giovedì 31 maggio 2012

TERREMOTO: A MODENA ARRESTI PER SCIACALLAGGIO

Arrestate tre persone dalla polizia per tentato furto nelle zone del modenese colpite dal sisma. Nel pomeriggio di ieri una volante in servizio antisciacallaggio nel territorio di Mirandola, ha sorpreso tre persone che si aggiravano tra le abitazioni lasciate incustodite.
I poliziotti li hanno fermati e dal controllo sono risultati tutti con precedenti penali per reati contro il patrimonio.

Per i tre a quel punto sono stati applicati i provvedimenti dell'obbligo di lasciare la provincia. Provvedimento che non rispettavano perché qualche ora più tardi al 113 veniva segnalata la presenza di tre malfattori che da un cortile avevano rubato una bicicletta.

I poliziotti che prima li avevano identificati e intimato di lasciare la provincia se li sono di nuovo ritrovati davanti. Questa volta il finale è stato diverso perché i tre sono finiti in carcere, con l'accusa di furto aggravato, in attesa del processo per direttissima.

Sempre nelle zone terremotate della provincia di Modena vengono segnalati altri metodiche gli sciacalli usano per depredare le case lasciate incustodite: alcune persone girando in macchina, senza alcuna autorizzazione attraverso un megafono comunicano alla cittadinanza di abbandonare le proprie abitazioni per imminenti scosse di terremoto.

La stessa informazione viene data con attività "porta a porta" da persone con indosso pettorine false, o attraverso telefonate presso le varie abitazioni private.

Si sottolinea che tali avvisi sono da considerarsi assolutamente infondati. 

SVELATE LE BUGIE DI ENEL: QUARTO EMETTITORE DI CO2 IN EUROPA E PRIMO IN ITALIA

I dati pubblicati oggi dal Carbon Market Data, l'istituto che raccoglie le informazioni sulle emissioni di CO2 in Europa dai grandi impianti, danno ragione a Greenpeace: con 78 milioni di tonnellate di CO2 emesse nel 2011, Enel è il quarto emettitore assoluto europeo di anidride carbonica e il primo in Italia. Si tratta di un dato peggiorativo: con 10 milioni di tonnellate di CO2 in più rispetto al 2010, le emissioni del gruppo Enel in Europa aumentano, nonostante la crisi.

"È la conferma di un primato negativo che già conoscevamo e che l'azienda si ostina a negare - commenta Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace - Non solo Enel mente, ma denuncia chi osa ricordarle quanto emette e i danni che produce. Un atteggiamento che non ti aspetti da un'azienda che si pubblicizza come 'l'energia che ti ascolta'". 

Dopo l'avvio dell'operazione "bollette sporche" - che vede Greenpeace impegnata a recapitare nelle case di 100mila italiani i dati sui veri costi ambientali, sanitari ed economici inflitti al Paese dalla produzione elettrica da carbone di Enel - l'azienda ribadisce l'intenzione di denunciare Greenpeace e risponde alle accuse dell'associazione con dati inesatti o fuorvianti. 

In una nota diffusa pochi giorni fa, Enel condensa in poche righe numerose bugie:

Prima bugia: "le attività dell'azienda […] si svolgono nel pieno rispetto delle leggi che tutelano l'ambiente e la salute". Falso. Enel è già stata condannata, anche per "emissioni moleste, danneggiamento all'ambiente, al patrimonio pubblico e privato e violazione della normativa in materia di inquinamento atmosferico" per la centrale di Porto Tolle. Per quella stessa centrale tutto il management risulta oggi rinviato a giudizio per "omissione dolosa di cautele contro disastri". Altre indagini sono in corso - anche per omicidio colposo - in relazione alle emissioni della centrale a carbone di Brindisi. Su cui, inoltre, sono aperte inchieste per smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e disastro ambientale.

Seconda bugia: "circa metà dell'energia elettrica che Enel produce è priva di qualunque tipo di emissione, compresa l'anidride carbonica". Non è così, se a livello globale quella percentuale è inferiore al 50 per cento e in Italia supera di poco il 40. Nella stima di Enel è inclusa anche la produzione nucleare, il cui livello di pericolosità va ben oltre le emissioni di CO2. Ma quanto viene emesso per produrre oltre il 50 per cento dell'elettricità fatta da Enel? Alcune delle sue centrali, a livello europeo, sono tra le più inquinanti, come testimoniato anche dall'Agenzia Europea per l'Ambiente.

Terza bugia: l'azienda sostiene di avere "in programma investimenti nelle fonti rinnovabili per oltre 6 miliardi di euro nei prossimi cinque anni, un impegno che ha ben pochi paragoni a livello globale". La verità è che gran parte dei 6 miliardi, su un piano complessivo di oltre 27, è destinata a grandi impianti idroelettrici in Sud America e non riguarda le nuove tecnologie rinnovabili. Per un confronto, la banca Goldmann&Sachs ha annunciato di stanziare 40 miliardi di dollari nelle rinnovabili nei prossimi 10 anni e ha un fatturato annuo inferiore alla metà di quello di Enel. 

Infine, Enel ricorda che "solo il 12 per cento dell'energia elettrica italiana è prodotta con il carbone contro una media europea di circa il doppio". Con questa affermazione l'azienda parla d'altro per non ammettere la verità. Greenpeace non contesta il dato nazionale della produzione di elettricità da carbone, bensì fa riferimento al carbone di Enel, i cui documenti riportano una produzione che nel 2011 ha superato il 41 per cento. 

