mercoledì 30 ottobre 2013

ECCO PERCHE' VOGLIONO (ELIMINARE) IL NOSTRO CONTANTE

di Paolo Cardenà- Secondo quanto riportato dalla Reuters, il Ministro Saccomanni avrebbe espresso la volontà da parte dell'esecutivo di ridurre ulteriormente i limiti di utilizzo del contante. 

Nell'agenzia si legge: 

Il governo intende ridurre la soglia massima di pagamento in contanti, attualmente posta a 1.000 euro."Questo è un punto su cui l'Italia resta indietro ed è un punto su cui vogliamo intervenire", ha detto il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, durante un'audizione in Parlamento sulla legge di Stabilità.

Di seguito vi propongo alcune riflessioni, in parte già ospitate su numerosi articoli presenti sul blog.

Nella vita comune, l'utilizzo del denaro contante è  una delle cose più normali che esista. La possibilità di utilizzare denaro contante per compensare transazioni commerciali, costituisce elemento di libertà di  ogni essere umano, oltre che motore di sviluppo alla crescita economica e al benessere collettivo.
Quotidianamente, avvengono milioni e milioni di transazioni che hanno come contropartita l'utilizzo del denaro contate,  senza il quale, con ogni probabilità, parte di queste non avverrebbero mai, o avverrebbero in maniera sensibilmente ridotta
L'utilizzo del denaro contante è semplice, è pratico, è efficace, è veloce e non è costoso.
Questo, unito alla possibilità di utilizzare anche altre forme di pagamento che il progresso tecnologico ha reso disponibile, contribuisce ad elevare il grado di efficienza della società e delle pratiche commerciali le quali, a seconda dei casi, richiedono strumenti di pagamento più o meno consoni a talune tipologie di spese

Ridurre o eliminare del tutto l'utilizzo del denaro contante nelle pratiche commerciali, implicherebbe che chi ha uno stipendio, ad esempio, dovrà riceverlo obbligatoriamente in banca. Così come ogni sostanza contante di cui si dispone, dovrà essere depositata in banca, e da lì spesa attraverso la moneta elettronica.

Di colpo, grazie ad un atto normativo, il cittadino verrebbe privato oltre che di questa forma di libertà (cioè quella di utilizzare il contante), anche dell'unica forma di dissenso a sua disposizione nei confronti del sistema bancario. Per contro, le banche verrebbero graziate in quello che per loro costituisce il vero e proprio incubo: la corsa agli sportelli.

A quel punto, essendo il denaro smaterializzato e sostituito con un algoritmo astratto e intangibile, ne deriva che se non esiste moneta contante da scambiare e da prelevare, viene meno anche il pericolo che la popolazione possa chiedere la restituzione di ciò che non esiste. E' evidente, e le banche festeggiano.
Nel corso dei secoli, la necessità degli stati e quindi della politica, di contare sempre più sull'appoggio del sistema bancario per il finanziamento degli abusi di spesa della macchina statale e dei privilegi di politici (spesso corrotti ed incapaci), ha favorito l'instaurarsi di  una connivenza simbiotica tra la politica e il sistema bancario. Ciò  per reciproca convenienza: quella della politica di poter contare sui favori dei banchieri; e quella di quest'ultimi, di poter godere di  un quadro normativo di  favore per incrementare i propri affari e, in caso di dissesti, contare sull'interventismo statale.


