giovedì 2 gennaio 2014

I TRE PASSI DEL POPOLO ITALIANO VERSO LA RIVOLTA

Come indispensabile premessa, si avverte che in questa sede distinguiamo fra la Rivoluzione e la semplice insurrezione popolare, in quanto si tratta di fenomeni politici e sociali molto diversi fra loro. 
Il primo – la Rivoluzione – s’inserisce a pieno titolo nelle correnti di cambiamento storico che portano a un ”nuovo mondo”, a una realtà culturale, economica e politica profondamente diversa da quella che dominava in precedenza, in un rivolgimento epocale dell’”ordine costituito” che cambia la prospettiva futura. Il secondo – l’insurrezione – è, per così dire, soltanto “unidimensionale”, perché connotato dalla rabbia dei dominati che si ribellano, in modo violento, allo status quo, al potere vigente e oppressivo. Senza avere, però, un preciso progetto politico alle spalle e alla testa delle élite (come quelle rivoluzionarie) con capacità e volontà trasformative dell’esistente a trecento e sessanta gradi. Rivoluzione vuol dire l’Ottobre Rosso di Lenin nel 1917, la Lunga Marcia di Mao, in Cina, conclusasi nel 1949, Castro e Guevara vittoriosi a Cuba nel 1959. Insurrezione significa i riots a sfondo razziale di Los Angeles nella primavera del 1992, la rivolta della Banlieue parigina dell’autunno 2005, i disordini in Inghilterra, a partire dalla periferia di Londra, dell’agosto 2011.
Chiarito quanto precede, nel futuro del popolo italiano, data la prospettiva di de-emancipazione e impoverimento progressivi, possiamo aspettarci conati di rivolta contro il sistema politico locale e il suo “mentore”, cioè l’impianto sopranazionale di potere e oppressione dei popoli rappresentato dall’unione europide monetaria. Finora abbiamo assistito, al più, a “scaramucce” minori localizzate, come i recenti scontri fra polizia e manifestanti a Torino, attraversata dalla rivolta (in gran parte pacifica) dei cosiddetti Forconi, o i ricorrenti scontri fra le forze poliziesche di repressione e i no-Tav valsusini (e nazionali). Possiamo presumere che nei prossimi mesi la situazione si aggreverà di molto, rischiando di precipitare. Non ci sarà alcuna ripresa nel 2014, come millanta il piccolo Quisling Letta, se non una ripresa della disoccupazione, delle chiusure aziendali e dello “spread”.
Tenendo presente la distinzione fra Insurrezione e Rivoluzione che abbiamo operato all’inizio, possiamo tracciare il percorso seguito dal popolo italiano, ormai a maggioranza, per giungere alle soglie della rivolta sociale, ai riots diffusi, all’insurrezione nei confronti del sub-potere politico locale e dei suoi padroni esterni. Sintetizziamo la questione in tre passi, l’ultimo dei quali, quello decisivo, è ancora da compiere.
1)    Primo passo: dentro il sistema secondo le sue regole. E’ un passo già compiuto, meno di un anno fa, con il consenso dato al cinque stelle, a Grillo e Casaleggio e alle loro liste elettorali per le ultime politiche. La speranza, che in una manciata di mesi si è rivelata ingenua, era di poterli mandare tutti a casa, rinnovando la “classe politica” e cambiando le politiche spietatamente neoliberiste e pro-euro. Restando, però, dentro il sistema e giocando la partita secondo le sue regole parlamentari ed elettorali. Fra queste, i grillini hanno accettato una legge elettorale poi dichiarata illegittima, senza fare una piega perché certi di vincere, o almeno di riuscire a entrare in forze nella “stanza dei bottoni”.  M5s ha ottenuto ben tre risultati, con il senno di poi, ma nessuno di questi va nel senso delle aspettative popolari, drammaticamente concrete in termini di reddito, occupazione, stato sociale. Il primo risultato conseguito, di natura politica e dentro i giochi parlamentari, è stato quello di “affondare” il pagliaccio piddino Bersani, candidato premier. Poca cosa, perché di piccoli Quisling disponibili, in Italia, le eurocrazie e il grande capitale finanziario ne trovano finché vogliono. Infatti, è spuntato Letta appoggiato da Napolitano, basista eurocratico e presidente. Il secondo risultato ottenuto, di legittimazione del sistema liberaldemocratico, è stato quello di limitare l’astensionismo, che altrimenti avrebbe potuto essere ben più consistente del 25% dell’intero “corpo elettorale”, lanciando un segnale negativo ai sub-dominanti politici locali. Il terzo risultato, sempre a sostegno del sistema di potere vigente e della sua riproducibilità futura, è consistito nell’aver neutralizzato preventivamente una possibile protesta sociale, destinata a sfociare in una serie di riots violenti e imprevedibili, come ha dichiarato candidamente Grillo rivendicandone il merito. Se questi sono i principali risultati conseguiti da m5s, presente in forze in parlamento, è chiaro che la delusione cocente si è fatta largo in una manciata di mesi dal “successo elettorale” fra coloro che gli hanno dato consenso. Il movimento di Grillo e Casaleggio, quale effettivo rappresentante dei bisogni e delle richieste popolari, ci pare, ormai, acqua passata, in quanto destinato al declino (quanto rapido vedremo) o alla scomposizione in parti come il pdl. E’ ormai chiaro che m5s, lo voglia o no, ha supportato il sistema facendogli da stampella.

