mercoledì 8 gennaio 2014

DA FALLUJAH 2004 A FALLUJAH 2014, LO SPETTACOLO DELLA FOLLIA

Così inizia il 2014… dopo quasi dieci anni, difatti da aprile e novembre 2004, due date segnate da provocazioni, ignoranza, errori grossolani, massacri freddamente perpetrati con l’uso di armi ad alta tecnologia, utilizzando i famosi, per gli effetti biologici a lungo termine, proiettili all’uranio impoverito del cannone a sei canne da 30 millimetri GAU-8A del velivolo da supporto aereo dell’USAF A-10A Thunderbolt II, le forze USA avevano finalmente investito la città irachena di Fallujah il cui controllo sfuggiva, come in gran parte dell’Iraq, dove il terrorismo straniero giunse a dare una mano alle fazioni sunnite e sciite unitesi contro il nemico americanista. Il comandante dei Marines, che guidò l’assalto finale su Fallujah nel novembre 2004, dopo spregevoli e sanguinosi stalli, faceva irresistibilmente pensare a John Wayne, l’attore che fu il miglior soldato nella storia di celluloide di Hollywood, evitando anche d’impegnarsi nella vera guerra del Pacifico, per non privare gli studios e la narrativa americanista di una buona rappresentazione del soldato ideale. (Per John Wayne a Fallujah vedasi 22 dicembre 2004). Fallujah fu così il primo simbolo del caos furioso e dell’inganno sanguinario e crudele che fu l’intervento statunitense in Iraq, nell’ambito del piano generale per trascinare il mondo nell’entropia favorita dalla nostra controciviltà e usata dagli ansiosi ascari del blocco BAO. Così, quasi un decennio dopo, Fallujah viene “ripresa”, “ripresa” dalle mani degli “infedeli”, sembrando da accertare se qualcuno sia più o meno “infedele” rispetto a qualcuno altro. Come fu nel 2004, la città di Fallujah diventa nel 2014 un punto strategico e simbolico nel sistema mediatico, in cui il caos appare nella sua fase finale. Nel frattempo, cioè tra il 2004 e il 2014, il caos è aumentato notevolmente, come doveva. La “ripresa di Fallujah” nel 2014 sembra quasi la “solita” notizia del fine settimana, con vari e squallidi dettagli sul destino delle forze irachene nella città. Un simbolismo che illumina gli avvenimenti degli ultimi giorni. Operativamente, c’è un’altra città irachena, Ramadi, vicino al confine siriano, investita da al-Qaida e da altro, oggetto del tentativo di riconquista da parte dell’esercito iracheno (vedi Guardian, 6 gennaio 2014). Il segretario di Stato John Kerry, che cerca ostinatamente di organizzare qualcosa tra gli israeliani e i palestinesi, ci parla della sua preoccupazione su qualcosa che evoca senza dubbio  barbarie: “Siamo molto, molto preoccupati per l’attività di al-Qaida e dello Stato islamico dell’Iraq e nel Levante, tutto ciò che è affiliato con al-Qaida, che cercano di affermare la loro autorità non solo in Iraq, ma anche in Siria. Questi sono i più pericolosi attori della regione. La loro barbarie contro i civili a Falluja, Ramadi e contro le forze di sicurezza irachene appare a tutto il mondo“.