Il denaro, per il sistema bancario, è elemento sul quale fonda i propri affari: in buona sostanza è la merce da vendere.  Avere il controllo e la gestione di tutto il denaro, per la banca, è un moltiplicatore del proprio business e quindi di redditività.
In un sistema basato sulla riserva frazionaria quale è il nostro, accade che i 1000,00 euro che vengono depositati in banca,  possono  diventare (per il sistema bancario) fino a 100.000, ossia cento volte tanto. E ciò è possibile per l'effetto moltiplicativo  dei depositi. Siccome sulle somme depositate la banca è tenuta ad accantonare solo l'1% del deposito (nel nostro caso 10 euro, l'1% di 1000) per far fronte ad eventuali esigenze di cassa e richieste di rimborso delle sostanze depositate, ne consegue che le altre 990 possono essere  immesse nuovamente nel sistema, mediate la concessione di prestiti. A questo punto i 990 euro concessi in prestito, vengono nuovamente depositati sul sistema bancario e la banca, dopo aver provveduto ad accantonare un'altro 1% (9.90 euro in questa seconda fase) della somma depositata,  avrà nuovamente a disposizione 980.10 da poter  concedere di nuovo in prestito, e così via fino a che non si sarà esaurito l'effetto moltiplicatore sul deposito iniziale. Ossia fino a quando non si sarà prodotta moneta virtuale per 100.000 euro a fronte dei 1000 euro di deposito reale iniziale. In sostanza, per ogni mille euro di deposito, la banca potrà moltiplicare fino a 100.000 euro la materia oggetto dei propri affari: il denaro. 

Sulla massa di prestiti concessi, in questo caso 99.000 euro,  la banca trae un enorme profitto applicando un tasso di interesse che chi ha usufruito del prestito  dovrà rimborsare a determinate scadenze, unitamente al capitale preso in prestito. Alla luce del ragionamento appena esposto, risulta del tutto agevole comprendere l'interesse da parte del sistema bancario affinché si giunga alla completa eliminazione della denaro contante. Tanto meno sarà il contante in circolazione, tanto più elevata sarà la possibilità riservata alle banche di incrementare il proprio giro d'affari e aumentare a la redditività prodotta, che si traduce in bonus milionari pagati ai super manager.


Il sistema bancario così deterrebbe in deposito la maggior parte della ricchezza del paese. Deterrebbe in custodia i vostri investimenti in titoli, azioni, obbligazioni, i preziosi custoditi in cassette di sicurezza, e ora anche il denaro che, obbligatoriamente, deve essere depositato sul conto corrente.

Siccome le pretese impositive dello Stato si fondano su imponibili di cui lo Stato stesso ne dovrebbe conoscere le dimensioni e la collocazione, se ne deriva che lo Stato non potrebbe tassare ciò che non conosce, come ad esempio il denaro contante che voi custodite a casa. Almeno fino a questo momento.

Il pericolo è proprio quello di essere obbligati, tramite un provvedimento di legge, a privarsi dell'utilizzo del contante, per rendere la macchina coercitiva del fisco ancora più efficiente, funzionale, perfetta e micidiale.

Tra qualche giorno,  le banche italiane dovranno trasmettere all'anagrafe tributaria tutte le movimentazioni dei nostri conti correnti. Lo stato, con un semplice click, potrà conoscere in tempo reale ogni vostra ricchezza: sia la sua collocazione, che la sua dimensione complessiva. Ricchezza incrementata, ovviamente, dai depositi di denaro contante che, oltre a far aumentare la base imponibile da colpire con un'eventuale imposizione patrimoniale, offre allo Stato la garanzia del buon esito della sua pretesa tributaria.

Quindi, in questo caso, avrebbe a sua completa disposizione ogni forma di ricchezza, e potrebbe tassare, confiscare ed espropriare, ogni importo a suo piacimento, desiderio e necessità, sia per salvare chi tale ricchezza la detiene in deposito (le banche), sia per salvare se stesso e i privilegi del manipolo di gerarchi da un eventuale bancarotta.

Anzi, questo pericolo è quantomai reale e percepibile al punto che buona parte della nomenclatura politica del paese non nasconde affatto il desiderio di applicare un'imposta patrimoniale.
Volete un esempio su cosa potrebbe fare lo stato con il vostro patrimonio? Bene, basta prendere ad esempio Cipro. La cosa più semplice da fare è proprio quella di aggredire il deposito sui conti correnti. Sono sostanze disponibili e quindi per definizione idonee ad essere immediatamente trasferite, dal conto corrente alle casse dello stato.E poi se lo Stato è fortunato e a voi vi dice male, sul conto corrente potrebbe anche trovare un saldo particolarmente elevato derivante dal mutuo che la vostra banca, magari, vi ha accreditato qualche giorno prima per comprare la vostra casa o finanziare la vostra attività. Quindi un "extragettito" per lo Stato, una maggiore rapina per voi, su dei patrimoni a debito che dovrete rimborsare alla banca.

