martedì 31 maggio 2011

DRAGHI: "CRESCERE, TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA"

«La crescita di un'economia non scaturisce solo da fattori economici. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Gli stessi fattori determinano il progresso di un Paese».  lo ha detto Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia nel suo utlimo discorso - molto atteso - da presidente. Da novembre andrà a dirigere la Banca centrale europea, posto chiave e sicuramente un bel colpo - non solo di immagine - per l'Italia. Ma anche, ovviamente, un posto ben più influente dal punto di vista delle politiche economiche internazionali, proprio mentre il nostro paese rischia di essere "declassato" e travolto dalla crisi.   

Declino non ineluttabile: Le considerazioni finali del governatore riprendono il punto un po' da dove era partito, con il suo discorso nel 2006: l'Italia ha le carte in regola per "tornare a crescere". Chiaro che la ricetta del governatore è quella: crescere, crescere, crescere. "E'stata sempre la mia priorità in politica economica", ha spiegato. «Dall'avvio della ripresa, nell'estate di due anni fa, l'economia italiana ha recuperato soltanto 2 dei 7 punti percentuali di prodotto persi nella crisi. Nel primo trimestre di quest'anno il ritmo di espansione è stato appena positivo», ha spiegato Draghi all'Assemblea generale. «Nel corso dei passati dieci anni il prodotto interno lordo è aumentato in Italia meno del 3 per cento; del 12 in Francia, paese europeo a noi simile per popolazione. Il divario riflette integralmente - sottolinea Draghi- quello della produttività oraria: ferma da noi, salita del 9 per cento in Francia. Il deludente risultato italiano è uniforme sul territorio, da Nord a Sud». «Se la produttività ristagna, la nostra economia non può crescere», insiste il Governatore. «Il sistema produttivo- prosegue- perde competitività. Si aprono disavanzi crescenti nella bilancia dei pagamenti correnti. Si inaridisce l'afflusso di investimenti diretti: nel decennio sono entrati in Italia capitali per investimenti diretti pari all'11 per cento del Pil, contro il 27 in Francia». Sulle cause di questa bassa produttività, ricorda Draghi, si è focalizzata molta parte delle ricerca di Bankitalia in questi anni. E il quadro che emerge è chiaro. Ne ho dato conto più volte, in primo luogo in questa sede. Le nostre analisi chiamano in causa- spiega- la struttura produttiva italiana, più frammentata e statica di altre, e politiche pubbliche che non incoraggiano, spesso ostacolano, l'evoluzione di quella struttura« .

Imprese più grandi: Secondo il governatore sono sostanzialmente due i "cardini" su cui operare in termini di politiche nazionali epr far ripartire il mercato: creare un sistema produttivo che "non sia più basato soltanto su piccole o piccolissime imprese a conduzione famigliare", poiché "esse sono più chiuse all'innovazione tecnologica e alla capacità di gestire un contesto di globalizzazione" come anche di "aggredire nuovi mercati". La flessibilità tipica delle piccole imprese, che in passato ha sostenuto la nostra competitività, «oggi non basta più». . «Una diffusa proprietà familiare - osserva - non è caratteristica solo italiana: lo è invece il fatto che anche la gestione rimanga nel chiuso della famiglia proprietaria».   

Riequilibrio della flessibilità: Il governatore è tornato a parlare di precarietà, tema che infiamma il dibattito pubblico anche se non in modo abbastanza convinto le piazze. Che la precarietà strozzi i giovani, ormai è un dato assodato. ma secondo Draghi il problema è che la flessibilità si abbatte soltanto sulle fasce giovanili "nel primo ingresso al lavoro", creando così un "dualismo" con chi è più garantito - e che in genere appartiene alle fasce più anziane. In questo scenario, per Draghi, «riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro, oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d'ingresso, migliorerebbe le aspirazioni di vita dei giovani; spronerebbe le unità produttive a investire di più nella formazione delle risorse umane, a inserirle nei processi produttivi, a dare loro prospettive di carriera». Draghi si concentra poi sul fronte delle relazioni industriali, quale strumento uno strumento per «favorire l'ammodernamento e la competitività del sistema produttivo, nell'interesse di tutte le parti». «Sono stati compiuti passi per rafforzare il ruolo della contrattazione aziendale, ma la prevalenza di quella nazionale, l'assenza di regole certe nella rappresentanza sindacale ancora limitano - sottolinea Draghi- la possibilità per i lavoratori di assumere impegni nei confronti dell'azienda di appartenenza; ne attenuano la capacità di influire sulle loro stesse prospettive di reddito e di occupazione».        

Riduzione delle tasse: Altro rimedio "old style", anche se certamente un punto che non si può far finta di non vedere (l'Italia è uno dei paesi europei con le tasse più alte) è la riduzione della tassazione "per le imprese e per il lavoro", ha detto Draghi. «Oggi bisogna in primo luogo ricondurre il bilancio pubblico a elemento di stabilità e di propulsione della crescita economica - dice nel suo intervento - portandolo senza indugi al pareggio». Bisogna allora procedere sia «a una ricomposizione della spesa a vantaggio della crescita», sia ridurre «l'onere fiscale che grava sui tanti lavoratori e imprenditori onesti».Soldi che andrebbero recuperati combattendo l'evasione fiscale.

Tagli tagli tagli: Il quasi-governatore della Bce porta in valigia un bel paio di forbici. Affidabile sul piano internazionale e apprezzato da tutti anche perché non scorda di sottolineare che "non ci sono scorciatoie" e i "debiti sovrani andranno ripianati", chi accede ad aiutoi lo dovrà fare "secondo regole stringenti". Niente sconti, d'altronde "obiettivo primario" della Bce è "la stabilizzazione monetaria", messa a rischio da un "rischio dic rescita dell'inflazione" e ovviamente da "la crisi del debito sovrano di tre paesi - che rappresentano insieme il 6% del Pil dell'area - ha il potenziale per esercitare rilevanti effetti sistemici". Dunque, per quanto riguarda l'Italia, paese a rischio come già detto, la ricetta di Draghi è: taglia lla spesa. Da questo putno di vista ha mostrato di apprezzare la decisione di anticipare la manovra correttiva a giungo: " Il deficit, quest'anno vicino al 4%, è migliore della media dei Paesi dell'euro, ma il debito pubblico viaggia vicino al 120%. Così - dice Draghi - «appropriati sono l'obiettivo di pareggio del bilancio nel 2014 e l'intenzione di anticipare a giugno la definizione della manovra correttiva per il 2013-14». La manovra dovrà essere «tempestiva, strutturale, credibile agli occhi degli investitori internazionale, orientata alla crescita», perchè così consentirebbe un calo dei tassi sul debito pubblico. Draghi traccia anche il sentiero. Non si possono ridurre gli investimento o aumentare le entrate. Va ridotta allora la spesa che serve alla gestione pubblica «di oltre il 5 per cento in termini reali nel triennio 2012-14, tornando, in rapporto al Pil, sul livello dell'inizio dello scorso decennio». Attenzione però: «non è consigliabile procedere a tagli uniformi in tutte le voci» perchè penalizzerebbe le amministrazioni virtuose e «inciderebbe sulla già debole ripresa dell'economia, fino a sottrarle circa due punti di Pil in 3 anni». Serve invece «un'accorta articolazione della manovra, basata su un esame di fondo del bilancio degli enti pubblici, voce per voce, commisurando gli stanziamenti agli obiettivi di oggi, indipendentemente dalla spesa del passato». È quello che i tecnici chiamano spending rewiev.