Questo primo fine settimana del 2014 è stato, quindi, il momento di varie notizie dal calderone esplosivo del Medio Oriente, soprattutto riguardo l’asse Iraq-Siria-Libano, con diversi altri attori dei dintorni (Israele, Iran, Arabia Saudita, Stati Uniti ovviamente, Turchia con i suoi problemi interni, ecc.). Questa è l’occasione per osservare la situazione in Iraq, dal punto di vista del caos in gran parte sul punto di competere con il caos furioso e crudele in Siria, avviando ancora il ciclo delle responsabilità fondamentali del caos attuale: missione compiuta da questo punto di vista, e l’occidente è diventato il blocco BAO che esporta perfettamente il proprio caos, ma che non fa nient’altro che dimostrare la propria impotenza e subirne dal 2008 gli effetti riverberati e moltiplicati in modo regolare. Il 2013 è stato per l’Iraq, per numero di morti nelle violenze politiche, il peggiore dal 2007, con più di 10000 decessi (Antiwar.com, 2 gennaio 2014.) In Siria, i ribelli che combattono (Antiwar.com, 4 gennaio 2014)) si accusano a vicenda di servire segretamente il regime siriano di Bashar al-Assad. Il leader di un gruppo di al-Qaida e cittadino saudita, arrestato in Libano per l’attentato contro l’ambasciata dell’Iran, è morto il giorno dopo in carcere, ovviamente in circostanze sospette. L’acronimo di al-Qaida ed altro, che ora sbuca dal caso libico e si chiama AQIM, o al-Qaida nel Maghreb islamico, è un nuovo fattore introdotto nel circuito del sistema mediatico che ingrossa questo dossier sfuggente. Ora abbiamo AQI (“al-Qaida in Iraq“), abbiamo anche il SIIS, Stato islamico dell’Iraq e della Siria, abbiamo continui ed esaltanti nuovi progetti di califfati islamici, con la continua rappresentazione sempre più evidente dell’Arabia Saudita quale Stato-canaglia, nella strana trasmutazione di un Paese straordinariamente immobile e prudentissimo, come era noto negli anni ’70. Il caos è tra noi perché noi siamo il caos.

Forse l’osservazione più significativa proviene dal sito DEBKAfiles, le cui connotazioni ci sono note (13 febbraio 2012). Il 5 gennaio 2014, DEBKAfiles descrive a suo modo il turbine degli eventi in corso… “Tutti questi eventi si concetrano su al-Qaida in Iraq, al-Qaida in Siria e le brigate Abdullah Azzam che si riuniscono per una potente offensiva volta ad occupare punti d’appoggio in una vasta fascia di territorio mediorientale, lungo la linea che corre tra tre capitali arabe, Baghdad, Damasco e Beirut. Al-Qaida diventa il coltello sunnita che taglia l’asse sciita che collega Teheran a Damasco ed Hezbollah libanese a Beirut. Le nostre fonti militari dicono che una grande escalation di scontri violenti si prepara a breve termine in Iraq, Siria e Libano e non si fermerà lì. Può anche debordare in Israele e Giordania..” … Senza dubbio, il commento più interessante di DEBKAfiles nel suo testo, a cui vogliamo arrivare, riguarda la posizione d’Israele in questa tempesta di cui nessuno conosce davvero il significato, vorticoso e confuso, che si sviluppa come un fuoco fatuo… Israele è allo sbando, non sapendo chi sia il nemico, non perché questo nemico è segreto e introvabile, ma perché ce ne sono troppi che lo sono, che potrebbero esserlo, che non potrebbero esserlo più. Quindi, con tale commento apprendiamo, senza sorpresa, che “Israele trova sempre più difficile determinare chi sono i suoi amici… e chi sono i suoi nemici.” “Israele si ritrova preso tra due forze ugualmente ostili e pericolose, entrambi radicali e che godono di potenti sostegni. Da un lato, l’amministrazione Obama è desiderosa di continuare il riavvicinamento degli Stati Uniti con l’Iran, al punto di consentire al brutale Bashar Assad di rimanere al potere. Dall’altro, l’ex-alleata degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, è disposta a sostenere gli islamisti vicini ad al-Qaida, come forza sunnita in Iraq e loro controparti in Libano, per poter sabotare le attuali politiche di Washington. In tali circostanze, Israele trova sempre più difficoltà a determinare gli amici in Medio Oriente, ed anche a trovare i nemici.”