La cosa vi sorprende? Nel 1992, con la patrimoniale di Amato, è accaduto proprio questo. Aziende efamiglie di sono viste confiscare ricchezza su delle somme derivanti da un finanziamento concesso dalla banca e temporaneamente depositato sul conto corrente bancario. Vi sembra giusto?

Volete un'altro esempio? Eccovi serviti. Parte della politica, ad esempio, come dicevamo, non nasconde 
affatto l'idea che sarebbe favorevole ad un'imposta patrimoniale sui grandi patrimoni. A parte il fatto che non si forniscono chiarimenti su cosa debba intendersi per patrimonio, ossia se si dovranno considerare beni immobili, mobili, investimenti, aziende ecc., il sospetto è che, quando si accorgeranno che il gettito derivante da un'imposizione patrimoniale sarà molto ridotto, probabilmente, abbasseranno di molto il livello di patrimonio dal quale far scattare l'imposizione al fine di aumentare la base imponibile.

Solo per citare un esempio, qualora dovesse essere tassato il patrimonio immobiliare, non è detto che il contribuente abbia disponibili gli importi per adempiere all'obbligazione tributaria. Ecco quindi che il fisco potrebbe aggredire il conto corrente dove si detengono, per obbligo normativo, anche le risorse indispensabili per il sostentamento dei propri congiunti, lasciando a pancia vuota tutta la famiglia.

Ma la carrellata di casi e gli aspetti inquietanti di una simile coercizione della libertà individuale è ancora lunga, fitta ,se non interminabile. Si potrebbe andare avanti per ore, ma non cambierebbe affatto il risultato.

La banca, concludendo, diverrebbe una gigantesca camera di compensazione, ossia soggetto giuridico al servizio (più di quanto lo sia oggi) dello Stato per espropriare ricchezza: ossia il presente e il futuro di liberi ed onesti cittadini.

Il perché è chiaro: per rendere solvibile il debitore non c'è via più semplice che quella di compensare debiti del debitore con i crediti del creditore. E il gioco è fatto

martedì 29 ottobre 2013

THE ECONOMIST: LA PRIGIONE DEI DEBITORI

L'eurozona è in una crisi di debito privato, più che di debito pubblico. 
Naturalmente lo sapevamo. Ormai ce lo ha detto perfino la BCE. Ma visto che repetita iuvant e che stavolta ce lo dice l'Economist, abbiamo tradotto questo articolo - che mette un po' di puntini al loro posto e tra l'altro ci ricorda una cosa: le politiche deflazionistiche di austerità non fanno altro che rendere sempre più insostenibile il peso dei debiti privati.


La prigione dei debitori

L'eurozona è in crisi per il debito privato più che per il debito pubblico


La Banca Centrale Europea (BCE) questa settimana ha annunciato il modo in cui intraprenderà un'approfondita analisi degli asset bancari, prima di farsi carico della supervisione bancaria nell'area euro verso la fine dell'anno prossimo (vedi articolo). Uno degli obiettivi di questo esercizio è quello di identificare i crediti in sofferenza che inquinano le banche dell'eurozona e di prevenire nuovi flussi di crediti. Questo è importante perché alcune parti dell'area della moneta unica sono indebolite non semplicemente dal debito pubblico, ma dal debito privato, la maggior parte del quale sta nei portafogli delle banche.

Durante tutto il corso della crisi dell'euro, tuttavia, sono stati messi in atto duri programmi di austerità  per ridurre il debito pubblico. Tale focalizzazione, d'ispirazione tedesca, manca però malamente il bersaglio. Secondo una recente ricerca del FMI, un elevato debito privato è più dannoso per la crescita rispetto a un elevato debito pubblico. In verità lo studio dell'FMI indica che un eccessivo debito sovrano riduce la crescita solo quando anche le famiglie e le imprese sono pesantemente indebitate.

