La
situazione intorno l’Iran continua ad essere molto difficile, nonostante i
significativi progressi nella normalizzazione delle relazioni con l’occidente e
il raggiungimento di un accordo provvisorio sul programma nucleare iraniano a
Ginevra il 24 novembre, in una riunione tra i “sei” negoziatori internazionali
e una delegazione di Teheran. Il presidente Ruhani non è riuscito a conquistare
la fiducia immediata degli USA e dei loro alleati, con i suoi grandi
cambiamenti di accento della politica estera iraniana, anche se il processo
procede nella direzione giusta in tempi relativamente brevi. Il fatto è che
gran parte del ruolo negativo giocato a Washington, è dovuto ai repubblicani ed
altre forze conservatrici nel Congresso degli Stati Uniti. In primo luogo, è
stato approvato un elenco di 19 persone ed entità da porre sotto sanzioni per
il coinvolgimento nel programma nucleare iraniano, costringendo la delegazione
iraniana a lasciare la conferenza di Ginevra, il 13 dicembre, dato che
l’accordo provvisorio del 24 novembre prevede la non-imposizione di ulteriori
sanzioni contro Teheran. Poi, un gruppo di senatori ha preparato nuove sanzioni
contro l’Iran alla fine di dicembre, se i negoziati sulla questione nucleare
raggiungessero un punto morto. In risposta, i parlamentari iraniani hanno
preparato le loro misure di risposta che potrebbero applicare nel caso in cui
gli Stati Uniti indurissero la loro posizione e le trattative fallissero. Anche
se è chiaro che lo stesso presidente Obama sia interessato al buon esito del
processo di Ginevra, in quanto ciò contribuirà ad un significativo congelamento
del programma nucleare iraniano e alla normalizzazione delle relazioni con
Teheran, permettendo a Washington di proseguire sul percorso volto a
riformattare la propria politica in Medio Oriente, iniziato nell’ottobre 2013.
Ciò quando l’amministrazione statunitense finalmente aveva capito la fatalità nel sostenere le forze che nel mondo arabo assistono l’Islam radicale, l’estremismo e anche il terrorismo, finanziando e fornendo assistenza militare ad organizzazioni e gruppi affiliati ad al-Qaida o a correnti anche più radicali della loro ideologia. Il loro obiettivo è trasformare il mondo arabo in un radicale califfato wahhabita. Inoltre, è bastato solo l’esempio della sanguinosa guerra in Siria a spingere gli strateghi statunitensi a rendersene conto, iniziando lo sviluppo di nuovi approcci nella loro politica regionale. Ciò spiega il cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’Iran, che può diventare un vero e proprio contrappeso alla politica aggressiva dell’Arabia Saudita, e ancora di più da quando la dipendenza dal petrolio dell’economia degli Stati Uniti s’è notevolmente ridotta dopo la “rivoluzione dello shale”, e l’importanza del regno wahabita è diminuita, anche riguardo le forniture energetiche mondiali. Allo stesso tempo, le aziende statunitensi ed europee sono interessate a partecipare alla modernizzazione dell’economia iraniana e allo sviluppo dei grandi progetti petroliferi e gasiferi congelati dalle sanzioni. Inoltre, l’Iran è un mercato molto grande, dati i suoi 70 milioni di abitanti e una solvibilità dovuta alle vaste risorse in petrolio e gas del Paese, il cui sviluppo, in particolare del South Pars Gas Field, richiederà decine di miliardi di investimenti e le tecnologie più avanzate, anche per la realizzazione di impianti per la liquefazione del gas per l’esportazione. I settori energetico, industriale, delle telecomunicazioni e dei trasporti iraniani hanno enormi opportunità d’investimento. In altre parole, questa è una zona ambita per il business occidentale, molto più promettente delle economie dei Paesi del CCG, dove le risorse lavorative sono limitate.
Così, l’Arabia Saudita s’è innervosita rendendosi conto che il suo posto quale principale alleato strategico degli USA nel Golfo Persico potrebbe presto essere preso dall’Iran. Tanto più, sapendo che Teheran ha svolto questo ruolo negli anni ’70 sotto il regime dello Scià. Inoltre, se si considerano le potenti forze armate iraniane, che saranno sicuramente modernizzate, si può capire di cosa Riyadh ha paura, del completo cambiamento dell’equilibrio delle forze regionali, dove l’Arabia Saudita cadrà nell’ombra di Iran e Iraq. Tuttavia, invece di fare passi verso Teheran, i decrepiti leader testardi e conservatori dell’Arabia Saudita hanno iniziato semplicemente a “giocare trucchi sporchi” sviluppando un ragnatela di intrighi anti-iraniani. In un primo momento, i sauditi hanno cercato di spingere Israele ad attaccare gli impianti nucleari iraniani. Poi, quando tale idea è venuta meno, Riyadh ha deciso di creare un blocco militare anti-Iran trasformando il GCC da unione economica e politica delle monarchie arabe in un’alleanza militare. All’ultimo vertice dell’organizzazione, a dicembre in Quwayt, i sauditi hanno presentato la proposta per creare una sorta di NATO del “Golfo” per dissuadere l’Iran. Anche se, come è noto, l’Iran non ha mai attaccato i suoi vicini nella storia moderna, dalla rivoluzione khomeinista, ma ha solo lottato per respingere l’aggressione dell’Iraq del 1980, istigata da Arabia Saudita, Paesi del GCC e Stati Uniti. Finora gli altri membri del Consiglio, con l’eccezione del Bahrain il cui regime dipende totalmente dalle baionette saudite (le truppe saudite sono entrate nell’isola nel febbraio 2011 per reprimere le manifestazioni della popolazione a maggioranza sciita), reagiscono con freddezza a tutto ciò. Solo una sorta di comando militare è stato stabilito, ma non vi sono forze armate congiunte. Inoltre, i piccoli principati arabi del Golfo difficilmente vorrebbero peggiorare le relazioni con l’Iran, dato che questo Paese esce dall’isolamento occidentale. Inoltre, Riyadh parla di far rivivere il sistema di difesa missilistica regionale “ParsPRO”, per respingere eventuali attacchi missilistici ed aerei iraniani contro il GCC. I suoi componenti, basati sui sistemi “Patriot“, dovrebbero essere posizionati praticamente ovunque, dal Quwayt a Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Perciò hanno pianificato una spesa di 20 miliardi di dollari solo per iniziare. Inoltre, ciò avviene nonostante il fatto che all’inizio di dicembre, il ministro degli Esteri iraniano Muhammad Javad Zarif abbia visitato quattro Paesi del Golfo presentando una serie di interessanti iniziative per rafforzare la stabilità e la sicurezza nel Golfo, ricevendo risposte positive da Quwayt, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Oman.
In ogni caso, possiamo essere certi che Teheran potrà prossimamente superare le difficoltà che permangono e compiere un balzo in avanti, nonostante le macchinazioni dell’Arabia Saudita e la pressione della lobby pro-Israele su Washington. La Russia lo capisce e si prepara ad espandere la cooperazione con l’Iran, un Paese amico della Federazione Russa. Non è un caso che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov abbia compiuto una visita ufficiale a Teheran a metà dicembre, e che la capitale dell’Iran abbia ospitato una riunione della Commissione intergovernativa congiunta per la cooperazione economica, commerciale, scientifica e tecnica.
Viktor
Titov, PhD in Storia, osservatore politico del Medio Oriente, in esclusiva per
la rivista online New Oriental Outlook.
Traduzione
di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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