Servizi pubblici, no a privatizzazione: Quanto meno la crisi e il generalizzato ristagno dei salari hanno fatto capire che non ha senso andare anche verso la privatizzazione selvaggia dei servizi pubblici, ma la porta è aperta alla "concorrenza regolata". «La concorrenza, radicata in molta parte dell'industria, stenta a propagarsi al settore dei servizi, specialmente quelli di pubblica utilità», è il richiamo che giunge dal Governatore edi Bankitalia. «Non si auspicano- tiene a sottolineare- privatizzazioni senza controllo, ma un sistema di concorrenza regolata, in cui il cliente, il cittadino sia più protetto». «La sfida della crescita- dice Draghi- non può essere affrontata solo dalle imprese e dai lavoratori direttamente esposti alla competizione internazionale, mentre rendite e vantaggi monopolistici in altri settori deprimono l'occupazione e minano la competitività complessiva del Paese».

Il ruolo delle donne: Siccome è un bravo economista, Mario Draghi non manca certo di dedicare spazio anche ai fattori "collaterali", ma in realtà essenziali, che fanno la cultura dell'impresa e del lavoro di un apese. Si va dalla credibilità delle istituzioni, all'efficienza della giustizia. Ma è inevitabile - soprattutto dopo gli socnfortanti dati dell'Istat diffusi pochi giorni fa - puntare la lente sullo scarso coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro. Più e meglio preparate, le donne trovano più difficilmente lavoro e guadagnano di meno. È quanto sottolinea il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nelle sue Considerazioni finali all'Assemblea generale, spiegando che la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un «fattore cruciale di debolezza del sistema». «Oggi il 60% dei laureati è formato da giovani donne - ricorda Draghi - conseguono il titolo in minor tempo dei loro colleghi maschi, con risultati in media migliori, sempre meno nelle tradizionali discipline umanistiche. Eppure - aggiunge - in Italia l'occupazione femminile è ferma al 46%, venti punti in meno di quella maschile, è più bassa che in quasi tutti i Paesi europei soprattutto nelle posizioni più elevate e per le donne con figli; e le retribuzioni sono, a parità di istruzione ed esperienza, inferiori del 10% a quella maschili». 


BRACCONAGGIO: FORESTALE, DENUNCIATI TRE CACCIATORI DI FRODO SULL'ISOLA DI PONZA

I bracconieri sono stati identificati grazie ad alcuni filmati che li immortalavano mentre sistemavano le trappole per catturare la fauna selvatica.

Un nuovo blitz contro la caccia di frodo è stato messo a segno nei giorni scorsi dai Forestali del Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale di Latina, con l'ausilio dei Carabinieri della locale stazione, sull'isola di Ponza.

A conclusione di una complessa indagine, infatti, sono stati identificati tre bracconieri - C.L., R.M. e V.S. - grazie alle riprese dei volontari del Cabs (Committee Against Bird Slaughter), organizzazione europea che tutela gli uccelli migratori dall'assalto dei bracconieri.

I tre erano stati filmati a metà aprile mentre sistemavano le trappole in località "Punta Incenso" per catturare la fauna selvatica. A seguito di tali riprese sono subito scattate accurate indagini da parte della Forestale, con l'aiuto dei Carabinieri di Ponza, e si è giunti all'identificazione e alla relativa denuncia all'Autorità Giudiziaria competente per caccia di frodo con mezzi non consentiti.

Questa operazione è solo l'ultimo intervento che ha permesso tra aprile e maggio al Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale di denunciare ben nove persone sorprese a praticare la caccia in periodo vietato.

Negli stessi giorni, una buona notizia, visto che è stato liberato dalla Forestale, in collaborazione con i Carabinieri e con le guardie venatorie provinciali, un falco pecchiaiolo (pernis apivorus) che era stato rinvenuto sulla falesia di Chiaia di Luna, sotto le reti di protezione installate per evitare il pericolo di caduta massi. L'animale, dopo essere stato rifocillato, è stato liberato sul monte Pagliaro.

OPERAZIONE ADORNO: TRATTO IN ARRESTO DALLA FORESTALE UN BRACCONIERE NEL REGGINO

Sequestrate armi da caccia, munizioni e un esemplare di falco pecchiaiolo abbattuto. L'uomo è stato condannato per porto abusivo di arma clandestina utilizzata in attività venatoria nei confronti di specie particolarmente protette e in periodo non consentito

Un pensionato dedito ad attività di bracconaggio sul versante calabrese dello Stretto di Messina è stato colto in flagrante, denunciato e tratto in arresto da una pattuglia del Corpo forestale dello Stato. Aveva ucciso con un fucile a matricola abrasa un esemplare femmina ed adulto di Falco Pecchiaiolo (Pernis apivorus), comunemente chiamato adorno, che in primavera migra attraversando lo Stretto, dove si concentra ed è vittima di una diffusa attività di bracconaggio.

Per questo è una specie protetta da norme nazionali e comunitarie e il Corpo forestale dello Stato, sulla base di specifiche direttive del Nucleo Operativo Antibracconaggio (NOA) dell'Ispettorato Generale di Roma, nel periodo di transito del rapace organizza servizi mirati.

Ad intervenire è stata una pattuglia composta da circa 30 unità dipendenti dal Comando Regionale Calabria del CFS e qualche unità del NOA di Roma che coordina l'operazione. In sinergia con i volontari di associazioni ambientaliste che hanno allertato gli agenti dopo aver udito alcuni spari.

L'operazione si è svolta nell'area del Pilone di Santa Trada, nel comune di Scilla, su un territorio rurale impervio dove il 60enne residente nel reggino, si era inerpicato per mirare al rapace.

Successivamente i Forestali hanno effettuato perquisizioni presso l'abitazione ed un ricovero agricolo del pensionato, dove hanno sequestrato 5 fucili poiché detenuti senza autorizzazione in luogo diverso da quello comunicato, 5.000 cartucce e 16 chili di polvere da sparo detenuti anch'essi illecitamente.

Sotto sequestro sono finiti anche il fucile a matricola abrasa, l'esemplare di falco, e altri due fucili occultati trovati nei giorni scorsi nascosti nella vegetazione e appartenenti all'uomo con ogni probabilità.

Il responsabile è stato dunque arrestato dai Forestali per porto abusivo di arma clandestina con la quale cacciava in periodo non consentito specie particolarmente protette. Si ipotizza inoltre che l'arma possa provenire da attività di ricettazione. L'arresto è stato convalidato dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria. Poiché oltre ad essere incensurato ha ammesso le proprie colpe, il 60enne è stato rimesso in libertà in attesa della celebrazione del processo prevista per i primi di giugno.

LAVORO: ISTAT; FAMMONI, CALO OCCUPAZIONE VERA E PROPRIA VORAGINE

Una vera e propria voragine che invece di attenuarsi tende ad assumere carattere di strutturalità”. Così il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, commenta le stime provvisorie dell’Istat su ‘Occupati e disoccupati’ di aprile. Dati che per il dirigente sindacale evidenziano come “l'occupazione cali ancora mentre la distanza con gli occupati del primo semestre del 2008, cioè prima della crisi, ritorni a circa 650mila lavoratori in meno”.

Fammoni sottolinea inoltre comeil tasso di occupazione scende sotto il 57% e la nostra distanza con l'Europa, spesso citata a sproposito, si acuisce. E questo nonostante il bacino degli ammortizzatori sociali che però è sempre più precario e a rischio. Se qualcuno invece volesse strumentalmente usare il calo solo nominale della disoccupazione a scopo di propaganda, almeno per pudore, si fermi prima. Ormai è chiara a tutti - denuncia il sindacalista -, meno che al governo, l'anomalia del mercato del lavoro italiano basata sul binomio disoccupazione-inattività e scoraggiamento che porta il dato reale dei disoccupati a superare la media europea. Quando scende la disoccupazione sale il bacino degli scoraggiati, questa volta addirittura del doppio, e il risultato è ancora più negativo”.

Quindi, spiega Fammoni, “non solo manca lavoro, ma si smette anche di cercarlo. Una sfiducia che deve essere superata anzitutto contrastando questo proliferare di lavoro precario, insicuro, mal pagato e senza prospettive previdenziali che fa refluire nel sommerso”. Per invertire questo trend, osserva il segretario confederale Cgil, “servirebbero scelte di merito e un messaggio chiaro: meno precariato, tutele per chi non ne ha e per chi rischia di perderle, politiche industriali e di sviluppo, riforma fiscale a favore del lavoro dipendente e dei pensionati per far ripartire consumi e produzione. Tutto questo però non c'è nell'agenda di un governo non solo inadeguato ma che - conclude Fammoni - con le sue scelte, e non scelte, acuisce i problemi della crisi e del lavoro creando danni al paese”.


