Le
perdite di rete sono pari al 32%. Siamo secondi al mondo per consumo di acqua
in bottiglia (234 euro all'anno per famiglia). E gli investimenti? 30 euro per
abitante contro i 100 euro del Regno Unito
Le tariffe più basse d'Europa: 85
centesimi al giorno per famiglia. Le tariffe italiane per il servizio idrico
sono le più basse d'Europa. In
media una famiglia di tre persone con un consumo annuo di 180 metri cubi spende
307 euro all'anno, 25,6 euro al mese: quanto il costo di una tazzina di caffè
al bar al giorno (85 centesimi). Si tratta dello 0,9% della spesa media mensile
di una famiglia. Per lo stesso servizio in Spagna si spendono 330 euro
all'anno, in Francia 700 euro, in Austria, Germania e Regno Unito 770 euro. Dei
307 euro italiani, solo 143 euro riguardano il servizio di acquedotto. Il resto
serve per pagare fognature e depurazione. Quindi, per avere acqua potabile in
casa, una famiglia italiana spende circa 40 centesimi al giorno. Tutto questo
non ha impedito, tuttavia, la sedimentazione nel tempo di tassi di morosità
molto più elevati di quelli di energia elettrica e gas: 3,8 miliardi di euro di
crediti scaduti, di cui 1,1 miliardi da oltre 24 mesi.
Ma si spendono 234 euro all'anno per
l'acqua minerale. Allo stesso
tempo siamo il Paese europeo con il più elevato consumo pro-capite di acqua in
bottiglia, e addirittura il secondo al mondo. Il 61,8% delle famiglie italiane
acquista acqua minerale e il consumo medio è pari a 192 litri all'anno per
persona. In media ogni famiglia italiana spende 234 euro all'anno per l'acqua
in bottiglia. Del resto, il 31,2% della popolazione non si fida dell'acqua che
esce dal rubinetto della propria abitazione: una percentuale che sale
nettamente al Sud (si arriva al 60,4% in Sicilia), ma che aumenta ovunque nel
caso di allarmi connessi alla potabilità (si pensi ai casi di acqua contenente
arsenico).
Infrastrutture carenti: si spreca il
31,9% dell'acqua. Siamo un
Paese ricco di acqua, ma ne sprechiamo quantità enormi. Le nostre
infrastrutture idriche sono carenti, obsolete e inadeguate. Le perdite di rete
sono pari al 31,9% e ciò costringe ad aumentare il prelievo di acqua alla fonte
impoverendo la risorsa ed esponendo alcuni territori a cronici disservizi:
l'8,9% della popolazione italiana denuncia interruzioni di erogazione, con
punte del 29,2% in Calabria. Anche in questo caso il confronto con i partner
europei è impietoso: in Germania le perdite di rete sono pari al 6,5%, in
Inghilterra e Galles al 15,5%, in Francia al 20,9%.
I rischi per la salute e l'ambiente. Il 20% delle acque reflue viene smaltito
senza essere depurato, finendo per inquinare mari, fiumi e laghi del Belpaese.
Proprio per la mancata depurazione delle acque reflue abbiamo già avuto due
condanne in sede europea. Una quota consistente di popolazione (il 15%, con
punte del 22% nel Mezzogiorno) non è allacciata ad alcuna rete fognaria e il
30% non è collegato a un impianto di depurazione. Anche nei Comuni capoluogo il
10% della popolazione non è servito da depuratore. Rischiamo di pagare multe
salate per il mancato adeguamento degli scarichi dei nostri agglomerati urbani,
ma soprattutto sono a rischio la salute dei cittadini, l'ambiente e l'economia
turistica.
Un sistema di gestione frammentato. A vent'anni dalla riforma che ha introdotto
il Servizio idrico integrato (legge Galli del 1994), la gestione dell'acqua
rimane caratterizzata da contraddizioni e paradossi che solo oggi, con
l'affidamento del compito di regolazione all'Autorità per l'energia elettrica e
il gas, possono entrare nell'agenda delle priorità del Paese e si possono
cominciare ad affrontare. Il servizio idrico in Italia fa capo a una platea
eterogenea di soggetti gestori. Sono più di 300, con una grande variabilità di
dimensioni e natura giuridica. Si va dal gestore di un solo Comune di 500
abitanti all'Acquedotto Pugliese (100% di proprietà della Regione) che serve 4
milioni di abitanti. L'11% dei Comuni se ne occupa direttamente «in economia» e
non tramite un gestore vero e proprio. Un ulteriore 19% degli enti locali ha
una gestione «salvaguardata» risalente a prima della legge Galli. Mancano big
player industriali capaci di andare anche sui mercati esteri, come fanno le
grandi aziende francesi. Da noi la presenza dell'impresa privata nella gestione
dei servizi idrici, assoluta protagonista nel Regno Unito e maggioritaria in
Francia e Spagna, è confinata a un ruolo marginale.
Investimenti: solo il 30% di quanto
spende il Regno Unito. Per
recuperare il terreno perduto, rimettendo a posto acquedotti colabrodo e
realizzando reti fognarie e impianti di depurazione delle acque reflue
adeguati, servono investimenti rilevanti. Anche da questo punto di vista il
confronto con l'Europa è preoccupante. In Italia si investe ogni anno
l'equivalente di 30 euro per abitante, in Germania 80 euro, in Francia 90 euro,
nel Regno Unito 100 euro. Si stima che, per riportare il livello delle
infrastrutture idriche italiane in linea con gli standard europei, bisognerebbe
investire 65 miliardi di euro in trent'anni: una cifra ingente, equivalente ad
esempio a oltre 7 volte il costo della tratta internazionale della linea
ferroviaria Torino-Lione tra Francia e Italia.
Fonte: CENSIS