L'effetto perverso dell'elevato debito privato diventa evidente coi fallimenti che seguono i boom guidati dal credito. Le famiglie che hanno fatto troppi debiti rispetto al loro reddito riducono le loro spese, che sono la componente principale del PIL. Le imprese con un eccessivo rapporto di indebitamento evitano di investire e si concentrano a ridurre i bilanci e ripagare i debiti. Come i crediti inesigibili erodono i loro capitali, le banche diventano sempre più riluttanti a concedere prestiti. Queste tendenze avverse si rinforzano a vicenda aumentando la deriva sulla crescita.

Prefigurare il punto oltre il quale il debito diventa eccessivo non è compito che possa essere svolto in maniera esatta. La Commissione Europea, che ora ha il compito di monitorare ogni squilibrio macroeconomico che emerge, utilizza un limite del 160% del PIL per il debito privato – quanto le famiglie e le istituzioni non-finanziarie devono sotto forma di vari tipi di prestiti e di titoli di debito come le obbligazioni societarie. Questo livello sembra prudenziale: si tratta del livello prevalente sia in America che nell'insieme dell'eurozona.

Una soglia preoccupante più realistica potrebbe essere il 200% del PIL. Su tale base, appaiono vulnerabili otto paesi dei 17 che hanno la moneta unica (vedi il grafico).

Degli otto, il Belgio e il Lussemburgo sono meno preoccupanti di quel che potrebbe sembrare perché i debiti delle loro imprese sono in realtà gonfiati dalla presenza di multinazionali e includono una grossa fetta di prestiti infra-gruppo. Tuttavia non si può dire lo stesso dell'Olanda, dove il debito privato è oltre il 220% del PIL principalmente perché le famiglie sono sovraindebitate. Anche nella piccola Malta il livello è vicino al 220%. Il debito privato è elevato anche in quattro paesi che hanno ricevuto salvataggi: a Cipro e in Irlanda è oltre il 300% del PIL, in Portogallo al 255% e in Spagna al 215%.
 
Ndt: debito privato in percentuale di PIL per paese nel 2012. La parte in azzurro è il debito delle imprese, quella in blu il debito delle famiglie. Nei riquadri bianchi a destra è riportato il relativo debito pubblico (si noti che è sempre inferiore rispetto al debito privato).

In tutti tranne uno degli otto paesi la maggior parte del debito riguarda le imprese. Questa preponderanza dei debiti delle imprese è estrema in Lussemburgo, ma è notevole anche in Irlanda, il cui debito è impattato anche dalla presenza di aziende multinazionali. Nonostante ciò, il solo debito delle famiglie irlandesi è oltre il 100% del PIL. L'Olanda è l'unico paese dove la maggior parte del debito è personale: il debito delle famiglie è il 128% del PIL (tuttavia quello di Cipro è addirittura maggiore, al 136% del PIL).

Sebbene l'Italia abbia il secondo più alto debito sovrano dell'eurozona, non figura tra i paesi che hanno eccessivo debito privato. Le sue imprese devono restituire in qualche misura meno rispetto alla media dell'eurozona, e i debiti delle famiglie italiane sono particolarmente bassi. Ma monitorare il rapporto tra debito e PIL non è la sola misura di vulnerabilità. Per le imprese non-finanziarie, un importante indicatore di fragilità è l'elevato rapporto tra debito e patrimonio netto. Sulla base di questa misura le imprese italiane, specialmente le piccole e medie imprese, sono particolarmente in difficoltà.

Anche altri indicatori di bilancio suggeriscono che le imprese italiane sono in cattive acque. Per esempio, il 30% dei debiti aziendali sono dovuti da imprese i cui utili già prima dell'imposizione fiscale sono più bassi degli interessi che devono rendere. La quota di imprese fragili è anche più alta in Spagna e Portogallo (40% e quasi 50% rispettivamente). Ma la situazione dell'Italia è in stridente contrasto con quella di Francia e Germania, dove poco più del 10% dei debiti aziendali sono dovuti da imprese in situazione così precaria. Le aziende italiane sono state colpite dall'erosione della loro competitività all'interno dell'eurozona.