REFERENDUM:WWF,‘LA CORTE COSTITUZIONALE RICORDA: LA SOVRANITA’ POPOLARE NON SIA RIDOTTA A PURA APPARENZA’

Ci sono numerose sentenze della Corte Costituzionale che non solo richiamano al rispetto dei principi ispiratori di coloro che hanno promosso i quesiti referendari, ma che censurano modifiche normative strumentali, per disattivare i referendum”. Lo afferma il WWF Italia in una memoria inviata oggi all’Ufficio centrale per i referendum presso la Corte di Cassazione in vista del pronunciamento di domani sul referendum nucleare. “Precedenti sentenze della Corte costituzionale – spiega l’associazione ambientalista - stabiliscono chiaramente che se l’intenzione del legislatore rispetto alla norma oggetto di referendum, rimane fondamentalmente identica la richiesta referendaria ‘non può essere bloccata perché diversamente la sovranità del popolo (…) verrebbe ridotta ad una mera apparenza’.

Proprio in difesa della sovranità popolare e delle garanzie a tutela del referendum, anche il WWF Italia ha deciso oggi di inviare una sua Memoria per contrastare il tentativo del Governo di affossare il referendum sul nucleare grazie al suo emendamento presentato all’art. 5 del decreto Omnibus, convertito in legge il 25 maggio scorso, nel quale si prevede tra l’altro che il nucleare possa anche essere rilanciato approvando un semplice strumento amministrativo qual è la Strategia energetica nazionale e non con un’apposita norma votata dalle Camere.



L’attenzione del WWF – prosegue la nota - si incentra sui commi 1 ed 8 dell’art. 5 che confermano l’intento solo sospensivo dell’iniziativa governativa in attesa delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione Europea, motivo già di per sé stesso strumentale come dimostra nel concreto la decisione presa ieri dal Governo tedesco di abbandonare il programma nucleare, che trova conferma, fa notare il WWF, sempre nella Sentenza della Corte Costituzionale (CC) n. 28/2011 che chiarisce come il Trattato dell’Unione Europea non contiene prescrizioni specifiche che vincolino gli Stati ad installare centrali nucleari.

Con riferimento alle modifiche normative che intervengano sui quesiti referendari, il WWF ricorda i contenuti de:

- La Sentenza della CC n. 68/1978 che rimarca come la nuova legislazione che interviene sulle norme sottoposte a referendum deve dar prova con chiarezza che i principi ispiratori sono mutati dalla nuova norma sopraggiunta e che quindi la nuova legislazione non è più ricollegabile alla precedente iniziativa referendaria e che censura interventi che riducano la sovranità popolare a mera apparenza;

- La Sentenza della CC n. 16/1978 che ricorda come non si possa solo abrogare singole norme per disattivare il referendum ma si debba tenere conto dell’effetto complessivo dell’iniziativa legislativa poiché il tema del quesito sottoposto agli elettori non è tanto formato (…) dalla serie di singole disposizioni da abrogare quanto dal comune principio che se ne ricava”.

- La Sentenza della CC n. 28/2011, con la quale à stato ammesso proprio il quesito referendario, che chiarisce come il fine intrinseco dell’atto abrogativo consiste nell’intento di impedire la realizzazione e la gestione di tali centrali nucleari.

Sono questi, nella sostanza, gli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale che il WWF sottopone all’attenzione dalla Corte di Cassazione con la Memoria odierna.

LA GERMANIA DICE ADDIO AL NUCLEARE MENTRE IL GOVERNO BERLUSCONI TENTA DI OSTACOLARE IL REFERENDUM (VIDEO)

MARONI CENSURA GUANTANAMO D’ITALIA

Sull’immigrazione Maroni sta mettendo in atto una vera e propria strategia della censura che cancella gli spazi di democrazia per l’informazione in Italia. Dal 1 aprile una circolare firmata dal Ministro dell'Interno Maroni (prot. n.. 1305 del 01/04/2011) non permette l'accesso dei giornalisti nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo politico (CARA).

Ormai la destra si sente talmente tanto la padrona assoluta della democrazia che si permette di liquidare con una circolare di poche righe la liberta' di informazione, istituendo di fatto un regime censorio senza nemmeno passare dal Parlamento. Questa riduzione dei diritti d'informazione non trova, tra l'altro, alcuna giustificazione sostanziale per un governo che si muove ormai fuori dalla legalita' europea per non aver recepito la direttiva rimpatri del 2008. Se a questo aggiungiamo i reiterati episodi che hanno visto impedire a diversi parlamentari la visita ai CIE, in palese violazione della Costituzione, ci troviamo di fronte ad un’inquietante e deliberata ‘strategia della censura’ volta ad impedire ai cittadini italiani di venire a conoscenza della portata, della gravita' e della drammatica situazione dei migranti ormai da considerarsi dei veri e propri "detenuti" dentro le piccole “Guantanamo d’Italia” disseminate da Maroni su tutta la penisola. Questo modo di agire impedisce l’emergere delle gravissime violazioni dei diritti umani che vengono perpetrate in questi centri, con il risultato di non dover rispondere in alcuna misura all'opinione pubblica che rimane totalmente all'oscuro del trattamento riservato ai migranti. Per queste ragioni aderisco e sostengo convintamente l'appello pubblicato oggi e la mobilitazione che ne seguira'.


Martedì 31 maggio alle ore 14:30 conferenza stampa presso la sala stampa della Camera. Partecipano gli onorevoli Giuseppe Giulietti e Jean Leonard Touadì, e il presidente Fnsi Roberto Natale.
Per accrediti stampa: riva.camera@gmail.com  - 06/67608797


lunedì 30 maggio 2011

SOLO CENTROSINISTRA: PISAPIA SINDACO DI MILANO, DE MAGISTRIS TRIONFA A NAPOLI. IL PREMIER: "SCONFITTA, MA IL GOVERNO VA AVANTI"

Alla sinistra anche Cagliari e Trieste. Il premier: "Ho sentito Bossi, è d'accordo sul proseguire"

Un 'cappotto', lo definiscono quelli del Pd. La festa è già cominciata, anche se lo spoglio non è ancora concluso: Giuliano Pisapia è sindaco di Milano, Luigi De Magistris è sindaco di Napoli. Sbaragliati Letizia Moratti e Gianni Lettieri. Ma il risultato del centrosinistra è più largo di quello simbolico delle due grandi città: si è votato in 88 comuni, di cui 13 capoluoghi di provincia e anche per eleggere i presidenti di sei amministrazioni provinciali. E il trend appare inequivocabile. La maggioranza Pdl-Lega è alle prese con una netta sconfitta.

MILANO A PISAPIA - Dopo lo scrutinio di tutte le 1.251 sezioni a Milano, Giuliano Pisapia è sindaco con il 55,1% dei voti. Letizia Moratti, quindi è al 44,9%. Definitivo anche il dato dell'affluenza nel capoluogo lombardo: sono andati a votare il 67,3%, in linea con i dati del primo turno. 

NAPOLI A DE MAGISTRIS - Ancor più netti i dati a Napoli, dove Luigi De Magistris è al 65,4% e Gianni Lettieri al 34,6%. Le 886 sezioni scrutinate dicono che De Magistris quasi doppia Lettieri: il candidato dell'Idv ha ottenuto 264.730 voti contro i 140.203 dell'esponente di centrodestra. 