TRASPARENZA DEGLI ATTI DELLA PA, APPELLO A MONTI

PER IL DIRITTO DI ACCESSO ALLE INFORMAZIONI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Presentata alla Camera dei Deputati il 29 maggio 2012 l’iniziativa per un ‘Freedom of information act in Italia’, con cui si chiede la totale trasparenza degli atti della pubblica amministrazione. Tra i promotori, Critica Liberale e la Società Punnunzio, numerose associazioni, giornalisti, giuristi, politici, professori e singoli cittadini. Sul sito www.foia.it è possibile aderire all’appello, che recita:

“Noi riteniamo che uno dei mali, e tra i più gravi, che colpisce la nostra Repubblica sia il cattivo rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione, e l’attuale legislazione che fa della pubblica amministrazione un corpo separato e opaco.

Riteniamo essenziale il riconoscimento del diritto di tutti di chiedere conto delle scelte e dei risultati del lavoro amministrativo, con una legge sul modello del Freedom of Information Act presente in moltissimi paesi democratici.
Vogliamo quindi l’introduzione, anche nella disciplina italiana, dell’obbligo per la pubblica amministrazione di rendere trasparenti i propri atti.

Consideriamo che un passo fondamentale sarebbe anche l’introduzione in Italia della Convenzione del Consiglio d’Europa del 18 giugno 2009 sul diritto di accesso ai documenti ufficiali, così da garantire «il diritto di ognuno, senza discriminazioni di alcun tipo, all'accesso, su semplice richiesta, dei documenti detenuti dalle pubbliche autorità».
È fondamentale per uno stato democratico che – come è scritto nella stessa Convenzione – il cittadino si formi «una opinione sullo stato della società e sulle autorità pubbliche» e rafforzi «l’integrità, l’efficienza, l’efficacia e la responsabilità delle autorità pubbliche favorendo così l’affermazione della loro legittimità».

Consapevoli che l’assenza di un rapporto paritario tra cittadino e pubblica amministrazione ha un peso crescente nel progressivo declino della nostra Repubblica, chiediamo che una nuova normativa in grado di garantire il diritto di accesso alle informazioni della pubblica amministrazione entri con urgenza nell'agenda governativa e parlamentare”.


Aderisci firma su  http://appello.foia.it/

IN ITALIA CI SONO 90 BOMBE ATOMICHE E 113 BASI DEGLI STATI UNITI

In Italia ci sono 90 bombe nucleari americane. La loro presenza ha un'importanza militare limitata per gli Stati Uniti, ma risponde anche ad esigenze politiche del governo italiano, che vuole avere voce in capitolo nella Nato. Lo ha rivelato all'Unità Hans Kristensen, uno specialista del Natural Resources Defense Council (NRDC), autore di un rapporto sulle armi atomiche in Europa che sarà pubblicato tra qualche giorno.

Secondo il rapporto nelle basi americane in Europa ci sono ben 481 bombe nucleari, dislocate in Germania, Gran Bretagna, Italia, Belgio, Olanda e Turchia. In Italia ve ne sono 50 nella base di Aviano e altre 40 in quella di Ghedi Torre, in provincia di Brescia. Sono tutte del tipo indicato dal Pentagono come B 61, che non si presta ad essere montato su missili ma può essere sganciato da cacciabombardieri.

«Le ragioni di un arsenale nucleare così grande in Italia - ha spiegato Kristensen all'Unità - sono nebulose e la stessa Nato non ha una strategia chiara. Le atomiche continuano a svolgere il tradizionale ruolo dissuasivo nei confronti della Russia, e in parte servono per eventuali obiettivi in Medio Oriente, come l'Iran. Un'altra ragione è di tipo politico istituzionale. Per l'Italia è importante continuare a fare parte degli organi di pianificazione nucleare della Nato, per non essere isolata in Europa. Altri paesi come la Germania hanno lo stesso atteggiamento».

Tra Italia e Stati Uniti esiste un accordo segreto per la difesa nucleare, rinnovato dopo il 2001. William Arkin, un esperto dell'associazione degli scienziati nucleari, ne ha rivelato recentemente il nome in codice: Stone Ax (Ascia di Pietra). Nel settembre 1991, dopo il crollo del muro di Berlino, il presidente George Bush padre aveva annunciato il ritiro di tutte le testate nucleari montate su missili o su mezzi navali. In Europa erano rimaste 1400 bombe atomiche in dotazione all'aviazione. In dieci anni il numero si è ridotto di circa due terzi.

Le bombe nucleari in Italia sono di tre modelli: B 61 -3, B 61 - 4 e B61 - 10. Il primo ha una potenza massima di 107 kiloton, dieci volte superiore all'atomica di Hiroshima, è può essere regolato fino a un minimo di 0,3 kiloton. Il secondo modello ha una potenza massima di 45 kiloton e il terzo di 80 kiloton.

CASTA, DEPUTATO RIPRESO MENTRE DORME E GLI ONOREVOLI SI SCAGLIANO CONTRO IL REPORTER

Nel corso della seduta parlamentare del 30 maggio, il deputato Aldo Di Biagio (Fli) solleva un problema di “straordinaria gravità”: “Un giornalista ha immortalato un parlamentare mentre con gli occhi chiusi era seduto su un divano in un momento di riflessione”. L’onorevole fotografato mentre schiacciava un pisolino è Deodato Scanderebech, altresì noto per i suoi frenetici passaggi da Forza Italia all’Udc al Pdl fino a Fli (dopo un breve ritorno nell’Udc), ma anche per aver creato due anni fa una lista per supportare il leghista Roberto Cota in Piemonte con l’aiuto di Pippo Franco e di un jingle rap. Con nobile generosità, Di Biagio esprime vicinanza al collega, accusa gli utenti dei social network di aver ingiustamente investito di minacce ed insulti Scanderebech, stigmatizza l’”antipolitica” e chiede provvedimenti esemplari contro il giornalista, reo del fattaccio. Perché, sostiene Di Biagio, “sappiamo bene che in questo dato momento sociale, contaminato da una galoppante antipolitica, eventi come questi – afferma – rischiano di alimentare riflessi drammatici. Il linciaggio mediatico portato avanti da un giornalista di discussa professionalità – continua – rappresenta un elemento da condannare”. E indirizza il suo “j’accuse” contro certi giornalisti che attentano all’incolumità dei politici: “Vi sono giornalisti, i cosiddetti ‘uomini di informazione’, privi di alcuna morale, forse alimentati da chissà quale altra virtù” di Gisella Ruccia

mercoledì 30 maggio 2012

UNICEF: BAMBINI ITALIANI, DALLO STATO POCO O NIENTE PER ALLEVIARE LA POVERTÀ

I dati che emergono dal rapporto sulla povertà e sulle deprivazioni nell'infanzia e nell'adolescenza pongono il nostro Paese in una posizione poco invidiabile, se confrontati con i risultati raggiunti da altri Paesi europei. 