Pochi progressi sono stati fatti per alleggerire il peso del debito privato dall'inizio della crisi. Sebbene in Spagna esso sia sceso dal 227% al 215% del PIL tra il 2009 e il 2012,  nello stesso periodo è cresciuto a Cipro, in Irlanda e in Portogallo. In Gran Bretagna, al contrario, il debito privato è sceso dal 207% del PIL nel 2009 al 190% del PIL nel 2012, grazie ai progressi fatti sia dalle famiglie che dalle imprese.

La riduzione dei debiti si è dimostrata così difficile perché il clima economico è stato decisamente spietato. Il peso dei debiti (s'intende del rapporto tra debiti e PIL) diventa automaticamente più leggero nel momento in cui i redditi aumentano. Ma non è stato così per le economie europee, colpite da una doppia recessione e danneggiate da livelli dei prezzi che sono vicini alla deflazione. C'è un'intrinseca contraddizione tra la necessità che hanno i paesi debitori dell'eurozona da un lato di riguadagnare competitività attraverso prezzi più bassi, e al tempo stesso di ridurre il peso di debiti eccessivi con una dose in inflazione.

Perfino in un clima economico migliore, il sud Europa avrebbe difficoltà a ridurre i propri debiti. Le insolvenze delle imprese sono cresciute rapidamente, anche se a partire da livelli bassi. Ci sono atteggiamenti sociali sfavorevoli verso i debitori, che generalmente vengono perseguiti in tribunale con lunghi e costosi processi.

Le leggi sull'insolvenza sono state recentemente riformate in diversi paesi. Il governo portoghese, per esempio, ha reso più semplice la ristrutturazione del debito anche senza passare dai tribunali. Ma le riforme spesso non funzionano. La legge spagnola vorrebbe promuovere la ristrutturazione dei debiti delle imprese ancora sane, ma in pratica la maggior parte delle insolvenze finisce con la liquidazione dopo lunghi procedimenti giudiziari. Lo stigma culturale della bancarotta rimane: i potenziali imprenditori in paesi come l'Italia e la Spagna sono più preoccupati del fallimento di quanto lo siano in Gran Bretagna e in America.

Gli Olandesi scoraggiati

L'elevato debito delle famiglie aiuta a spiegare perché l'Olanda, insieme all'Italia e alla Spagna, sia rimasta in recessione anche nel secondo trimestre del 2013, nonostante l'eurozona complessivamente avesse dato segni di ripresa. Il PIL olandese quest'anno si ridurrà del 2% rispetto al 2011 e di oltre il 3% rispetto al suo precedente picco del 2008. Nonostante questa riduzione della produzione sia minore di quella sofferta dal sud Europa, essa illustra l'effetto perverso dell'elevato debito quando i prezzi delle case scendono – i recenti ribassi sono andati molto vicini a quelli della Spagna. Questo ha spinto un quarto delle famiglie olandesi in una condizione di “patrimonio netto negativo”: le loro case valgono infatti meno dei loro mutui.
Altrove nell'eurozona l'elevato debito delle imprese ha fatto anche più danni. Le imprese sovraindebitate sono riluttanti a intraprendere nuove iniziative, e le banche in ogni caso sono riluttanti a fare credito perché i loro bilanci sono infarciti di crediti inesigibili. Questo infelice stato di cose prevale ovunque nel sud Europa, nonostante che nel dettaglio la causa possa essere variabile. In Spagna i crediti inesigibili sono aumentati principalmente a causa della bolla immobiliare e sono stati affrontati nel corso degli anni passati riconoscendo le perdite e trasferendo i crediti svalutati a Sareb, una compagnia di gestione degli asset. In Portogallo essi provengono dal logorio di più di un  decennio di stagnazione.

I test bancari della BCE provocheranno la ristrutturazione di alcuni di questi debiti perché le banche saranno costrette a riconoscere alcuni dei crediti come inesigibili. Ma questa pulizia potrebbe essere limitata a causa delle paure da parte dei paesi europei con le finanze più solide che i crediti bancari inesigibili possano essere scaricati tutti in un comune fondo di salvataggio. Se stavolta la questione della qualità di questi asset non viene adeguatamente affrontata, getterà un'ombra lunga sulle possibilità che l'eurozona realizzi una ripresa economica duratura.