LE ALTRE - Il centrosinistra vince a Cagliari, dove il candidato sindaco Massimo Zedda vola con un 59,4% (mentre Massimo Fantola si ferma al 40,6%), a Trieste dove Roberto Cosolini, al 57,5%, fa altrettanto (Roberto Antonione, candidato del centrodestra, è sotto di 15 punti), e poi ancora a Grosseto, dove il nuovo sindaco è il candidato del centrosinistra Emilio Bonifazi con il 57,3% (Mario Lolini 42,7%), e a Novara dove il vantaggio di Andrea Ballaré è un po' meno ampio (52,9%). Al centrodestra invece vanno Varese, con Attilio Fontana (53,9%) che supera Luisa Oprandi (46,1%), e Cosenza, con Mario Occhiuto (53,3%) che ha la meglio su Enzo Paolini (46,7%). 

Stesso discorso per le provinciali. A Trieste è presidente Maria Teresa Bassa Poropat (58,7%) del centrosinistra batte Giorgio Ret del centrodestra, e a Mantova Alessandro Pastacci (57,3%) sconfigge Giovanni Fava. A Pavia Bosone, sempre del centrosinistra, si impone con il 51,2% su Invernizzi mentre a Vercelli prevale Vercellati del centrodestra con il 50,9%. 

PISAPIA: "MILANO E' STATA LIBERATA" - "Milano è stata liberata". E' il primo commento di Giuliano Pisapia in conferenza stampa dopo la vittoria a Milano. "Un pensiero anche a Napoli visto che mio padre era napoletano e mia madre milanese, credo che questo sia un segnale forte", aggiunge il neo sindaco. "Quando sono arrivate le menzogne e le calunnie- prosegue-, abbiamo risposto con l'ironia e il sorriso. E' stato un segnale di buona politica che spero possa essere vincente in tutta Italia". "Milano- chiude- può essere un esempio nazionale perchè ha restituito impegno, entusiasmo e ha scelto il confronto sullo scontro". 

DE MAGISTRIS: "I NAPOLETANI HANNO SCRITTO UNA PAGINA STORICA" - "I cittadini napoletani hanno scritto una pagina storica". E' stata "una grande vittoria di popolo, popolare ma non populista e demagogica". Così il neosindaco di Napoli, Luigi De Magistris. 

BERLUSCONI: "SCONFITTI, MA IL GOVERNO VA AVANTI" - "La sconfitta è evidente. Abbiamo perso. L'unica strada è tenere i nervi saldi e andare avanti. Sono un combattente. Ho sentito Bossi ed è d'accordo di andare avanti insieme". Così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, sull'esito dei ballottaggi per le elezioni amministrative.

Fonte Agenzia Dire www.dire.it

GREENPEACE ALLO STADIO OLIMPICO CONTRO IL NUCLEARE (VIDEO)





siamo in azione allo stadio Olimpico di Roma. All'inizio del primo tempo della finale di Coppa Italia, i nostri attviisti si sono calati dall'anello di copertura dello stadio e hanno aperto uno striscione di 200 metri quadrati con la scritta
"Da Milano a Palermo, fermiamo il nucleare".

Con il decreto Omnibus il Governo sta cercando di toglierci il diritto di votare al Referendum sul nucleare il 12 e 13 giugno. Ma la partita non è ancora chiusa: nei prossimi giorni la Corte di Cassazione deciderà se il Referendum sarà veramente annullato. E noi confidiamo nel giudizio della Corte. 

Lo striscione all'Olimpico va di pari passo con l'iniziativa de ipazzisietevoi.org, i sette ragazzi che da 17 giorni hanno deciso di vivere reclusi in un rifugio anti-radiazioni e con la protesta degli attivisti che da 5 giorni sono rinchiusi in un enorme bidone nucleare al Pincio, sopra Piazza del Popolo a Roma.







Fonte: http://greenpeace.it/

EDITORIALE – GIOVANI E LAVORO, IL SOGNO INFRANTO

In Italia per lavorare bisogna avere poche aspirazioni. D'altronde i politici lo dicono da tempo: "Giovani, fate i lavori manuali"

In Italia ormai trovare un lavoro, soprattutto a tempo indeterminato, sta diventando un’utopia, un sogno condiviso e allo stesso tempo un’ansia angosciante per milioni di ragazzi. Accusati di essere un popolo di bamboccioni, i giovani italiani sono invece continuamente alle prese con contratti che scadono e con annunci di lavoro che tolgono ogni speranza a chi li legge. Sono spesso richiesti anni ed anni di esperienza lavorativa difficili da accumulare durante l’università (che nel frattempo è stata allungata di un anno), almeno tre lingue, la conoscenza del pacchetto Office. E poi possibilmente essere single. Impossibile non scoraggiarsi di fronte a certi requisiti che sembra possedere solo un supereroe.

L’estero come unica soluzione. Ai giovani avevano detto che lo studio li avrebbe premiati con un futuro sicuro. Eppure, sembra che un incredibile paradosso si stia radicando nel nostro Paese: più si hanno titoli di studio e qualifiche, più è difficile trovare un lavoro. Per avere un contratto a tempo indeterminato ed una buona posizione, si punta ai concorsi pubblici, luogo prediletto dai “raccomandati”. Ma i concorsi vengono banditi sempre più raramente a causa della mancanza di soldi della pubblica amministrazione. Troppi titoli di studio, poca esperienza lavorativa e l’età avanzata (26/27 anni), non rendono competitivo un candidato che decide di puntare al settore privato. Per molti allora si inizia a prospettare un’unica soluzione, andare all’estero.

Parola d’ordine: ridimensionare le proprie aspirazioni. Chi sono i giovani disoccupati “volontari”? Persone che non sono alla ricerca di un lavoro qualsiasi ma di un lavoro che soddisfi almeno la metà delle proprie aspettative. Non è facile accettare un lavoro qualsiasi dopo tanti sacrifici ed investimenti. Ma l’Italia non è il posto per questo tipo di persone. È un paese dove, per trovare lavoro, è imposto un ridimensionamento delle proprie aspirazioni ed ambizioni. A volte però non è sufficiente neanche questo. Spaventano infatti i dipendenti particolarmente qualificati, sono difficili da controllare.

Meglio un lavoro oggi o una laurea domani? Cosa consigliare allora ai ragazzi che devono scegliere tra liceo ed istituto tecnico, università o lavoro? Difficile rispondere a questa domanda se si considera che non è neanche chiaro se in Italia i laureati siano troppi o troppo pochi. In questa confusione generale e con la scusa della crisi non manca poi chi se ne approfitta facendo lavorare in modo del tutto gratuito e senza prospettive future chi cerca disperatamente e ad ogni condizione di scrivere qualcosa sul proprio curriculum.

Alla fine, inevitabilmente, l’entusiasmo che ha sempre spinto ad andare avanti, ad affrontare gli ostacoli, a non abbattersi di fronte alle delusioni, si scontra con una realtà così contorta e negativa che è difficile da comprendere fino in fondo soprattutto da parte di chi tutto questo non lo ha attraversato. Dicono che per raggiungere i propri sogni ci si debba credere, si debba sempre inseguirli senza mai arrendersi, accompagnando a tanta volontà altrettanto lavoro. Ma in Italia basta tutto questo? I ragazzi italiani non sono assolutamente dei bamboccioni sono solo persone che vorrebbero di più o meglio, o semplicemente ciò che meritano.


BORTOLUSSI : VIA GLI SCONTRINI E LE RICEVUTE FISCALI AD ARTIGIANI E COMMERCIANTI

Via gli scontrini e le ricevute fiscali ad artigiani e commercianti.

A chiederlo è il segretario degli artigiani mestrini, Giuseppe Bortolussi.

La richiesta parte da una considerazione statistica: tra il 2001 ed il 2007, l’80% circa dei controlli eseguiti dalla Guardia di Finanza sulla emissione di scontrini e ricevute fiscali ha dato esito negativo. Vale a dire che baristi, fruttivendoli, idraulici, autoriparatori, falegnami, commercianti, etc., etc. - nonostante le campagne denigratorie che periodicamente subiscono - gli emettono regolarmente. Solo il 20% circa di queste categorie è incorso nelle sanzioni comminate dalle Fiamme Gialle. Nel 2008 e nel 2009, sempre secondo le statistiche estrapolate dai “Rapporti Annuali della Guardia di Finanza, conosciamo solo il numero assoluto dei controlli che hanno evidenziato dei rilievi positivi: dati pressoché in linea con quelli registrati negli anni precedenti. Da ciò, deduciamo che la positività sul totale dei controlli non dovrebbe essersi discostata dal dato medio registrato tra il 2001 ed il 2007 (cioè attorno al 20%).

