Poche
settimane fa leggevo la ridicola notizia relativa alla discussione parlamentare sull'aumento della fascia esente dall’IRPEF.
Qualche parlamentare di sinistra,
per far finta di essere dalla parte del popolo, si chiedeva se fosse giusto
portare a 12.000 euro la fascia esente; altri parlamentari a destra
rispondevano che il governo avrebbe perso troppi soldi e che le casse dello
stato non potevano permettersi di subire una simile perdita. La querelle,
ovviamente, è falsa e rappresenta una delle tante discussioni ipocrite fatte
solo per gettare fumo negli occhi della gente, per indurre nel cittadino l’idea
che le tasse servano a coprire le spese statali, e per riempire i giornali con
qualche notizia che sembri tale.
In realtà le tasse non servono
affatto allo stato per coprire le spese, specialmente se prelevate da redditi
sotto ai 20.000 euro.
Chi
ha un reddito basso, infatti, qualora risparmiasse un po’ di soldi in tasse,
non si terrebbe certamente quei soldi per sé, ma li utilizzerebbe per comprare beni
o servizi, cioè darebbe quei soldi ad imprenditori, i quali li reimmetterebbero
nel circuito produttivo per farli finire di nuovo nelle tasche dello stato. Se
io acquisto un bene da 100 euro, infatti, il 21% finisce immediatamente nelle
tasche dello stato con l’IVA; un altro 20% circa costituisce il guadagno
dell’imprenditore che su quel 20% pagherà le tasse; il restante 60% costituisce
il costo della materia prima su cui l’imprenditore che l’ha prodotta pagherà le
sue tasse, dedotti i costi (che sono le paghe degli operai e di tutti coloro
che partecipano alla produzione, i quali a loro volta pagano le tasse e
acquistano beni). In altre parole, le tasse hanno un senso solo se colpiscono i
capitali immobilizzati, perché tutto il denaro immesso nel circuito economico
regolare, prima o poi finisce sempre nelle tasche dello stato.
Aumentare la fascia esente, quindi,
avrebbe solo due importanti obiettivi: aumentare il benessere della classe a
basso reddito, e rinvigorire il tessuto economico aumentando le entrate delle
imprese.
La
verità invece è che il fine dell’attuale governo, come quello del precedente,
era quello di affossare definitivamente l’economia italiana. Lo dimostrano,
dati alla mano, i conti di alcuni provvedimenti fiscali del governo Monti. Per
fare alcuni esempi… La demenziale sovrattassa del governo Monti sulle auto di
lusso che ha colpito tutti i modelli con potenza superiore a 185 KW ha portato
come conseguenza l’abbattimento delle vendite nel settore delle auto di lusso.
Il che si traduce nelle seguenti conseguenze: 1) minore entrata fiscale per lo
stato di 140 milioni di euro; 2) 30.000 auto di lusso trasferite all’estero; 3)
fallimento di oltre il 30% dei concessionari di auto di lusso in due anni; 4)
drastico abbattimento dei costi delle auto di lusso usate, tanto che oggi si
può acquistare una Ferrari 612 a 50.000 euro e una Ferrari Maranello a 40.000
(il che si traduce in ulteriori perdite fiscali per lo stato).
L’IMU
sugli immobili ha portato ad una perdita di liquidità per molti imprenditori,
causando una sorta di accelerazione verso il fallimento; molti imprenditori,
infatti, si sono trovati a dover pagare l’IMU su immobili da cui, a causa della
crisi, non percepivano alcun reddito perché gli affittuari erano in crisi,
quindi sostanzialmente si sono trovati a non percepire alcun reddito su degli
immobili per i quali in compenso erano aumentate le tasse; l’IMU ha insomma
gettato benzina sul fuoco di una crisi già in atto. Il risultato è stato
calcolato in un aumento del 15% delle aziende che hanno chiuso i battenti a
causa dell’IMU, calcolato sul numero di aziende medie che chiudono i battenti
ogni giorno. In altre parole, se nel 2012 avevano chiuso i battenti 10.000
aziende, il numero è salito a 12 nel 2013. Non per niente il viceministro delle
Infrastrutture De Luca ha definito l’IMU “un monumento alla demenzialità e un
truffa ai cittadini”.
