
della salute materna, dimezzandone la mortalità e raggiungendo l’accesso
universale ai sistemi di salute riproduttiva entro il 2015. Eppure nel mondo in
via di sviluppo soltanto un terzo delle donne riceve le quattro o più visite
prenatali raccomandate e ogni
anno mezzo milione di donne muore durante la gravidanza o il parto, una
ogni minuto. Molte vite quindi potrebbero essere salvate, semplicemente dando
la possibilità a tutte le mamme di partorire in un centro sanitario dove sia
possibile intervenire sulle eventuali complicanze ed essere assistite da un
medico o da un’ostetrica che potrebbero evitare anche altre drammatiche
conseguenze di gravidanze e parti non seguiti: disturbi, malattie, invalidità
con le quali fare i conti negli anni a venire.
Medici Senza Frontiere (MSF) ci ha raccontato l’esperienza di due realtà particolarmente
difficili come quella siriana e pakistana dove
per diversi motivi è estremamente difficile ricevere cure ostetriche ordinarie
e di emergenza. A raccontare la “sua” Siria è Margie un’ostetrica che ha trascorso sette
settimane in un ospedale nel nord della Siria da dove è da poco tornata. “Le
donne non hanno accesso a un’adeguata assistenza sanitaria in questa zona - ha raccontato
Margie - Per
quelle che affrontano complicazioni durante la gravidanza è praticamente
impossibile ricevere cure ostetriche di emergenza. Ci sono ancora delle
ostetriche all’interno della comunità che forniscono supporto nei normali
parti, ma se emergono complicazioni diventa difficile trovare qualcuno a cui
rivolgersi”. Sappiamo che ormai in Siria molte strutture sanitarie sono state
distrutte durante il conflitto e quelle rimaste non funzionano adeguatamente.
Prima della guerra ha precisato
Margie “C’era una rete
di ostetriche che si occupavano di assistenza prenatale, adesso sembra che molte
donne in gravidanza non la ricevano affatto. Il
conflitto ha anche ridotto l’accesso ad un’alimentazione sana per le donne, e
inoltre molte di esse sono sfollate. Tutto questo provoca uno stress che
può avere effetti sulla gravidanza” che la ong cerca di arginare in una struttura che
include una sala operatoria in cui vengono trattate ferite di guerra e grandi
ustioni, un pronto soccorso e il reparto maternità.
In Siria molte donne hanno avuto
numerosi figli, a volte 10 o 11 e molte hanno subito un parto cesareo grazie ai
buoni standard di assistenza sanitaria disponibili prima del conflitto. Ora il reparto maternità di MSF
fornisce oltre all'assistenza postnatale anche servizi ginecologici, che sono
di difficile accesso per le donne in Siria visto che, oltre al conflitto, anche
il contesto islamico porta molte donne che non trovano personale sanitario
femminile a rinunciare all'assistenza. “Ho lavorato con un meravigliosa
équipe con quattro
ostetriche siriane - ha voluto
precisare Margie - Ogni settimana facevamo nascere
fino a 12 bambini ed effettuavamo 50-60 visite. Le mie colleghe si
occupavano dei parti normali, ma se sorgevano complicazioni le supportavo e
lavoravo con loro nelle cure mediche richieste. Loro avevano tutte vari livelli
di formazione ed esperienza, quindi mi occupavo anche di continuare a formarle.
Erano molto grate dell’opportunità di apprendere nuove conoscenze, perché
un’altra conseguenza del conflitto per alcune di loro è stata l’interruzione
della formazione”. Oggi in Siria l’emergenza prenatale è drammaticamente
amplificata dalla guerra. “Abbiamo assistito a molti parti regolari, ma c’erano
anche casi difficili. Una persona che mi ha colpito molto - ha concluso
Margie - è stata una
donna arrivata per ricevere assistenza prenatale. Aveva avuto sette figli, quattro
dei quali erano recentemente morti in un bombardamento in una città vicina. Abbiamo potuto
aiutarla a partorire un bambino sano. È stata un’esperienza davvero
gratificante guardarla mentre lo teneva in braccio dopo tutto quello che aveva
passato”.