“Con gli studi ormai a regime – prosegue Bortolussi – la valenza fiscale di questi strumenti non ha più senso, visto che i ricavi degli autonomi, e le conseguenti imposte e contributi da versare allo Stato, sono stabiliti a tavolino dall’Amministrazione finanziaria attraverso gli studi di settore. Visto che in queste ultime settimane il ministro Tremonti è intervenuto opportunamente contro l’oppressione fiscale a carico delle imprese, riteniamo sia il caso che si attivi anche per l’abolizione di scontrini e ricevute”.

Una proposta, ricordano dalla CGIA di Mestre, che era stata al centro di un accordo fatto nel lontano 1996 tra il Governo di allora e le categorie economiche degli artigiani, dei commercianti e dei piccoli imprenditori.

“Intesa – conclude Bortolussi - che prevedeva il superamento della valenza fiscale dello scontrino e della ricevuta una volta che gli studi di settore fossero stati introdotti e applicati a tutte le categorie. A distanza di 15 anni, e con gli studi ormai a regime, questo impegno, purtroppo, non è stato ancora mantenuto.”

CAMUSSO, BASTA CON LE PENSIONI DA FAME, GARANTIRE ALMENO IL 60% DELL'ULTIMA RETRIBUZIONE

Il Segretario Generale della CGIL, in un'intervista al quotidiano 'La Repubblica', accusa Governo e Confindustria: “pensano di privatizzare lo stato sociale come hanno fatto con l'acqua”, “questo esecutivo ha dimostrato di non avere alcuna idea di politica assistenziale se non quella dei tagli".

Il Rapporto annuale dell'INPS per il 2010 fa emergere un quadro delle pensioni italiane con fortissime disparità. Dai 3.800 euro mensili dei dirigenti si precipita ai cento euro dei co. co.co. Susanna Camusso, Segretario Generale della CGIL, va all'attacco del governo e chiede di mettere mano al sistema: basta con le pensioni da fame. “Ai futuri pensionati si deve garantire almeno il 60 per cento dell'ultima retribuzione”.

Devo dire che da questo governo mi aspetto qualunque cosa, ma non credo che ci siano le condizioni per altri tagli allo stato sociale oltre quelli che già si sono fatti. Piuttosto penso che si stia facendo strada, esplicitamente nella Confindustria, più nascosta in alcuni settori del governo, un'idea di privatizzazione dello stato sociale. È la stessa logica che porta l´acqua pubblica nelle mani dei privati. C´è da essere preoccupati”. Susanna Camusso, Segretario Generale della CGIL, risponde così alla domanda se ritenga che il cantiere della previdenza possa riaprirsi. Di fronte ai dati dell'ultimo Rapporto dell'INPS, il leader della CGIL pensa che si debba tornare al progetto “di garantire ai futuri pensionati almeno il 60 per cento dell'ultima retribuzione”. Per evitare di “costruire un paese di poveri”, aggiunge.

Ma questo aumenterebbe la spesa pubblica, mentre tutti i governi europei sono impegnati a ridurla per rientrare nei nuovi vincoli comunitari. “Nel biennio 2008-2009 abbiamo perso sei punti di Pil. Che avranno un effetto secco sulle future pensioni calcolate con il metodo contributivo. Un effetto aggravato dall'inasprimento dei coefficienti di trasformazione voluti dal governo. Sulle pensioni peserà anche il basso livello delle retribuzioni, che si accentua proprio nei settori dove sono più presenti i giovani, penso al commercio, all'area della grande distribuzione a quella dell'assistenza. Aggiungo, poi, che è l'ISTAT ad avere segnalato la crescita del part time involontario. Infine la discontinuità dei rapporti di lavoro avrà conseguenze significative sulle pensioni calcolate con il metodo contributivo”.

Bisognerebbe abbandonare il sistema contributivo? “No, non dico questo. Dico che non possiamo immaginare un paese con un terzo della popolazione, cioè i pensionati, che sia a rischio di povertà. Già oggi otto pensioni su dieci non arrivano a mille euro. Questo è un paese che sta rinunciando a progettare il suo futuro”.

Che l'importo della pensione pubblica fosse destinato a scendere era chiaro fin quando venne varata, con il totale consenso dei sindacati, la riforma Dini. Per questo sono stati poi costituiti i fondi per la previdenza complementare. La realtà è che solo il 23 per cento della popolazione potenziale vi ha aderito. Perché, secondo lei? “Il dato medio è quello. Il punto, però, è che nei settori dove è maggiore la frantumazione del lavoro l´adesione crolla vertiginosamente. Penso all´artigianato. Le piccole imprese continuano a utilizzare il trattamento di fine rapporto (il Tfr) per autofinanziarsi, come fosse roba loro e non retribuzione differita. Scoraggiano i lavoratori ad aderire ai fondi e, come è noto, per i sindacalisti non è facile entrare in quelle aziende. Morale: su quattro milioni di addetti del settore, hanno aderito al fondo solo in 11 mila. Per garantire la prestazione della pensione complementare abbiamo dovuto far confluire il fondo artigiani in quello del commercio. È questa una delle tante contraddizioni dei nostri imprenditori: da una parte dicono che serve la previdenza integrativa, dall´altra continuano a usare il Tfr al posto del credito bancario. Ma anche per questa via si affaccia l´idea di privatizzare un pezzo di stato sociale: al posto dei fondi negoziali, le assicurazioni”.

Di certo abbiamo un welfare sbilanciato sulla spesa pensionistica. Come può pensare che funzioni quando quasi il 70 per cento della spesa sociale va sotto la voce pensioni? “Mi limito a ricordarle che le pensioni, per quanto basse, sono quelle che hanno garantito la coesione sociale in questo paese. Perché sono i pensionati nelle famiglie a integrare i redditi dei giovani precari, a offrire loro una casa, a fare da baby sitter”.

Questo è anche lo stato sociale informale che vede protagoniste le donne. Dove sono finiti secondo lei i miliardi di risparmi dovuti all´innalzamento dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego? Non dovevano servire per costruire più asili? “Ho un sospetto: sono finiti nella spesa corrente. A conferma che questo governo non ha alcuna idea di politica sociale se non quella dei tagli”.

Perché sostenete che dopo il contratto del commercio, che la CGIL non ha firmato, all'INPS mancheranno due miliardi? “Perché è così. L´indennità di malattia non sarà più pagata attraverso il fondo malattia dell'INPS, il commerciante la darà direttamente al lavoratore. Ma c'è di più: siamo sicuri che il piccolo commerciante potrà pagare l´indennità per periodi lunghi di malattia? La rottura dei meccanismi di solidarietà espone sempre i più deboli, lavoratori e imprenditori”.

Fonte: http://www.cgil.it

domenica 29 maggio 2011

L’ITALIA RIPUDIA ...LA PACE E TAGLIA LE SPESE SOCIALI PER PAGARE LA GUERRA

Sono ormai mesi che l’Italia partecipa alla guerra e ai bombardamenti sulla Libia insieme ad altre potenze della Nato.

La motivazione ufficiale è quella di “proteggere i civili”, la motivazione reale è quella di cacciare Gheddafi e mettere le mani sul petrolio e i soldi libici. Per raggiungere questi obiettivi gli aerei e le navi militari francesi, britanniche, italiane e statunitensi stanno bombardando a tappeto le città libiche, producendo migliaia di vittime, quelle stesse che si dichiarava di voler proteggere. Si ripete così il macabro rituale delle stragi di civili, effetto non collaterale di ogni guerra, motivo per il quale muovere guerra è un crimine internazionale, secondo il dettato della nostra Costituzione che” ripudia la guerra”. Perciò è molto grave che anche il Presidente Napolitano e i partiti di opposizione in Parlamento sostengano questa guerra.