Nonostante l'Italia sia tra i 15 Paesi europei più ricchi, il 15,9% dei bambini e degli adolescenti tra 0 e 17 anni vive in una condizione di povertà relativa. In questa classifica, l’Italia è agli ultimi posti: 29° su 35 Paesi. Anche considerando il poverty gap (divario tra la soglia di povertà e il reddito mediano di coloro che si trovano al di sotto di tale soglia), l’Italia è agli ultimi posti (32° su 35 Stati).

L'AZIONE DELLO STATO ININFLUENTE NEL RIDURRE LA POVERTÀ 

 

Confrontando i tassi di povertà relativa tra i bambini e gli adolescenti prima delle imposte e dei trasferimenti (reddito di mercato) e dopo le imposte e i trasferimenti (reddito disponibile), la performance dell’Italia in termini di riduzione della povertà è fra le più deludenti (34° su 35 paesi). 

Infatti, il tasso di povertà infantile relativa senza l’intervento del Governo risulterebbe pari al 16,2%, quasi invariato rispetto all’effettivo tasso di povertà infantile relativa al netto delle imposte e dei trasferimenti (15,9%). 

Allo stesso modo, risulta interessante confrontare l’impegno dei Governi nei confronti della protezione dell’infanzia e dell’adolescenza, attraverso l’analisi del livello delle risorse stanziate: l’Italia si colloca al26° posto su 35 Paesi con meno dell’1,5% di PIL investito in trasferimenti in denaro, agevolazioni fiscali e servizi per minorenni e famiglie.

In Italia il tasso di povertà infantile (15,9%) è più alto rispetto al tasso di povertà della popolazione complessiva (11,5%): nella graduatoria relativa a questa variabile, l’Italia si colloca al 32° posto su 35 

UN BAMBINO SU SETTE SOFFRE DI DEPRIVAZIONI MATERIALI

 

I dati mostrano che il 13,3% dei minori italiani vive in una condizione di deprivazione materiale, intesa come la mancanza di accesso ad alcuni beni ritenuti “normali” nelle società economicamente avanzate come almeno un pasto al giorno contenente carne o pesce, libri e giochi adatti all'età del bambino, un posto tranquillo con spazio e luce a sufficienza per fare i compiti. L’Italia in questa classifica è al  20° posto su 29 Paesi considerati.

Il dato colpisce se confrontato ad esempio con Islanda, Svezia e Norvegia, che presentano percentuali di deprivazione inferiori al 2%..

Venendo più nello specifico alla percentuale di bambini (tra 1 e 16 anni) che non ha accesso ai seguenti beni e servizi o attività, perché le famiglie non possono permetterseli: 

·      2,5% dei bambini italiani non può permettersi frutta e verdura fresche ogni giorno - 5,4% è la  media degli altri Paesi 
·      1,2% dei bambini italiani non può permettersi tre pasti al giorno - media 1,3%  
·      4,4% dei bambini italiani non può permettersi almeno un pasto al giorno a base di pollo, carne o pesce - media 5,5% 
·      6,2% dei bambini italiani non può permettersi di comprarsi indumenti nuovi - media 7,6%
·      2,6% dei bambini italiani non può permettersi di comprarsi due paia di scarpe della misura giusta - media 4,7% 
·      5% dei bambini italiani non ha una connessione ad Internet - media 8%
·      6% dei bambini italiani non può permettersi di comprare libri adatti all’età e al livello di conoscenza (esclusi testi scolastici) - media 5,4%
·      9,3% dei bambini italiani non ha a disposizione un posto tranquillo con spazio e luce a sufficienza per fare i compiti - media 5,4%
·      6,1% dei bambini italiani non ha l’opportunità di celebrare occasioni speciali, come compleanni, onomastici, eventi religiosi, ecc. - media 6,2% )
·      6,7% dei bambini italiani non ha l’opportunità di invitare a casa gli amici per giocare e mangiare insieme - media 7,9%
·      6,1% dei bambini italiani non può permettersi di partecipare a gite ed eventi scolastici - media 6,8% 
·      4% dei bambini italiani non può permettersi attrezzature per giocare all’aperto, quali biciclette, pattini, ecc. - media 7,8% 
·      12,2% dei bambini italiani non può permettersi di frequentare attività ricreative regolari, come nuotare, suonare uno strumento musicale, partecipare ad organizzazioni giovanili - media 11,6% 
·      4.6 % dei bambini italiani non può permettersi giochi in casa - media 5,9%

Il rapporto presenta anche delle analisi che misurano il tasso di deprivazione materiale tra i bambini e gli adolescenti in alcuni gruppi considerati a rischio: 

- Tra i bambini che vivono in famiglie con un solo genitore il tasso di deprivazione materiale è del 17,6%; 
- Tra i bambini che vivono in famiglie con genitori con un basso livello di istruzione il tasso è del 27,9%; 
- Tra i bambini che vivono in famiglie senza lavoro: il tasso è del 34,3%; 
- Tra i bambini che vivono in famiglie migranti: il tasso è del 23,7%. 


