lunedì 21 maggio 2012

I PAZIENTI: “SERVE UN PIANO CONTRO LE MALATTIE REUMATICHE” SONO SOTTOVALUTATE, MA COSTANO 4 MILIARDI DI EURO OGNI ANNO

Gabriella Voltan (presidente ANMAR): “Deve essere garantita l’equità di accesso alle cure e una migliore qualità di vita. L’esempio della Sicilia che realizzerà una rete per queste patologie”

Ventitre milioni di giornate di lavoro perse ogni anno e quasi 2 miliardi di euro di mancata produttività: sono i costi che derivano dalla scarsa attenzione alle malattie reumatiche. L’allarme è lanciato dall’Associazione Nazionale Malati Reumatici (ANMAR) e dal Coordinamento Nazionale Malati Cronici (CnaMC), che insieme a CittadinanzAttiva e a numerose altre associazioni di pazienti a livello regionale chiedono che venga realizzato un piano specifico per affrontare queste patologie fortemente invalidanti. “Il nostro appello – spiega la dott.ssa Gabriella Voltan, presidente di ANMAR – è rivolto al Ministro della Salute, prof. Renato Balduzzi, e alla Conferenza Stato-Regioni, perché siano inseriti ‘progetti obiettivo’ specifici nel Piano Sanitario Nazionale 2012. In particolare, deve essere garantita l’equità di accesso alle cure e ai farmaci biologici e va istituito un registro per queste malattie. È prioritario inoltre l’obiettivo della diagnosi precoce implementando la rete assistenziale, per migliorare la qualità di vita di queste persone e razionalizzare l’impatto sulle risorse dei sistemi sanitari regionali. È indispensabile che il Governo e le Regioni adottino quanto prima le misure necessarie per affrontare la situazione di questi malati, altrimenti il sistema sanitario non sarà in grado, già nel prossimo futuro, di garantire la dovuta assistenza ai cittadini”.

Una proposta concreta è quella rilanciata alla Commissione Salute della Conferenza delle Regioni dalla Sicilia, dove l’Assessorato della Salute sta lavorando per istituire una rete delle patologie reumatiche. L’iniziativa è stata presentata anche al recente convegno nazionale dei reumatologi a Venezia, dopo un lavoro annuale di incontri con cittadini e operatori. La sensibilità della Regione Sicilia ha rinforzato l’attenzione delle Istituzioni su un problema che le associazioni dei malati e il mondo scientifico denunciano da anni.

Più di cinque milioni di italiani, cioè quasi un decimo della popolazione (con predilezione per le donne in misura oltre 3 volte superiore agli uomini), soffrono di malattie reumatiche e, di questi, oltre 700 mila sono colpiti da forme croniche infiammatorie. I costi dell’assistenza socio-sanitaria rappresentano una seria minaccia per l’economia complessiva del nostro Paese. La spesa per le patologie reumatiche croniche supera i 4 miliardi di euro l’anno: quasi la metà - 1 miliardo e 739 milioni - è rappresentata dalla perdita di produttività per circa 287 mila lavoratori malati.

Nelle parole dei pazienti si legge l’importanza della diagnosi precoce e il rammarico per non essere stati curati subito, nella fase iniziale della malattia. “Sono sempre stata sana e la mia passione erano le scalate in montagna – afferma Giovanna -. Ho iniziato ad avvertire i primi disturbi legati alla malattia all’età di 26 anni. I sintomi, più accentuati dopo la prima gravidanza, sono stati trascurati dai medici. Finalmente ho ricevuto la diagnosi nel 1983, dopo la nascita del mio secondo figlio. Se la diagnosi fosse stata precoce, avrei avuto la possibilità di una terapia adeguata che mi avrebbe consentito di continuare a lavorare senza pesare sull’economia sociale ed avrei avuto una migliore qualità di vita. Sono una pensionata con un’invalidità anticipata da allora”. La scarsa qualità di vita nella testimonianza di un uomo di 69 anni. “Ho avuto i primi sintomi all’età di 23 anni – spiega il paziente, colpito da spondilite anchilosante -, la forma acuta si è scatenata a 27 e la patologia mi è stata diagnosticata dopo accertamenti radiologici nel 1971. La malattia mi ha costretto a ritirarmi dal lavoro che svolgevo alla Fiat perché non potevo stare in piedi per lungo tempo. Giornalmente sono costretto ad assumere antinfiammatori a causa della rigidità della colonna che si è bloccata quasi totalmente comprese le vertebre cervicali. Non vivo bene la mia patologia, mi sono incurvato e abbassato in altezza di oltre 6 cm. Se fossi stato curato meglio, la mia vita sarebbe stata diversa”. Un altro paziente è riuscito a recuperare una buona qualità di vita, grazie a terapie efficaci. “Sono malato di spondilite anchilosante da circa 18 anni – spiega il paziente che oggi ha 35 anni -. Una mattina estiva del 1997 mi sveglio con un leggero fastidio alle anche, avevo 20 anni, ero iscritto all'università al secondo anno ed ero un atleta talentuoso con davanti un futuro radioso di grandi risultati. Dopo circa un mese non camminavo più. Ero passato troppo velocemente dall’allenarmi tutti i giorni allo strisciare in casa appoggiandomi ai mobili. Come nella maggior parte dei casi la difficoltà iniziale fu individuare la malattia. Sono stato curato per ernia al disco, sciatalgia, qualcuno ha creduto che io fossi pazzo, ho fatto mesoterapia, magnetoterapia, fisioterapia e tante altre cose i cui nomi terminano con ‘-terapia’, tutto senza risultati. Dopo circa un anno la geniale intuizione di mio zio, che da bravo pediatra è abituato a lavorare con pazienti che non gli sanno spiegare i sintomi, mi ha indirizzato sulla strada giusta: la reumatologia. Gli anni successivi furono un susseguirsi di miglioramenti e ricadute, senza mai avvicinarmi a quella condizione di ‘normalità’ che ormai mi sembrava lontana e antica. Nell’aprile del 2004 il Prof. V. mi propone un nuovo tipo di cura, in parte ancora sperimentale, un farmaco cosiddetto ‘biologico’, vale a dire basato su un principio attivo, creato in laboratorio. Mi mette al corrente dei possibili effetti collaterali e concordiamo insieme la data della prima infusione. Pochi giorni dopo mi reco al policlinico di Napoli carico di speranze e di dolori, per l’inizio della terapia. La mattina seguente, a tutt'oggi la più bella della mia vita, mi alzo dal letto con una facilità che mi sembrava perduta per sempre. Ripeto l’infusione dopo due settimane, poi dopo quattro e infine dopo sei. A settembre ricomincio a correre. Oggi svolgo il mio lavoro di ingegnere, mi alleno tutti i giorni e corro, salto, lancio più di quanto non facessi prima della malattia. I dolori sono spariti del tutto, anche grazie alla forma fisica ritrovata, e mi ricordo della spondilite solo ogni quattordici settimane quando mi reco all'ospedale per l’infusione di vita”. 

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