LA DITTATURA EUROPEA STA ENTRANDO NEL VIVO!!!!

Dal 24 Ottobre 2013 in Grecia è REATO protestare contro l'UE!!! E non dimentichiamo i "servizi segreti" europei creati appositamente per contrastare gli "euroscettici": 

http://informatitalia.blogspot.com/2013/10/grecia-in-carcere-chi-critica-lunione.html

Misure antidemocratiche che "completano il quadro" con Eurogendfor, la super-polizia europea che opera sotto coman
do NATO AL DI SOPRA DELLE LEGGI NAZIONALI:http://informatitalia.blogspot.com/2013/09/eurogendfor-la-polizia-europea-con.html

PER NON TRASCURARE NIENTE, l'UE ha pensato bene di costruire e addestrare un esercito di INFLUENCER, pagati per commentare sul web in favore dell'UE e CONTRO COLORO CHE CONTRASTANO L'EUROPA: ecco chi sono coloro che definiscono "bufala" persino ciò che è scritto NERO SU BIANCO nei Trattati, approfittando della superficialità - se non dell'ignoranza - di molti cittadini!!!
http://www.nocensura.com/2013/02/arrivano-gli-influencer-pagati-dallue.html


*** FATE GIRARE!!!!!!!!!!!!!!  

venerdì 25 ottobre 2013

“C’ERA UNA VOLTA” NON DEVE CHIUDERE – FIRMA LA PETIZIONE

Un programma che “analizza i cambiamenti globali, i mutamenti sociali, gli scenari politici e racconta le storie di coloro che di tali trasformazioni sono testimoni o vittime”. Questo è, o meglio era, “C’era una volta“. La Rai ha infatti costretto il giornalista Silvestro Montanaro ad andar via e quindi a chiudere la trasmissione, di cui era autore, che per oltre 10 anni di documentari e reportage ha dato voce agli ultimi del mondo, e coscienza a tutti noi.

Immediatamente dopo l’infausto annuncio, è nata una petizione per chiedere alla Rai di ritornare sui propri passi e di onorare il contratto di servizio pubblico offrendo dell’informazione critica e globale, di qualità. Tra i primi firmatari dell’appello anche il nostro direttore Joshua Evangelista: “Non deve chiudere perché in questi anni è stato un baluardo per chi vuole fare informazione precisa e al contempo umana, che ascolti il grido di chi non ha voce. Un incoraggiamento a non lasciare intorpidire le nostre coscienze”.


Clicca QUI per firmare la petizione


LA TRATTA DEI 20MILA BAMBINI MESSICANI

Sono in fuga da una delle aree più pericolose del mondo, un affare ghiottissimo per la criminalità organizzata. Parliamo di bambini, bambine e adolescenti centroamericani, migranti non accompagnati con altissimo rischio di entrata nei circuiti della tratta. Un affare che frutta alla criminalità organizzata 10 miliardi di dollari all’anno. 

A lanciare l’allarme è Soleterre, che nel suo recentissmo report “Il cammino della paura – I diritti violati dei migranti e dei loro difensori in Messico”  descrive la tratta dei minori come il business più redditizio per la criminalità messicana dopo il traffico di armi e droga. E le vittime designate sono soprattutto i migranti irregolari e in particolar modo i minori che sempre più spesso percorrono i sentieri verso gli Stati Uniti da soli.

SESSO, DROGA E RECLUTAMENTI. Secondo il Governo messicano sarebbero 20.000 i bambini, bambine e adolescenti vittime della tratta. Del resto sul territorio messicano operano almeno 47 bande specializzate nella tratta di persone a fine di sfruttamento sessuale e lavorativo. Così i bambini del centro America vengono costretti a lavorare come operatori sessuali, spacciatori di droga e armi o come “polleritos”, gli addetti alla recluta degli altri bambini. Non sono rari i casi in cui ai sequestri seguono riscatti alle famiglie.