La guerra in Libia non è gratis

Ma se la guerra è un dramma per chi rimane sotto le bombe, è illusorio pensare che sia gratis anche per i lavoratori, i disoccupati, i precari dei paesi che stanno bombardando la Libia. Oltre ai costi della crisi economica, il governo vuole farci pagare anche i costi della guerra che vedono milioni di euro buttati via per finanziarla mentre vengono tagliati senza pietà i soldi per le scuole, la sanità, il lavoro, le pensioni, il reddito ai disoccupati.

Un’ora di volo dei caccia-bombardieri Tornado costa 32.000 euro, che passano a 60.000 per gli aerei da ricognizione. In una sola ora costano quanto tre/quattro salari annui di un operaio.

Un missile costa 170.000 euro,un raid aereo costa dai 200 ai 300mila euro, mentre per lo stazionamento di 5 navi militari davanti alle coste libiche servono oltre 10 milioni di euro al mese.

Il totale, finora, fa circa 100 milioni di euro al mese buttati per andare a buttare bombe e missili sulla Libia.

Le basi della guerra sono anche dentro casa nostra

L’ex aeroporto di Centocelle, nel 1997 è diventato la sede del COI, Comando Operativo di Vertice Interforze.

Il COI è la struttura di comando del Capo di Stato Maggiore della Difesa attraverso il quale egli pianifica, predispone e dirige le operazioni nonché le esercitazioni interforze e multinazionali.

Cioè dall'interno dell'aeroporto di Centocelle vengono gestiti e diretti quei 10mila militari italiani impegnati nei teatri di guerra: dall’Afghanistan alla Libia.

Per dire basta alla guerra in Libia, ai bombardamenti e alle spese militari

Per mettere fine alla guerra attraverso il cessate il fuoco e un vero negoziato che consenta l’autodeterminazione del popolo libico sul suo futuro

Manifestiamo mercoledì 1 giugno davanti all’ex aeroporto di Centocelle (sede del Comando Operativo Interforze), alle ore 17.30 in via Scribonio Curione (metro Numidio Quadrato).

Fonte: email: rappre96@libero.it



LE SCORIE NUCLEARI VIAGGIANO VERSO LA FRANCIA. MA LA POPOLAZIONE NON È INFORMATA DEI RISCHI

Un documento della Prefettura prevede tre livelli di pericolo legati allo spostamento dei materiali da Trino e Saluggia. Ma l'obbligo di informare i cittadini scatta solo in caso di allarme "molto grave". "Sarebbe troppo tardi", protestano i sindaci, che insieme ad associazioni e al Movimento 5 Stelle fanno ricorso al Tar: "Bisogna informare sul comportamento da adottare".

Da Vercelli verso la Francia, all’insaputa dei cittadini. Mentre il governo blocca il referendum sull’energia atomica e i progetti per le nuove centrali, le scorie nucleari accumulate dall’Italia prima del 1987, continuano a viaggiare, sui treni, dirette all’estero. Viaggi necessari per “liberare” i centri piemontesi delle scorie, ma – visto il materiale trattato – rischiosi. Tanto che le prefetture delle province piemontesi hanno preparato dei piani di emergenza, prevedendo fino a tre livelli di rischio, così che – in caso di incidenti – gli interventi siano rapidi.

La popolazione, però, è tenuta all’oscuro di tutto: i cittadini non sanno quando i convogli passeranno e non sanno come tutelarsi. Sebbene una norma europea obblighi le amministrazioni ad avvisare la cittadinanza, un decreto del governo del 2006, ripreso da una delibera regionale e dal piano d’emergenza della Prefettura di Torino, sancisce che le misure di sicurezza vengano rese note solo dopo un eventuale incidente. Gli amministratori locali e i comitati di cittadini protestano: “È giusto che la gente sia informata”, afferma Emilio Chiaberto, sindaco di Villar Fioccardo, comune che insieme al Movimento 5 Stelle e alla federazione nazionale Pro Natura ha fatto un ricorso al tribunale amministrativo del Piemonte: “È un contributo alla trasparenza su un pericolo serio”, aggiunge. Secondo i ricorrenti al Tar, la direttiva europea deve prevalere sulla norma del governo e quindi cittadini devono essere informati in anticipo. Tuttavia, il 14 maggio scorso i giudici hanno stabilito che la competenza spetta al Tar del Lazio. In attesa della decisione, i convogli continueranno a passare.    

I piani prefettizi sono stati predisposti per i trasporti di scorie delle vecchie centrali nucleari italiane conservate nel vercellese, nel deposito “Avogadro” di Saluggia e nell’ex centrale “Enrico Fermi” di Trino, verso l’impianto Areva a La Hague per il “riprocessamento”, un’operazione che permette di recuperare materiale utile dagli scarti. Sono dieci i viaggi da compiere entro la fine del 2012, e solo due sono già stati effettuati. Alla base dei piani ci sono le raccomandazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra): i cask, cilindri d’acciaio che contengono il materiale radioattivo, viaggiano su treni speciali e prima della loro partenza viene “fatto divieto di incrocio con altri convogli recanti sostanze pericolose”, si legge nel piano d’emergenza del 2011 della Prefettura di Torino (clicca qui per vedere il documento). Al seguito del convoglio devono viaggiare i vigili del fuoco, con una squadra antincendio e una squadra radiometrica (che esegue le rilevazioni e delimita le eventuali aree contaminate), le forze dell’ordine, i tecnici della squadra del trasportatore e la squadra di intervento della Sogin, tutti pronti nel caso in cui qualcosa andasse storto. Tre sono i gradi di rischio previsti: lieve, grave (se il cask si stacca spostandosi fuori dal veicolo), fino a “molto grave”, in caso di incendio dopo lo scontro tra il treno e un’autocisterna con liquido infiammabile. Solo in quest’ultimo caso, quello in cui si passa dallo stato d’attenzione allo stato d’allarme, il piano prevede che la popolazione sia “immediatamente informata dalle autorità locali, d’intesa con la Prefettura, sui fatti relativi all’emergenza, sul comportamento da adottare, sui provvedimenti di protezione sanitaria”. Ma, secondo chi protesta, a quel punto sarebbe troppo tardi.  

Come rileva il ricorso preparato dall’avvocato Daniela Bauduin per il Movimento 5 Stelle, Pro Natura e il Comune di Villar Focchiardo, la direttiva della Comunità europea dell’energia atomica sui trasporti nucleari, la 618 del 1989 (ripresa dal decreto legislativo 230 del 1995 e dalla legge regionale n° 5 del 18 febbraio 2010) prevede che gli Stati vigilino “affinché la popolazione che rischia di essere interessata dall’emergenza radioattiva sia informata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili, nonché sul comportamento che deve adottare in caso di emergenza radioattiva”. Però il decreto della presidenza del consiglio dei ministri n.44 del 2006, la delibera regionale 25-1404 del 19 gennaio 2011 della giunta di Roberto Cota e i piani prefettizi non prevedono queste azioni: “Abbiamo chiesto che senza un’adeguata informazione i treni non transitino – dichiara Davide Bono, consigliere regionale del movimento fondato da Beppe Grillo, che tiene a precisare un punto -. I viaggi devono avvenire, ma i cittadini devono essere avvisati". 