2)    Secondo passo: fuori dal sistema, ma rispettando i suoi tabù. Una volta constatato il fallimento di m5s, parte di una popolazione totalmente priva di rappresentanza politica e sindacale ha deciso per il “fai da te”, cioè ha agito completamente fuori dai recinti liberaldemocratici creando un movimento extrasistemico (appunto), ma ancora rispettoso dei tabù sistemici, e fra questi del più efficace per evitare rivolte: il pacifismo strumentale. Quella dei Forconi – o Comitato 9 dicembre –fin da subito si è connotata come una protesta “oltre la destra e la sinistra”, senza agganci di rilievo con i cartelli elettorali presenti in parlamento o con le centrali sindacali sistemiche, ma ancora “pacifica”, non armata, non incline all’uso della violenza. Per qualche giorno i Forconi hanno attraversato l’Italia, con manifestazioni, volantinaggi improvvisati, blocchi stradali e ferroviari, poi, verso Natale, la protesta è sembrata rientrare, riducendosi di molto. Per non dire delle spaccature fra i capi, in occasione dell’adunata a Roma, partecipata solo da una parte del movimento. Se m5s aveva uno straccio di programma politico (frutto delle votazioni in rete, ma veramente?) per la verità contradditorio, date la presenza contemporanea di elementi antiliberisti e liberisti e la sottovalutazione della questione dell’euro, i Forconi non sembrano esprimere delle chiare linee programmatiche. Sono quelli del tutti a casa, del governo provvisorio e delle nuove elezioni, apparentemente senza possibili compromessi istituzional-elettorali. Per farla breve, notiamo che il passo in avanti dei Forconi, rispetto all’inutilissimo m5s (o meglio, utile solo alla liberaldemocrazia), è consistito non certo nel programma politico, o in più deciso “tutti a casa”, ma sostanzialmente nel giocare fuori dal sistema e dalle sue regole parlamentari ed elettorali, nonché nella maggior consapevolezza che l’unione europoide è il vero burattinaio del governo in carica e dei partiti tutti. Anche questo movimento, che definiamo pur con una certa prudenza protorivoluzionario, è destinato a “rientrare”, o a essere sconfitto, o comunque a deludere le componenti meno prostrate e idiotizzate – e più colpite dalla crisi strutturale neocapitalistica – di una popolazione senza rappresentanza, abbandonata al massacro sociale.