Una condizione particolarmente
difficile, quella siriana, che si specchia anche nella situazione del Pakistan,
altro Paese con uno dei tassi
di mortalità materna più alti del mondo e
dove le donne che MSF ha assistito in questi ultimi mesi con le équipe di
Peshawar e Hangu sono povere, senza risorse, rifugiate o sfollate. “Sono una
ginecologa presso l’ospedale materno infantile costruito da MSF a Peshawar. Qui
siamo specializzate in ostetricia d’urgenza per garantire alle donne più
vulnerabili un posto sicuro dove far nascere il proprio bambino” ha spiegato Kanako,
medico di MSF. L’ospedale di Peshawar, provincia di Khyber Pakhtunkwa, nel
nord-ovest del Paese è stato inaugurato nel 2011. Qui vivono più di tre milioni
di persone e Peshawar non è
certo un deserto dal punto di vista dell’assistenza medica. Cliniche,
ospedali, farmacie e ambulatori potrebbero soddisfare i bisogni medici
dell’intera popolazione, eppure molte donne sono private delle cure
ostetriche. “Ho iniziato a venire qui sei mesi fa. Il mio bambino è nato
l’altro ieri” ha raccontato
una paziente originaria
delle aree tribali. “In effetti, sono andata prima presso un altro ospedale a
causa delle perdite, ma il medico mi ha detto che avevo bisogno di due
iniezioni per assicurarmi che mio figlio non nascesse con dei disturbi. Quando
gli ho spiegato che non avevo i soldi per permettermi queste cure, lui mi ha
dato l’indirizzo di quest’ospedale. Mio
figlio è nato con un parto cesareo e oggi mi ritengo fortunata di poter tenere
in braccio un bambino sano”.
“Un parto cesareo costa intorno alle
10.000 rupie in un ospedale pubblico e fino a 60.000 in una clinica privata.
Persino un parto normale costa 5.000 rupie in un ospedale pubblico e 20.000 in
una clinica privata. È molto costoso per le donne più povere” ha denunciato Naseer,
medico MSF a Peshawar. Troppo
costose, troppo lontane, queste cure sono inaccessibili per le persone più vulnerabili,
specialmente per quelle famiglie sfollate a causa dei combattimenti nelle aree
al confine con l’Afghanistan. “Sfollati e rifugiati rappresentano
approssimativamente il 10% dei nostri pazienti e la percentuale è in crescita” ha aggiunto Salma,
responsabile per l’accoglienza e la registrazione dei pazienti al loro arrivo
presso l’ospedale. Ma i costi non rappresentano l’unico ostacolo all’accesso
alle cure ostetriche. Molto
radicato nelle tradizioni familiari, il parto naturale rappresenta per una
madre l’unica maniera onorevole di dare alla luce un figlio,
indipendentemente dalle possibili conseguenze per lei e per il suo bambino. Per
questo motivo, le donne incontrano una forte resistenza da parte dei mariti e
dei parenti prima che venga loro concesso di recarsi all’ospedale, soprattutto
se gestito da
un’organizzazione straniera come MSF, un’altra sfida per i pazienti e per lo
staff.
Come in Siria la guerra, l’isolamento,
la mancanza di sicurezza, povertà e credenze rappresentano gli ostacoli che le
donne pakistane devono superare per ricevere cure ostetriche di qualità e
partorire senza mettere a repentaglio le loro vite e quelle dei loro bambini.
Una sfida fondamentale che tocca, seppur in modo diverso, anche i paesi del
primo mondo e che è ben raccontata attraverso il progetto World Social Agenda(WSA) di Fondazione Fontana sul quinto Obiettivo di sviluppo del
millennio grazie al video “L’Attesa Fragile”
di Marco Zuin e Giulio
Mozzi. Una riflessione
sulla salute materna a partire dalle voci di un centinaio di donne che hanno
raccontato la loro esperienza di maternità grazie al contributo dei ragazzi delle
scuole coinvolte nella WSA che hanno dato voce alle loro mamme, zie, nonne,
amiche e insegnanti.
di Alessandro Graziadei
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