Fonte: http://www.unicef.it

RAPPORTO UNICEF SU POVERTÀ INFANTILE NEI PAESI RICCHI: ITALIA AGLI ULTIMI POSTI

Mentre prosegue il dibattito sulle misure di austerità e sui tagli alla spesa sociale, un nuovo rapporto dell’UNICEF rivela la portata dellapovertà e della deprivazione materiale infantile nelle economie avanzate del mondo.

Nell'Unione Europea (più Norvegia e Islanda) a circa 13 milioni di bambini e adolescenti mancano gli elementi di base necessari al loro sviluppo. Nel frattempo, 30 milioni di minorenni – nei 35 paesi a economia avanzata dell'OCSE – vivono in povertà.

Il rapporto "Misurare la povertà tra i bambini e gli adolescenti" - il numero 10 della serie denominata Innocenti Report Card - realizzato dal Centro di Ricerca Innocenti dell’UNICEF, esamina la povertà e la deprivazione materiale infantile in tutto il mondo industrializzato, presentando classifiche di paesi e analisi comparate.

Questo confronto internazionale, dice il rapporto, dimostra che la povertà infantile in questi Paesi non è inevitabile, ma è legata alle scelte politiche. Inoltre, alcuni paesi stanno facendo meglio di altri per proteggere i bambini più vulnerabili.

«Nonostante l'Italia sia tra i 15 Paesi europei più ricchi, il 15,9% dei bambini e degli adolescenti tra 0 e 17 anni vive in una condizione di povertà relativa. In questa classifica, l’Italia è agli ultimi posti: 29° su 35. I dati del Rapporto mostrano che il 13,3% dei minori vive in una condizione di deprivazione materiale» ha ricordato il Presidente dell’UNICEF Italia Giacomo Guerrera durante la presentazione del rapporto a Roma, alla presenza della sociologa Chiara Saraceno e del curatore del rapporto UNICEF Leonardo Menchini.

Povertà materiale nei Paesi ricchi, deludono Francia e Italia


Il Report Card esamina la povertà e la deprivazione materiale infantile in due modi completamente diversi. L’analisi su questi due diversi tipi di povertà infantile è scaturita dall’elaborazione dei dati più recenti e disponibili sulla povertà e sulla deprivazione infantile in tutte le economie industriali avanzate del mondo.

La prima misura è un Indice di deprivazione dell’infanzia, derivato da un’indagine condotta dalla European Union’s Statistics  on Income and Living Conditions (EU-SILC) su 29 Paesi europei, che include per la prima volta una sezione sui bambini.

Per deprivazione materiale si intende la percentuale di bambini e adolescenti che non ha accesso ad alcuni beni, servizi o attività  ritenuti “normali” (sono 14 in tutto)  nelle società economicamente avanzate, come fare almeno tre pasti al giorno, disporre di libri e giochi adatti all'età del bambino, di un posto tranquillo con spazio e luce a sufficienza per fare i compiti, di una connessione Internet ecc.

I tassi più alti di deprivazione materiale vengono riscontrati in paesi come Romania, Bulgaria e Portogallo (rispettivamente con più del 70%, 50% e 27% dei bambini  e adolescenti esclusi), anche se alcuni paesi tra i più ricchi come Francia e Italia hanno tassi di deprivazione superiori al 10%. I paesi nordici hanno il minor tasso di deprivazione tra i minorenni, inferiore al 3%.

Bambini più poveri senza protezione sociale


La seconda misura esaminata nel Rapporto riguarda la povertà relativa, prendendo in esame la percentuale di bambini e adolescenti che vivono al di sotto della “soglia di povertà” nazionale – definita come il 50% del reddito medio disponibile dalle famiglie.

I paesi nordici e i Paesi Bassi hanno i tassi più bassi di povertà infantile relativa, intorno al 7%. Australia, Canada, Nuova Zelanda e Regno Unito hanno tassi compresi tra il 10 e il 15 %, mentre oltre il 20% dei bambini in Romania e Stati Uniti vivono in povertà relativa. 

Particolarmente evidenti, nel Rapporto, sono i confronti tra i Paesi con economie simili, che dimostrano come la politica dei governi abbia impatti significativi sulla vita dei bambini e degli adolescenti.

Ad esempio, Danimarca e Svezia hanno tassi molto più bassi di povertà infantile rispetto a Belgio o Germania, ma tutti e quattro i Paesi hanno gli stessi livelli di sviluppo e reddito pro capite.

«I dati sottolineano che troppi bambini e adolescenti continuano a non avere accesso a beni o servizi di base necessari al proprio sviluppo in Paesi che hanno tutti i mezzi per fornire loro la possibilità di un completo sviluppo e determinazione» ha dichiarato Gordon Alexander, Direttore del Centro di Ricerca dell’UNICEF.

«Il rapporto ha anche mostrato che altri Paesi hanno lavorato bene – visto che ci riferiamo in gran parte a dati pre-crisi – grazie ai sistemi di protezione sociale. Il rischio è che con la crisi attuale, le conseguenze di decisioni sbagliate saranno visibili solo tra molto tempo». 

ROMA, 02 GIUGNO - MANIFESTAZIONE NAZIONALE "LA REPUBBLICA SIAMO NOI"

Per l'attuazione del risultato referendario, per la riappropriazione sociale e la tutela dell'acqua e dei beni comuni, per la pace, i diritti e la democrazia, per un'alternativa alle politiche d'austerità del Governo e dell'Europa

Ad un anno dalla straordinaria vittoria referendaria il Governo Monti e i poteri forti si ostinano a non riconoscerne i risultati e preparano nuove normative per consegnare la gestione dell'acqua ai privati, in particolare con un nuovo sistema tariffario.

Non solo. BCE, poteri forti finanziari e Governo utilizzano la crisi economico-finanziaria per rendere definitive le politiche liberiste di privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici, di smantellare i diritti del lavoro, del welfare e dell'istruzione, precarizzando dell'intera vita.