L’ESODO DEI BAMBINI. A preoccupare in modo particolare è il numero dei bambini non accompagnati che provano a oltrepassare la frontiera. Secondo il Customs and Border Protection degli Stati Uniti nel 2008 i fermi di bambini non accompagnati erano meno di 10.000, mentre nel 2012 la cifra è salita a 25.000. Di questi più di 10.000 (10.146) provengono da Guatemala, Honduras ed El Salvador. Fuggono da tre tra i paesi con il più alto tasso di criminalità, ma il loro esodo conosce una tappa altrettanto crudele nelle stazioni migratorie dove vengono detenuti:  vengono privati di diritti fondamentali (alla salute, all'educazione  all'unità familiare e all'integrità fisica, solo per citarne alcuni) e spesso (14%) subiscono abusi. Un circolo vizioso, considerando che la tappa successiva è il rimpatrio: condannati quindi a tornare nel contesto di violenza da cui fuggono. Negli ultimi anni circa il 23% dei minori detenuti  nelle stazioni migratorie erano bambine.

IL REPORT. Ne “Il cammino della paura – i diritti violati dei migranti e dei loro difensori in Messico” Soleterre denuncia sia le politiche migratorie statunitensi che quelle messicane, oltre ovviamente alla criminalità organizzata che gestisce la tratta e il traffico di essere umani. Una complicità che  porta ad una massiccia violazione dei diritti umani dei migranti (con un focus su donne e bambini).

COME MUOVERSI. Secondo Soleterre, “un primo urgente provvedimento è di sospendere il reato di clandestinità per i minori non accompagnati e per le donne vittime di violenza e poi procedere alla concessione dello status di rifugiato ai migranti provenienti da zone con tassi altissimi di violenza causati dall’imperversare del crimine organizzato, come in America Centrale e in Messico. Per farlo bisogna una volta per tutte qualificare ufficialmente il crimine organizzato come “agente di persecuzione” e non solamente come agente criminale comune”.

FEDERCONSUMATORI, MANTENERE UN FIGLIO STA DIVENTANDO UN LUSSO! DA 0 A 18 ANNI LA SPESA MEDIA ARRIVA A CIRCA 171.000 EURO.

Crescere un figlio è un impegno enorme, dal punto di vista umano, ma anche da punto di vista economico.

L’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori, in questi anni ha effettuato numerose rilevazioni i cui risultati sono tutti concordi nel dimostrare quanto sia oneroso per una famiglia mantenere ed educare un figlio.

Ogni anno monitoriamo i costi per mantenere un figlio nel primo anno di vita, quelli relativi al caro scuola, o, ancora, quelli che una famiglia deve sostenere per pagare le rette universitarie (tutte le ricerche citate sono disponibili sul sito Federconsumatori).

Già dallo scorso anno abbiamo arricchito tale ambito di ricerca con un’indagine completa che analizza le spese per mantenere un figlio dalla nascita fino ai 18 anni.

La spesa varia molto in base al reddito familiare. Per una famiglia con reddito disponibile netto di 34.000 Euro annui crescere un figlio fino alla maggiore età costa mediamente 171.000 Euro.

Sempre prendendo come riferimento tale reddito familiare, inoltre, la spesa differisce a seconda della zona di residenza: in un’area urbana, ad esempio, il costo medio annuo può variare da 8.900 Euro al Sud e nelle Isole a 12.325 nel Nord Est.

Le spese più consistenti riguardano i costi di abitazione, alimentazione e trasporti, rispettivamente pari al 29%, al 16% ed ancora al 16% del totale.

Un costo che, complessivamente, risulta invariato rispetto alla ricerca effettuata lo scorso anno. È interessante notare, però, il vero e proprio slalom messo in atto dalle famiglie per contenere il budget anche a fonte dell’aumento dei costi (non dimentichiamo infatti che nel periodo di riferimento vi è stato un incremento dell’IVA).

Aumenta, infatti, la spesa per i trasporti (energia, carburanti, assicurazioni) e quella per l’educazione, mentre i genitori tagliano sempre più quella per l’abbigliamento, per il tempo libero, per i servizi per la casa, intaccando persino la spesa per la salute.