Ai tre ricorrenti si aggiungeranno anche altri Comuni interessati dal passaggio dei treni, come quello di San Didero: “Abbiamo deliberato di procedere con un ricorso ‘ad adiuvandum’, per sostenere quello già fatto”, annuncia il sindaco Loredana Bellone. Lei, come altri, non è stata avvisata al momento del transito: “Ho ricevuto il piano due o tre giorni prima del primo passaggio, tra il 6 e il 7 febbraio scorso, di cui né io né altri colleghi eravamo stati informati”. Lamenta anche la mancanza di un calendario dei passaggi: “Hanno detto che lo stavano predisponendo, ma non è stato ricevuto nulla”. Neanche per il secondo transito, tra l’8 e il 9 maggio, c’è stata un’informazione precisa: “Il 6 maggio, due giorni prima del secondo passaggio, abbiamo ricevuto una mail con delle considerazioni generiche, ma non si sa quando passeranno questi treni”, ricorda Chiaberto. Bellone aggiunge anche che, nelle riunioni in prefettura, “hanno detto che avrebbero fatto un seminario per insegnarci cosa dire alla popolazione”. E invece ancora non sanno cosa fare nel caso in cui ci fosse un’emergenza e in più, dice: “Non abbiamo i mezzi per affrontarla”. La stessa risposta la fornisce il sindaco di Sant’Ambrogio, Dario Fracchia, che ha un dubbio: “In caso di incidente ci direbbero che non avremmo fatto nulla, ma se facessimo delle prove saremmo accusati di procurato allarme. Manca un’indicazione precisa del prefetto. Ci dica cosa fare". 

Nel frattempo, il 17 maggio scorso, ovvero tre giorni dopo la decisione del Tar Piemonte, la giunta Cota, su impulso dell’assessore all’Ambiente Roberto Ravello, ha cercato di porre un rimedio istituzionalizzando il tavolo di “confronto e partecipazione nucleare” con prefetture, enti locali, gestori degli impianti, associazioni ambientaliste, di industriali, artigiani o agricoltori, e sindacati. Un tavolo già stato previsto dalla precedente giunta Bresso, che però – almeno per ora – non prevede aspetti operativi relativamente alle operazioni di trasferimento delle scorie. Operazioni, appunto, che sono già in corso.

di Andrea Giambartolomei


E’ UN BENIGNI IRRESISTIBILE: TELEFONA A OBAMA, VUOLE SPOSTARE IL COLOSSEO A CUNEO

Fa il pienone al Festival della Felicità a Pesaro e mischia la Divina Commedia all'attualità: "Prima di poter essere felici bisogna passare dall'inferno". "Da lunedì questa rassegna si sposterà a Milano per cinque anni". "Mi scuso per Gigi D'Alessio, non è potuto venire e ha mandato me" .

E’ un Roberto Benigni irresistibile e irrefrenabile. Parla di Obama, di Fede, Pisapia, Moratti, del conte Ugolino. Mescola la Divina commedia all’attualità: bisogna passare dall’inferno prima di arrivare in paradiso. Canta e salta sul palco dell’Adriatic Arena di Pesaro davanti a più di sei mila persone arrivate per il Festival della Felicità. Ed è il solito trionfo. Anche perché materiale ne ha in quantità industriale. Come in apertura, quando finge un problema di microfono e allora ci pensa Mr. Obama, quello che “risolve i problemi”: “Non è che mi puoi mandare uno, Barack, che aggiusta il suono perché in Italia c’è una dittatura dei fonici di sinistra. Ah, c’hai pure te uno scocciatore? Non ti leva la mano dalla spalla? Noi sono 17 anni che ci mette la mano sulla spalla. Tu lo devi assecondare, digli sempre di sì, presentagli una donna". 

“Sono contento – continua Benigni- di essere qui a Pesaro per il Festival della felicità che da lunedì si terrà a Milano e durerà per 5 anni”. “Berlusconi comunque ha detto che queste elezioni non avranno valore nazionale e – aggiunge Benigni – se vince Pisapia nemmeno comunali". 

È poi la volta del Pd che sprona a “essere più felice” e ironizza su come Fassino s’è rivolto ai suoi concittadini dopo la vittoria alle urne. Invece di esultare per la gioia rivolgendosi ai torinesi ha detto: “La parola che mi sento di dire più rimarchevole in questo momento è grazie”. Un entusiasmo troppo blando, quello del nuovo sindaco di Torino, che “come il Pd non era più abituato a vincere” e allora Benigni esorta il partito a “riprendere quell’abitudine".

Poi scherza con il pubblico: “Mi scuso con voi, so che stavate aspettando tutti Gigi D’Alessio, non è potuto venire e ha mandato me”. Benigni ringrazia la città di Pesaro che lo ha voluto a rappresentare il momento più significativo del festival e “essendo il festival della felicità – afferma- non parlerò più di Berlusconi, lo farò la settimana prossima al festival della depressione di Vercelli"

Non si è dimenticato Benigni delle recenti affermazioni del Carroccio: “La Lega vuole portare tutti i ministeri al nord, addirittura il Quirinale”. E allora perché non “il Colosseo a Cuneo”? Se lo chiede Benigni, mettendosi nei panni di un Bossi che continua il leitmotiv di Roma ladrona e rivendica come un bene lombardo l’anfiteatro Flavio, “costruito dal nonno di Briatore”. D’altronde “felicità è anche non avere pensieri di nessun tipo, ecco perché Calderoli è sempre sorridente"

A Pesaro tutto parla di Rossini. Tanti luoghi della città sono intitolati a lui e alla sua opera e allora la fantasia vulcanica di Benigni non può non andare al Rossini di Arcore: Berlusconi. “Quando il presidente del Consiglio avrà cent’anni farà il bilancio, ovviamente falso, della sua vita”. E l’immaginazione corre a una Arcore del futuro, in cui ci saranno “via nipote di Mubarak, libreria Papi, arco D’Addario, teatro barzelletta della mela, parco Apicella, cimitero Boccassini, casa di riposo Procura di Milano, obitorio toghe rosse e viale Scilipoti che porterà dritto alla casa di Berlusconi. 

Benigni immagina un Berlusconi che, per “distruggere la Procura di Milano”, tenta di convincere Obama a bombardarla, inventandosi la storia che nello scantinato si sarebbero nascosti Gheddafi e il Mullah Omar.

È poi la volta dei più stretti cortigiani di Berlusconi, Emilio Fede e Sandro Bondi. “Per carità – se la ride Benigni – io a Fede gli voglio bene come se fosse normale” e lo ricorda, in chiara difficoltà al Tg4, nel dover ammettere il vantaggio di Pisapia sulla Moratti. Per Bondi spende invece parole di lode: “Durante il suo ministero le rovine sono aumentate, quindi ha contribuito anche lui a incrementare il nostro patrimonio nazionale".

Canta Benigni e si propone nei panni del presidente del Consiglio che elenca tutto ciò che possiede: “E’ mia l’Italia e tutti i suoi parlamentari, li compro tutti e diventano tutti Scilipoti”, “è mio Milano, almeno fino a lunedì”, “di donne ne ho tante conquistate col mio fascino, un fascino in contanti”.

Benigni si sta ormai preparando alla seconda parte dello spettacolo. Lo fa dedicando la serata agli operai di Finmeccanica e ai soldati feriti in Libano: “Senza l’alto senso della patria e senza il lavoro non siamo più uomini".  L’atmosfera cambia e chiede al pubblico una “sospensione volontaria della credulità". È tempo di lasciare la parola alla Divina Commedia di Dante Alighieri. Sul palco del Festival della felicità, Benigni parla “della più grande infelicità cantata da Dante nell’Inferno". La storia che sceglie di raccontare è quella del conte Ugolino, che chiude la prima cantica. La metafora è chiara: bisogna passare dall’inferno per arrivare in paradiso. Si tiene tutto nel grande racconto di Benigni. Settecento anni di storia nazionale separano i traditori del Cocito, immersi nel ghiaccio della zona più bassa dell’inferno, dal gruppo dei Responsabili del Transatlantico, ma i vizi di casa nostra restano gli stessi e gli uomini per ogni stagione tornano ad affacciarsi sulla scena politica in cerca di qualche buona opportunità.

di  Enrico Bandini

CETRIOLI CONTAMINATI, L’ALLARME DELL’UE. SEI VITTIME IN GERMANIA, CASI IN ALTRI SEI PAESI

In Germania ha ucciso sei persone e ne ha infettate circa mille, tra casi accertati e sospetti. Il batterio responsabile si chiama Ehec, meglio noto con il nome di Escherichia coli, si diffonde prevalentemente attraverso le feci dei ruminanti (soprattutto bovini) e provoca la Sindrome emolitica uremica (Hus), una patologia che ha come primo sintomo la dissenteria emorragica. La notizia delle sei vittime è arrivata dalla stampa tedesca, anche se l'istituto berlinese Robert Koch per la salute pubblica si limita ancora a confermare solo due decessi.