E' in atto il tentativo di imporre definitivamente il dominio delle "esigenze dei mercati" sulla democrazia.

Il 2 giugno è da sempre la festa della Repubblica, ovvero della res publica, di ciò che a tutte e tutti appartiene. Una festa, ormai da anni, trasformata in parata militare, come se quella fosse l'unica funzione rimasta ad un "pubblico" 

Ma la Repubblica siamo noi.

Le donne e gli uomini che difendono l'acqua e i beni comuni, un welfare universale e servizi pubblici, i diritti del lavoro; che vogliono la fine della precarietà, il diritto alla salute e all'abitare,l'istruzione, la formazione e la conoscenza,la trasformazione ecologica della produzione.
Le donne e gli uomini che, come nel resto d'Europa, pensano che i beni comuni siano fondamento di un nuovo modello produttivo e sociale.

Le donne e gli uomini che dentro la propria esperienza individuale e collettiva rivendicano una nuova democrazia partecipativa, dentro la quale tutte e tutti possano contribuire direttamente a costruire un diverso futuro per la presente e le future generazioni.

Crediamo sia giunto il momento in cui siano queste donne e questi uomini a riempire la piazza del 2 giugno.

Con l’allegria e la determinazione di chi vuole invertire la rotta.
Con la consapevolezza di chi sa che il futuro è solo nelle nostre mani.

www.acquabenecomune.org

martedì 29 maggio 2012

OCSE, L’INFLAZIONE SCENDE QUASI PER TUTTI. L’ITALIA PERÒ È FERMA AL 3,3%

L'organizzazione di Parigi fornisce i dati sull'andamento dei prezzi. A livello aggregato di tutti gli stati membri si passa dal 2,7% di marzo, al 2,5 di aprile. L'aumento dei prezzi si attesta per il terzo mese consecutivo sopra i tre punti per Roma, il livello più alto fra i paesi del G7

Cala l’inflazione Ocse, ma in Italia rimane al 3,3%. L’organizzazione fornisce i dati sull’aumento dei prezzi, che passa a livello aggregato di tutti gli stati membri, dal 2,7 per cento di marzo, al 2,5 per cento di aprile. Quest’ultimo dato è stato influenzato dagli andamenti dei prezzi registrati nei settori dell’alimentare ed energetico. Il primo vede un forte calo nei prezzi che passano al 4,8 per cento nel mese di aprile, (rispetto al 6,5% in marzo) quindi al livello più basso dall’agosto del 2010. Frenano anche i prezzi dei prodotti alimentari portandosi al 3,1 per cento di aumento (rispetto al 3,5%). 

Per l’Italia l’inflazione si attesta per il terzo mese consecutivo al 3,3 per cento, il livello più alto fra i paesi del Gruppo dei sette (G7) che hanno una media del 2,1 per cento, mentre per l’area euro c’è una leggera diminuzione con il dato che passa dal 2,7 per cento al 2,6 per cento. Nel Regno Unito la discesa più alta dei prezzi al consumo che si attestano al 3 per cento rispetto il 3,5% di marzo; negli Stati Uniti al 2,3% (dal 2,7%), in Francia al 2,1% (dal 2,3%) e in Giappone allo 0,4% (dallo 0,5%). Stabile al 2,1 per cento invece l’inflazione in Germania, mentre in Canada sale al 2 per cento dall’1,9 per cento. Su base mensile l’inflazione cresce ad aprile dello 0,6 per cento nel Regno Unito, dello 0,5 per cento in Italia, dello 0,4 per cento in Canada, dello 0,3 per cento negli Stati Uniti, dello 0,2 per cento in Germania e dello 0,1 per cento in Francia e Giappone.

L’inflazione cala anche in Cina al 3,4 per cento (dal 3,6% di marzo), in Brasile al 5,1 per cento (dal 5,2%) e nella Federazione russa al 3,6 per cento (dal 3,7%). Salgono invece i prezzi in Indonesia (al 4,5% dal 4%) e in Sud Africa (al 6,2% dal 6,1%). 

GIULIANI PREOCCUPATO: "ORA POTREBBE TOCCARE ALLA CALABRIA. I TERREMOTI SONO PREVEDIBILI"

Giampaolo Giuliani è il sismologo che pochi giorni prima del terribile terremoto all'Aquila aveva lanciato l'allarme: e per questo fu denunciato per "procurato allarme"... salvo poi verificarsi il terremoto che aveva previsto. Oggi è Presidente di una fondazione, www.fondazionegiuliani.it

di seguito l'articolo di aquilatv.it

martedì, 29 maggio 2012 – L'AQUILA - Un forte terremoto in Calabria e scosse di assestamento in Emilia. E’ un Giampaolo Giuliani preoccupatissimo quello raggiunto in esclusiva da AquilaTv. “Noi purtroppo osserviamo da ieri e lo abbiamo già detto – spiega in un’intervista telefonica che vi proponiamo integralmente -  anomalie lontane dal nostro territorio ma comunque visibili dalla strumentazione in nostro possesso. Era evidente già da alcuni giorni lo spostamento degli epicentri verso Ovest e la scossa odierna era prevedibile”.

Giampaolo Giuliani si fa portavoce di scienziati che come lui "sono certi che i terremoti si possono prevedere": “E' ora di smetterla di dire che i terremoti  non possono essere annunciati o previsti, chi lo fa sta producendo morti”.  Giuliani è preoccupato per il sud d'Italia. “Tutto il territorio nazionale – prosegue -  adesso è a rischio sismico. Mi sono sgolato in questi giorni nel dirlo. Il terremoto al nord non si calmerà per il momento. La Calabria è a rischio. Potrebbe esserci un forte terremoto anche lì” 

SIRIA: AMNESTY INTERNATIONAL SOLLECITA UNA RAPIDA AZIONE DELL'ONU DOPO L'ATTACCO A HOULA

Amnesty International ha sollecitato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad andare oltre la condanna dell'attacco che, il 25 maggio, ha ucciso più di un centinaio di civili nella città siriana di Houla. Il Consiglio di sicurezza deve deferire immediatamente la situazione della Siria alla Corte penale internazionale.
Residenti di Houla seppelliscono le persone uccise © Sniperphoto.co.uk/Demotix
Secondo le fonti raggiunte da Amnesty International, tra cui un testimone oculare, il bombardamento e i raid da terra da parte dell'esercito siriano nella zona di Teldo hanno causato la morte di almeno 108 civili, tra cui 34 donne e 50 bambini.