3)    Terzo passo: fuori dal sistema e contro le sue regole. Dopo aver fatto un po’ di “dietrologia”, da bravi “complottisti” quali siamo, entriamo nel campo della previsione e tentiamo qualche “vaticinio” per il futuro più prossimo. Ironie a parte, che speriamo si colgano, se non interverrà nel frattempo qualche evento esterno di portata epocale (guerre mondiali e/o nucleari, ascesa di forze politiche “euroscettiche” nel resto d’Europa con rapida dissoluzione della uem, cataclismi naturali di grande portata, collasso degli usa e del dollaro, eccetera) prevediamo che in breve una popolazione sempre più alle strette, colpita a morte nel reddito, nell’occupazione e nei consumi, sarà costretta a scegliere una strada totalmente extrasistemica, ma questa volta con abbondante uso della violenza. Infatti, è proprio la via violenta e armata che fa la differenza rispetto al passo precedente. Ciò provocherà disordini, lutti, perdite in termini di vite umane, ma consentirà di incrinare definitivamente il tabù sistemico del “pacifismo strumentale”, di fondamentale importanza in periodi come questi per il controllo dei dominati e la tenuta sistemica complessiva. Non si tratterà ancora di una Rivoluzione, perché i prossimi movimenti di popolo dopo i Forconi, anch’essi poco organizzati, seguiranno l’unica via possibile, cioè quella insurrezionale, ma probabilmente si entrerà in un clima protorivoluzionario, che annuncerà trasformazioni future di grande portata. Per essere chiari, non assisteremo a fenomeni politici e sociali equivalenti all’Ottobre Rosso sovietico o alla Lunga Marcia maoista, ma a riots urbani e confronti con le forze della repressione sistemica, dopo i quali si conteranno morti e feriti. E forse anche le distruzioni. La rabbia è scatenata dalle ingiustizie sociali che tendono ad approfondirsi e a estendersi a fasce sempre più ampie di popolazione. La rabbia è legata ai problemi contingenti, a una quotidianità sempre più misera e degradata, al tradimento di coloro che dovrebbero rappresentare la popolazione. La rabbia non richiede l’elaborazione di ideologie di legittimazione antagoniste, né abbisogna, per esprimersi, di programmi politici coerentizzati da applicare alla realtà. Il terzo passo, che il popolo messo con le spalle al muro dovrà compiere, sarà per qualche verso decisivo, se non altro perché segnerà – probabilmente con un certo tributo di sangue – la distanza incolmabile fra questo sistema, dominato dal neocapitalismo e dalle eurocrazie di rapina, e le esigenze vitali della popolazione. I collaborazionisti al governo – in primo luogo il pd – e i sindacati gialli non avranno più scusanti, saranno riconosciuti come tali, per quel che sono: servi dell’occupatore del paese e “nemici del popolo”. E finalmente cominceranno ad avere paura.

Sulle forme e sui modi che caratterizzeranno la rivolta di cui al punto tre – il terzo passo ancora da compiere – non ci esprimiamo. O almeno non ci esprimiamo ancora, pur avendo già scritto qualcosa in passato. Per ora è importante rilevare che una percentuale della popolazione italiana compresa fra i due terzi e i tre quarti già oggi non ha – e soprattutto non avrà in futuro – alcuna rappresentanza effettiva all’interno del sistema. Anzi, è schiacciata e vessata da governi collaborazionisti dell’occupatore del paese, il cui compito è di trasferire risorse nazionali all’esterno in quantità sempre maggiori. A beneficio del grande capitale finanziario, per “salvare l’euro”, per favorire il manifatturiero in germania, per far andare la globalizzazione, e via dicendo. Se in prima battuta la popolazione ha creduto a Grillo, pensando di poter cambiare il sistema, senza spargimenti di sangue, standosene comodamente all’interno (comodamente, come i parlamentari e gli amministratori locali del cinque stelle!), in breve ha dovuto amaramente ricredersi e una parte di questa ha appoggiato i Forconi, pacifici manifestanti extrasistemici. C’è però un piccolo problema (detto con ironia). La protesta pacifica, non armata, che rifugge dalla violenza a costo di fallire miseramente, non solo non può pagare, ma è sempre destinata a frantumarsi, a essere fagocitata, a estinguersi senza ottenere risultati. Come abbiamo già scritto nel recente passato, il popolo procede in solitudine per approssimazioni successive. Quello italiano in modo particolare. Il prossimo passo non potrà che essere quello da noi delineato, perché la possibilità di salvezza – quando le vecchie certezze muoiono e tutte le vie sono chiuse – ci sarà soltanto fuori e contro, rispondendo colpo su colpo alla violenza del nemico.
di Eugenio Orso

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