L'allarme scattato in Germania ha mobilitato l'Ue e la Commissione europea ha comunicato agli Stati membri, attraverso il suo sistema di allerta rapida sugli alimenti, tutte le informazioni sull'epidemia scoppiata in Germania, ma che ha già fatto registrare casi (anche se in maniera minore) in altri sei Paesi europei: Svezia, Danimarca, Gran Bretagna, Austria, Svizzera e Olanda. Anche qui, pare che i contagi riguardino persone che erano state di recente in Germania.

Il giallo sui cetrioli spagnoli. L'Istituto di Igiene di Amburgo ha rintracciato il batterio in una partita di cetrioli provenienti da due aziende di agricoltura biologica di Almeria e Malaga. Ma sul caso si è aperto un giallo perché da una parte le autorità sanitarie di Madrid non hanno registrato alcun caso di contagio in Spagna; dall'altra, secondo il quotidiano tedesco Bild, uno dei quattro cetrioli esaminati dall'istituto di Amburgo e risultati contaminati proverrebbe dall'Olanda.

La Spagna si difende. "Non c'è alcuna prova che la contaminazione dei cetrioli provenienti dall'Andalusia si sia prodotta nel paese d'origine", dice il ministro spagnolo dell'Agricoltura, Rosa Aguilar. Javier Lopez, manager di una delle due aziende sospettate, va oltre: "Ho l'impressione che siamo un capro espiatorio – ha detto ai giornali – . l cetrioli in realtà sono caduti da un camion durante il trasporto in Germania, ma il cliente ha deciso di venderli comunque al mercato ortofrutticolo di Amburgo. Anche l'esecutivo Ue ipotizza che la contaminazione potrebbe essersi verificata nelle fasi di commercializzazione del prodotto.

La situazione in Italia. "In Italia il pericolo è limitato – dice Stefania Salmaso, direttore del Centro nazionale di epidemiologia dell'Istituto superiore di sanità – . Tuttavia abbiamo attivato la nostra rete di epidemiologia e sorveglianza. Qualsiasi caso sospetto verrà segnalato dalle strutture sanitarie al Registro nazionale della Hus e i campioni diagnostici saranno inviati al laboratorio nazionale di riferimento per E. Coli presso l'Istituto superiore di sanità". L'esperta aggiunge che non bisogna preccuparsi anche perché il quadro clinico provocato da questo particolare ceppo di Escherichia coli non è nuovo. "Sappiamo che queste infezioni colpiscono prevalentemente i bambini – spiega Salmaso – . In particolare il ceppo in questione produce la tossina Vtec O104, che generalmente 'vive' nell'istino dei ruminanti, ha il potere di danneggiare il funzionamento renale, provocando la gastroenterite emorragica. Il veicolo di infezione è orofecale".

Come cautelarsi. "Per proteggersi – spiega l'esperta – occorre seguire comuni norme igieniche come l'accurato lavaggio dei cibi da consumare crudi, evitando le contaminazioni tra cibi, e il lavaggio delle mani dopo l'utilizzo dei servizi igienici e prima della preparazione dei cibi". Bruxelles invece invita i cittadini dell'Ue che siano stati di recente in Germania a prestare attenzione a sintomi come diarrea con sangue e di conseguenza a consultare il proprio medico.

L'E. Coli in Italia. Tra il 1988 e il 2010 in Italia sono stati registrati complessivamente 710 casi di questa sindrome, con un tasso annuale medio di incidenza di 0,35 nuovi casi ogni 100mila abitanti in età pediatrica. I tassi più elevati si sono riscontrati nelle regioni del Nord: Valle d'Aosta (1,06), Veneto (0,57), Piemonte (0,55), Lombardia (0,52), Trentino e Bolzano (0,43). Al Centro-Sud, la regione con il tasso più elevato è stata la Campania (0,39).

di Adele Sarno

GREENPEACE: CONTAMINAZIONE ECOSISTEMA MARINO A FUKUSHIMA 50 VOLTE OLTRE I LIMITI

Greenpeace pubblica oggi i risultati del monitoraggio svolto qualche settimana fa nell'area di Fukushima:i livelli di contaminazione dei campioni di alghe analizzati superano fino a cinquanta volte i limiti ufficiali di sicurezza, minacciando in modo preoccupante popolazione e ambiente.

I campioni di organismi marini - tra cui pesci, alghe e molluschi - sono stati raccolti da Greenpeace all'inizio del mese con un team a terra lungo la costa, e una squadra a bordo della nave ammiraglia Rainbow Warrior, al di fuori delle acque territoriali giapponesi al largo di Fukushima [1]. I campioni sono stati fatti analizzare da laboratori indipendenti in Francia e Belgio [2] e i risultati hanno evidenziato un'alta contaminazione da iodio radioattivo, ben peggiore di quanto indicato nelle analisi preliminari, e livelli significativi di cesio radioattivo [3].

Mentre le autorità giapponesi affermano che il materiale radioattivo riversato in mare non risulta più pericoloso poiché si sta disperdendo, queste nuove analisi dimostrano come la contaminazione stia risalendo la catena alimentare costituendo un serio problema per la salute umana. Anche se oggi si riuscisse a bloccare definitivamente ogni sversamento dalla centrale, il problema delle radiazioni non sparirebbe.

"I dati pubblicati oggi dimostrano che la contaminazione radioattiva continua a diffondersi anche a grande distanza dalla centrale, accumulandosi negli organismi marini - spiega Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace, a bordo della Rainbow Warrior durante i campionamenti - L'elevata presenza di iodio radioattivo nelle alghe è particolarmente preoccupante, trattandosi di un alimento alla base della dieta giapponese, e fa sospettare che dalla centrale continui a fuoriuscire acqua contaminata".

In alcuni campioni di pesci e molluschi sono stati rilevati livelli di radioattività oltre i limiti legali ammessi negli alimenti e il cibo rappresenta solo una delle fonti di radiazioni a cui le persone, che vivono nell'area di Fukushima, sono esposte in maniera cronica. Invece di fornire alla popolazione dati precisi, le autorità giapponesi hanno aumentato i livelli massimi di esposizione annuale alle radiazioni a 20 milliSievert, anche per i bambini [4].

"La contaminazione rilasciata da Fukushima è un fattore di rischio anche per i pescatori che ogni giorno si trovano a maneggiare reti e corde potenzialmente contaminate dal sedimento, così come pesci e alghe che hanno accumulato materiale radioattivo - continua Monti - I pescatori, le loro comunità, così come tutti i consumatori, hanno bisogno al più presto di informazioni chiare per evitare di essere ulteriormente contaminati".

Greenpeace chiede al Governo giapponese di avviare subito un programma di monitoraggio approfondito e continuo dell'ecosistema marino lungo la costa di Fukushima e di rendere pubbliche tutte le informazioni relative agli sversamenti di acqua contaminata in mare.

Note:

[1] Il piano di ricerca di Greenpeace: http://bit.ly/k9suc2

[2] I laboratori: ACRO - Francia, certificato dall'Autorità Nucleare Francese ASN

SCK CEN - Belgio, Centro di Ricerca per il Nucleare del Belgio, equivalente a JAEA

[3] I dati delle analisi dei campioni sono disponibili: http://www.greenpeace.org/fukushima-data 

[4] Greenpeace condanna la decisione di alzare i livelli massimi di esposizione annuale a radiazioni per i bambini: http://t.co/00o8I7A .