"L'alto prezzo pagato dai civili a Houla deve spingere il Consiglio di sicurezza ad agire all'unisono e a deferire immediatamente la situazione della Siria alla Corte penale internazionale" - ha dichiarato Philip Luther, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. "Di fronte a questa escalation,  la missione degli osservatori delle Nazioni Unite deve aumentare di numero e rafforzare il suo mandato. Il governo siriano deve consentire alla Commissione internazionale indipendente d'inchiesta, istituita dal Consiglio Onu dei diritti umani, di entrare nel paese e verificare le denunce di violazioni commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto".

Amnesty International ha ricevuto i nomi di oltre 1300 persone uccise in Siria dal 14 aprile, giorno dell'inizio della missione degli osservatori delle Nazioni Unite.

Secondo attivisti locali, nel corso del pomeriggio del 25 maggio soldati di guardia a un posto di blocco nella zona di Houla hanno sparato contro una manifestazione pacifica; l'opposizione armata ha allora attaccato il posto di blocco e il fuoco incrociato ha provocato un numero imprecisato di vittime. Non è chiaro se, al termine di questi scontri, l'opposizione armata si sia ritirata.

Dalle 20 alle 24, secondo quanto riferito ad Amnesty International da un testimone oculare, l'esercito siriano ha lanciato colpi di artiglieria e razzi contro la città, a volte al ritmo di uno al minuto.  Uomini in uniforme nera, individuati come membri dell'intelligence siriana, hanno compiuto raid nel quartiere di Teldo, uccidendo decine di civili. Quando sono giunti sul posto, la mattina dopo, gli osservatori delle Nazioni Unite hanno aiutato gli abitanti a trasportare i corpi delle vittime in una vicina moschea. Non è stato possibile, tuttavia, recuperarli tutti, a causa della continua presenza delle forze di sicurezza siriane.

Sessantadue tra le persone uccise facevano parte della famiglia Abd al-Razaq di Teldo. Erano state uccise a colpi di arma da fuoco, salvo un bambino che aveva il cranio fracassato, presumibilmente dal calcio di un fucile.

Molti uomini avrebbero lasciato la zona in anticipo, avendo appreso di un possibile, imminente attacco. Di altre persone si sono perse le tracce, non è chiaro se perché fuggite o catturate.

Negli ultimi giorni, secondo quanto riferito dagli attivisti locali ad Amnesty International, la presenza delle forze di sicurezza siriane nella zona di Houla è aumentata e sono stati istituiti quattro nuovi posti di blocco sulla strada principale. 

Domenica 27, l'agenzia d'informazione statale Sana ha diffuso una dichiarazione secondo cui le vittime di Houla erano state uccise da "gruppi terroristi legati ad al-Qaeda". Lo stesso giorno, un portavoce del ministero degli Affari esteri ha affermato che "una commissione d'inchiesta militare" era stata nominata per indagare su quanto accaduto a Houla.

"L'esperienza delle precedenti indagini interne ci dice che non dobbiamo aspettarci conclusioni significative nemmeno da questa"- ha commentato Luther. "Non siamo a conoscenza di un solo presunto autore di violazioni dei diritti umani, appartenente alle forze del regime siriano, che sia stato portato di fronte alla giustizia in questi 14 mesi di protesta e rivolta".

Sempre domenica 27, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha condannato l'attacco a Houla ma non ha preso alcuna misura concreta per impedire nuovi attacchi del genere.

"La Russia deve cessare di impedire al Consiglio di sicurezza di avviare un'azione decisiva per porre fine alle sofferenze in Siria. Dovrebbe in primo luogo collaborare a deferire la situazione della Siria alla Corte penale internazionale" - ha concluso Luther.

Sin dall'aprile 2011, Amnesty International ha denunciato i crimini contro l'umanità commessi dalle forze siriane nel contesto della repressione delle proteste, iniziate un mese prima. L'organizzazione per i diritti umani ha ripetutamente chiesto alle Nazioni Unite di deferire la situazione della Siria alla Corte penale internazionale e ha sottolineato che i crimini in questione sono soggetti alla giurisdizione universale. 
 
Amnesty International ha ricevuto i nomi di circa 9750 persone uccise dall'inizio delle proteste, tra cui oltre 700 bambini

ALLA SICILIA IL TRISTE PRIMATO DI GIOVANI NEET

Il 35,7% dei giovani tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora. Penalizzate soprattutto le femmine.

Il 26% dei giovani siciliani tra i 18 e i 24 non ha conseguito il diploma e può considerarsi fuori da qualunque circuito educativo, in quanto non frequenta né un percorso scolastico, né un percorso di formazione professionale. Si tratta del dato più alto registrato a livello nazionale, dove la media dei giovani drop out è pari al 18,8%.

Il bilancio del sistema d’istruzione siciliano è stato tracciato dal Censis nell’ambito di Di.Sco.Bull: un progetto promosso dal Ministero dell’Interno, in accordo con il Ministero dell’Istruzione, con i fondi europei del Pon Sicurezza per lo Sviluppo nelle quattro regioni dell’Obiettivo convergenza (Puglia, Campania, Calabria e Sicilia).