2004-2014, in effetti Fallujah come simbolo del caos e della spirale infinita generata dal caos, poiché in questo caso si ritorna al punto di partenza, e il disordine israeliano è il simbolo simbolico, l’entità che ha manipolato tutti, demonizzato tutto, radicalizzato tutti, si ritrova intrappolata in questo strano compito: in tale vortice di aggressori e di ritorsione delle vittime aggredite, chi sono i miei amici e chi i miei nemici? La straordinaria accumulazione di mezzi produttori di violenza e tattiche di disintegrazione perseguita dal blocco BAO con una strategia caratterizzata dal vuoto siderale, il nulla quasi impeccabile, questa strana combinazione che si adatta sia all’automatismo  del Sistema attraverso la formula DD&E, ma che necessariamente si volge contro il sistema secondo la formula classica del percorso più breve della superpotenza verso l’autodistruzione, che inizia ad avere i suoi notevoli e spettacolari effetti in Medio Oriente, la zona ritenuta più sensibile e più delicata del pianeta. “Il lavoro” svolto dal blocco BAO nel periodo 2001-2004, dalla falange eroica della coppia Bush-Blair che comprendeva Netanyahu e le sue ossessioni, le incertezze della rock-star BHO (Obama), il nostro presidente peracottaro e i suoi audaci notai di  provincia che scoprono il mondo, “opera” che sembra soddisfare tutte le aspettative che potevamo avere. Il caos si diffonde come i corsi d’acqua sotterranei continui e dalla sporadica visibilità propria, con certezze e alleanze reciproche disperse in un brodo indecifrabile; il caos divenuto una sorta di “espressione spontanea” del multiculturalismo e dell’entropia individuale che riduce il passato e il futuro in un racconto, in voga nei nostri programmi scolastici e nelle nostre gallerie di “arte contemporanea”. Il mondo inizia a trasmutare con notevole puntualità e con una velocità non meno notevole, in una sorta di caotica Torre di Babele, dove i pavimenti sono capovolti e le rampe di scale discendono, il basso verso l’alto con le fondamenta proiettate verso il cielo.

Fortunatamente, le tribù del blocco BAO rientrano dalle “vacanze” con le loro dirigenze politiche desiderose di avere il sopravvento sulle emergenze del momento. Il ministro degli Interni quindi si occupa di una priorità come l’”affare Dieudonné”, mentre il Ministro degli Esteri s’informa se Bashar è ancora stretto alla sua presidenza screditata, per sapere se può cominciare a prendere in considerazione la celebrazione di una nuova era in Medio Oriente, se  può davvero farlo, come previsto dal dirittumanitarismo, dal postmodernismo o dal post-postmodernismo. Il Senato degli Stati Uniti cerca di riunirsi sotto la ferula dell’AIPAC per rispondere subito: imporre nuove sanzioni all’Iran e al pressante pericolo mondiale del programma nucleare di questo Paese. Il termine “danzare sul vulcano” non ha ragione di essere: certo The Independent afferma (6 gennaio 2014) che il rischio di eruzione del super-vulcano che sonnecchia sotto la strana bellezza del Parco Nazionale di Yellowstone nel Wyoming, è più grande di quanto pensassimo, ma in realtà nessuno, tranne gli sciocchi che hanno scelto il ballo di San Vito (è vero, ce ne sono molti), avrebbe voglia di ballare. In un modo che potrebbe sembrare rassicurante per l’automatismo dei pensieri, il solito pronostico che accompagna il nostro nuovo 2014 quale estensione del 1914 (2 gennaio 2014) s’incontra il 6 gennaio 2014 su The Independent. La professoressa Margaret MacMillan, dell’Università di Cambridge, scrive in un articolo per Foreign Affairs… “Ora, come allora, la marcia della globalizzazione ci ha cullati in un falso senso di sicurezza. Il 100° anniversario del 1914 dovrebbe farci nuovamente riflettere sulla nostra vulnerabilità agli errori umani, a catastrofi improvvise e al puro caso. Invece di cavarsela da una crisi all’altra, ora è il momento di ripensare alle terribili lezioni di un secolo fa, nella speranza che i nostri leader, con il nostro incoraggiamento, pensino come poter collaborare per costruire un ordine internazionale stabile.” …Lasciandoci sognare sul “senso fuorviante di sicurezza” in cui abbiamo confinato la globalizzazione. Queste persone sentono davvero tale “senso fuorviante della sicurezza” dall’11 settembre, dall’Iraq, da Fallujah 2004 a Fallujah 2014, dallo tsunami e dalla distruzione del mondo in turbo-ritmo, dalle banche nel 2008, da… da…? Forse dovremmo disilluderci prima di lasciarci ballare. IlTitanic s’inclina e potrebbe affondare.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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