Ma da ultimo la trovata veramente
geniale è stata quella dell’aumento degli acconti sul reddito saliti al 102%.
Spieghiamo
che significa. Non tutti sanno che le tasse che imprenditori e professionisti
pagano ogni anno non sono solo quelle relative all’anno precedente. Nossignore.
Sono anni che è in vigore una legge demenziale per cui queste categorie devono
pagare IN ANTICIPO le tasse dell’anno venturo. In altre parole, è come se lo
stato dicesse: “Guarda, siccome ho bisogno di soldi, per cortesia versami in
anticipo le tasse anche per l’anno prossimo”. Se poi il contribuente l’anno
successivo guadagna di più del previsto, verserà un conguaglio (ovviamente
immediato). Se invece guadagna meno del previsto sarà lo stato a versarlo
(manco a dirlo, non immediatamente, ma negli anni successivi; in alcuni casi
per avere i rimborsi occorrono anni). Nessuno fino ad oggi ha mai provveduto a
impugnare questa assurda legge davanti alla Corte Costituzionale o alle Corti
Europee, dove presumibilmente non reggerebbe il tempo di un minuto, tanto è
demenziale, ingiusta e incostituzionale. Ma non è questo il punto che voglio
sottolineare. Il problema invece adesso è un altro. Se negli anni precedenti
l’acconto da versare sul reddito non guadagnato dell’anno futuro era del 99%,
il governo Letta oggi l’ha portato al 102%. In altre parole, in periodo di
crisi, il governo dà per scontato che professionisti e imprenditori l’anno
prossimo guadagneranno di più, quindi possono tranquillamente versare in
anticipo un importo per le tasse superiore a quello di quest’anno. Non c’è che
dire, una trovata non solo geniale, ma soprattutto coerente con la crisi che
stiamo attraversando. Considerando che questo provvedimento non farà altro che
diminuire ancora la liquidità di imprese e professionisti, non è difficile
prevedere le conseguenze di tale normativa: un aumento del 3% circa delle
imprese costrette a chiudere; minori entrate fiscali per lo stato di circa il
12% rispetto all’anno precedente. Si calcola che passeranno dalle 12.000 del
2013 a 25/30.000 nel 2014 (con una previsione di 17.000 nei primi sei mesi) le
aziende che, grazie a questo super geniale provvedimento, chiuderanno i
battenti.
Una mossa da geni, non c'è che dire!
Berlusconi,
tra tutti i politici di questi ultimi decenni, è stato l’unico che voleva
veramente ridurre le tasse (ma gli fu impedito da altri poteri, più potenti di
lui). E’ riuscito quindi unicamente a ridurre o togliere alcune tasse minori,
come quella sui frigoriferi e quella sulle successioni, a ridurre le accise sui
carburanti aerei, o le tasse di stazionamento delle barche di lusso, ma gli è
stato impedito di effettuare una riforma fiscale realmente efficace (come il
portare l’aliquota massima al 30%). La sinistra l’ha sempre accusato di
conflitto di interessi, ma in realtà, da imprenditore capace qual è, più che un
conflitto di interessi il suo era una “comunione di interessi” con altri
imprenditori.
I
governi di sinistra, nonché i recenti governi Monti e Letta, hanno invece
introdotto una figura giuridica nuova e assolutamente innovativa, perché
neanche all’estero sono così avanti: la demenzialità degli interessi (figura
che ricorre giuridicamente quando il provvedimento è di una tale idiozia che
anche un cerebroleso capisce che è voluto per perseguire un interesse
esattamente opposto a quello che viene sbandierato).
di
Paolo Franceschetti
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