L’abbandono scolastico in Sicilia costituisce un’emergenza non solo educativa, ma anche sociale. Gli interventi realizzati nella regione sono riusciti a contenere il fenomeno, ma non a ridurlo in modo drastico. Dal 2004 al 2009 il tasso di dropping out è sceso di 4 punti percentuali, grazie alle numerose attività di prevenzione e contrasto attuate dalle istituzioni scolastiche. Tuttavia, oggi ancora un giovane siciliano su quattro si ferma a livelli di scolarità medio-bassi, non trovando nel contesto socio-economico e culturale in cui vive gli stimoli necessari per proseguire gli studi.

Gli indici di dispersione scolastica registrati negli ultimi anni hanno avuto un andamento discontinuo, con deboli segnali positivi nei percorsi tecnico-professionali e un peggioramento nei licei. Le sacche di dispersione sono però ancora molto rilevanti, superiori ai valori medi nazionali, soprattutto negli istituti artistici e professionali, dove abbandona gli studi al primo anno il 22,7% degli iscritti e al biennio il 35,6% (una percentuale quasi tre volte superiore a quella dei licei).

Il dato siciliano è preoccupante, perché si inserisce in un contesto economico e occupazionale tra i più deboli del Paese. La Sicilia condivide con la Campania il triste primato della presenza di giovani Neet (not in education, employment or training), cioè di giovani che non studiano e non lavorano. Si tratta del 35,7% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni (in Campania si arriva al 35,2%). E il dato supera il 36% se si considera la sola componente femminile.

Tra le regioni meridionali, la Sicilia si distingue anche per la più elevata presenza di ragazzi in possesso di livelli di competenza solo minimi nella lettura, in matematica e in scienze, pari rispettivamente al 31,4%, 36,3% e 32,7%. In Italia le percentuali di chi ha difficoltà in queste discipline sono più basse, pari nell’ordine al 21%, 25% e 20,6%. Inoltre, la quota di diplomati siciliani con il punteggio minimo (60/100) è pari al 12,3%, più alta della percentuale media nazionale (10,6%).

All’interno di questo scenario si collocano le attività del progetto Di.Sco.Bull., grazie al quale nel corso dell’anno scolastico 2011-2012 sono stati allestiti, presso l’Istituto tecnico commerciale, geometri e turismo «Duca Abruzzi» di Palermo e l’Istituto comprensivo «Enrico Fermi» di San Giovanni La Punta (Ct), due centri che erogano servizi di ascolto e sostegno, recupero e aiuto allo studio, rivolti a studenti, famiglie, docenti, attraverso l’impiego di una équipe territoriale con competenze socio-psico-pedagogiche. Queste strutture, aperte al territorio, intendono operare in rete con enti e servizi esistenti, al fine di garantire la circolarità delle informazioni e l’ottimizzazione di risorse e opportunità.

Dei primi risultati conseguiti dai centri Di.Sco.Bull durante questi mesi di attività e delle prospettive future si è parlato oggi a Palermo nell’ambito del seminario «Abbandono scolastico e bullismo: quali rischi tra i giovani?», a cui hanno preso parte, tra gli altri, il Prefetto di Palermo Umberto Postiglione, il Presidente della Provincia di Palermo Giovanni Avanti, il Vice Prefetto Claudia Orlando della Direzione per i Diritti Civili, la Cittadinanza e le Minoranze del Ministero dell’Interno, il Direttore Generale del Censis Giuseppe Roma, il Direttore Generale dell'Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia Maria Luisa Altomonte, il Dirigente Generale del Dipartimento dell’Istruzione e della Formazione Professionale della Regione Sicilia Ludovico Albert. 

INPS, UNA PENSIONE SU DUE SOTTO I 500 EURO, TRE SU QUATTRO SOTTO I 1000

Donne più penalizzate degli uomini Una pensione su due erogata dall'Inps è sotto i 500 euro e tre su quattro non superano i 1.000 euro.

E' quanto si legge nel Rapporto annuale dell'Inps presentato nella sala della Lupa della Camera dei Deputati. Poco più di 9 milioni dei 18.363.760 trattamenti pensionistici (9.017.432 per la precisione) non arrivano a 500 euro mensili, il 49,1%. Il 27,9% (5.123.681) e' inferiore a 1.000 euro e l'11,6% (2.138.316) non supera i 1.500 euro. Il restante 11% e' oltre questa cifra: il 5,8% dei vitalizi e' tra 1.500 e 1.999 euro, il 2,9% tra 2.000 e 2.499, l'1,2% tra 2.500 e 2.999 e l'1,4% oltre i 3.000 euro. In totale i pensionati che percepiscono piu' di 2.000 euro mensili sono poco più di un milione, di questi 265.143 sono oltre i 3.000 euro e sono quasi tutti uomini. Ad essere più penalizzate, anche tra i più poveri, sono le donne. Secondo una tabella del Rapporto sono 6,3 milioni le pensionate che ricevono meno di 500 euro al mese contro i 2.651.503 uomini. Poco più di 3,2 mln, infine, quelle che percepiscono fino a mille euro contro l'1,8 mln di maschi. In generale, gli importi delle pensioni erogate alle donne si situano per quasi il 60% al di sotto dei 500 euro, mentre per oltre il 90% non vanno oltre i 1.000 euro. Rispetto ai diversi livelli di importo si conferma quindi una notevole disparità di genere, con la componente maschile che tende a prevalere laddove le pensioni toccano punte più elevate: quasi il 19% tra i 1.000 e i 1.500 euro mensili per gli uomini contro il 6,5% per le donne e 23% di pensioni maschili con importi pari o superiori ai 1.500 euro mensili a fronte di meno del 3% per le pensioni femminili. 


107° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE DELLA SCUOLA DEL CORPO FORESTALE DELLO STATO

Si sono svolte oggi, a Cittaducale,  le celebrazioni del 107° Anniversario di fondazione della Scuola del Corpo forestale dello Stato.

Alla cerimonia hanno preso parte il Vice Capo del Corpo Fausto Martinelli e il personale dirigente dell'Amministrazione forestale, le massime autorità politiche, militari, civili e religiose della provincia di Rieti. La giornata è iniziata con la resa degli onori al Vice Capo del Corpo e con la deposizione di una corona ai Caduti per la Patria. 

Successivamente, presso l'Aula magna, il Comandante della Scuola Umberto D'Autilia ha presentato il volume "La Scuola del Corpo forestale dello Stato  - il pensiero di una Scuola una Scuola di pensiero" che ripercorre le principali tappe dell'evoluzione del pensiero forestale italiano, a partire dall'importante contributo e lascito di uno dei padri della selvicoltura nazionale, Adolfo Di Bérenger, a metà dell'Ottocento, fino ai giorni nostri. 

Le origini della Scuola  risalgono al 25 maggio 1905 quando fu istituita con Regio Decreto a Cittaducale, la "Scuola di selvicoltura per le Guardie Forestali del Regno". Da oltre un secolo, l' Istituto di formazione, grazie al contributo di studiosi, funzionari, giuristi e docenti ha consentito di garantire il continuo aggiornamento sulle problematiche della salvaguardia ambientale e della tutela del territorio. Suo compito istituzionale, infatti, è quello di provvedere alla formazione, preparazione tecnico-professionale, addestramento e aggiornamento di tutto il personale del Corpo forestale dello Stato (funzionari, ispettori, sovrintendenti, assistenti e agenti, personale dei ruoli tecnico-scientifici, tecnico-strumentali, ed amministrativi). 

L' attività didattica viene svolta anche per i Corpi forestali delle Regioni e Province a statuto autonomo e speciale. La Scuola di Cittaducale è fortemente impegnata nei compiti di Istituto propri del Corpo forestale dello Stato tra i quali la verifica del rispetto delle vigenti normative nelle materie forestale, agroalimentare e ambientale, la collaborazione all'espletamento di servizi di ordine pubblico e il concorso nelle operazioni di protezione civile in occasione di eventi calamitosi (incendi boschivi, terremoti, alluvioni). Intensa e preziosa è anche l'attività divulgativa e scientifica svolta dalla Scuola in collaborazione con, l'Accademia Italiana di Scienze Forestali, Università, Scuole di ogni ordine e grado, Associazioni culturali, sportive e di promozione sociale ed Enti locali. 

domenica 27 maggio 2012

FISCO, CGIA MESTRE: IMPRESE STRANGOLATE DALL’IMU

E’ stata data la facoltà ai Sindaci di aumentare l’aliquota massima fino al 10,6‰. Se lo faranno, le attività economiche pagheranno il +39,5% in più rispetto all’eventuale applicazione dell’aliquota ordinaria (7,6‰).

La notizia è ufficiale: i Sindaci potranno aumentare l’aliquota ordinaria dell’Imu sui beni strumentali fino al valore massimo del 10,6 ‰. Se molti primi cittadini decideranno di ritoccare l’aliquota all’insù, gli effetti sulle tasche dei commercianti, dei liberi professionisti, degli artigiani, delle imprese industriali e degli albergatori saranno pesantissimi.

Alcuni esempi ? Con l’applicazione dell’aliquota massima, un laboratorio artigiano si troverà a pagare un importo medio nazionale pari a 801 euro l’anno, un negozio 1.017 euro, un ufficio 2.047 euro, un capannone industriale 3.844 euro ed un albergo ben 11.722 euro. Rispetto all’eventuale applicazione dell’aliquota ordinaria (7,6‰), tutte queste attività verranno a pagare il +39,5% in più: una vera e propria stangata.

A livello territoriale, invece, sarà il Comune di Roma a presentare la situazione più pesante, almeno per gli uffici e i laboratori artigiani. Nel caso di un aumento dell’aliquota Imu fino al valore massimo, il gettito medio sarà pari a 5.960 euro per i primi e a 1.830 euro per i secondi. Per i capannoni il quadro generale vedrà La Spezia a segnare il dato più preoccupante: 19.731 euro. Per i negozi, spetterà eventualmente a Cremona il record di spesa: 2.327 euro. Infine, per gli alberghi la situazione più difficile si registrerà a Bari: nell’eventualità dell’applicazione dell’aliquota al 10,6 ‰ il costo medio annuo di un’attività ricettiva sarà pari a 46.011 euro.

A lanciare l’allarme è la CGIA di Mestre dopo la lettura della nota esplicativa presenta nei gironi scorsi dal Dipartimento delle Finanze. In questo documento i tecnici del ministero hanno sottolineato che i Comuni potranno abbassare l’aliquota dell’Imu sui beni strumentali fino al 4‰ (notizia comunque già nota a tutti), ma anche di aumentarla sino al 10,6‰. Possibilità, quest’ultima, che è stata definitivamente chiarita con questa nota.

Dalla CGIA ricordano che la legge istitutiva dell’Imu prevede che il gettito sulla prima casa non porterà nessun vantaggio economico nelle casse comunali, mentre dalle seconde/terze case e dalle attività economiche i Sindaci incasseranno il 50% del gettito. A fronte di questa novità introdotta nel chiarimento redatto dal Dipartimento delle Finanze, molti primi cittadini potrebbero essere tentati, viste le difficoltà economiche, ad applicare l’aliquota massima.

Pertanto – dichiara il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi – ci appelliamo al senso di responsabilità dei Sindaci. Siamo consapevoli delle difficoltà economiche in cui versano la stragrande maggioranza dei Comuni, tuttavia è bene che prima di deliberare eventuali aumenti di aliquota si dimensioni l’impatto economico che queste scelte avranno sulle attività commerciali e produttive. Purtroppo, a corto di risorse non ci sono solo i primi cittadini, ma anche le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni”.