In ogni caso, i costi diretti di mantenimento e crescita di un figlio fino a 18 anni comportano tra il 25% ed il 35% di spese in più rispetto ad una coppia senza figli.

Questo dimostra come, oggi, fare un figlio stia diventando un lusso riservato a pochi.” – dichiara Rosario Trefiletti, Presidente Federconsumatori.

Per questo rivendichiamo la necessità di politiche a sostegno della famiglia e della natalità.

mercoledì 23 ottobre 2013

LE VIOLENZE TACIUTE CONTINUANO AD INSANGUINARE la Repubblica Democratica del CONGO

"Ho 29 anni," inizia Nadine .. "Vengo dal villaggio di Nindja. Siccome la zona non era sicura, abbiamo passato molte notti nascondendoci nella boscaglia. I soldati ci hanno trovati lì. Hanno ucciso il nostro capo villaggio e i suoi figli. Eravamo 50 donne. Ero con i miei tre figli e mio fratello maggiore a cui i soldati hanno ordinato di fare sesso con me. Si e' rifiutato e gli hanno tagliato la testa col machete " Il corpo di Nadine comincia a tremare. Stento a credere che queste parole provengano da una donna che è ancora in vita, che respira. Racconta che uno dei soldati l'ha costretta a bere la sua urina e mangiare le sue feci, i soldati hanno ucciso 10 dei suoi amici e poi hanno ucciso i suoi figli: i suoi due bambini di 4 e 2 anni e la bambina piu' piccola di 1 anno. "Hanno gettato il corpo della mia bambina sul pavimento come spazzatura", dice Nadine. "Uno dopo l'altro, mi hanno violentata. La mia vagina e l'ano sono stati strappati." Nadine si aggrappa alla mia mano come se stesse annegando in uno tsunami di ricordi. Anche se è distrutta, è chiaro che ha bisogno di raccontare questa storia, lei mi chiede ascoltare quello che ha da dire. Chiude gli occhi e dice qualcosa che faccio fatica ad ascoltare: "Uno dei soldati ha squarciato il ventre a una donna incinta," dice. "Era un bambino a termine e lo hanno ucciso. L'hanno cucinato e siamo stati costretti a mangiarlo. "

Questa testimonianza, tra molte altre e' stata raccolta da Eve Ensler nel 2010 durante il suo viaggio nella RDC. Ci sono centinaia di migliaia di donne, bambine e bambini congolesi a cui hanno strappato, profanato, distrutto il corpo e la mente. Essi continuano a vivere un trauma che non ha nome, perché sanno che i loro torturatori restano a piede libero e ancora vagano nei territori in cui le vittime vivono.

Almeno 40 donne ogni giorno vengono violentate nel Nord-Kivu. Stima riportata da France 24 nell'ultimo articolo del 16 ottobre scorso in cui informa di una nuova recrudescenza della violenza nella RDC. In RDC avviene più di uno stupro ogni ora, secondo un rapporto pubblicato la scorsa settimana dal Ministro del Genere, Famiglia e bambini della RDC. La provincia di Nord Kivu è la più colpita e ha identificato 4689 casi di violenza sessuale nel 2011, 7075 nel 2012: un aumento drammatico. Quest'anno, 3.172 casi sono stati registrati nel primo semestre. I casi di stupro sono aumentati in modo esponenziale nel Nord Kivu, negli ultimi anni, riflettendo l'incertezza in cui è la provincia della Repubblica Democratica del Congo, dove i gruppi armati terrorizzano la popolazione. Le donne vittime di stupro che sopravvivono sono spesso respinte, non solo dalla società, ma anche dalle loro famiglie.

Lo stupro e' diventata un'arma di guerra e devastazione per piegare una intera popolazione, inoltre c'e' da notare che queste atrocità vengono compiute laddove i depositi minerali sono sempre nelle vicinanze, questi atti barbarici sono in realtà un'arma di guerra. Siamo testimoni di un genocidio, un olocausto con l'utilizzo di tecniche di sterminio di una nazione in modo da avere il sopravvento sulle ricchezze di questa nazione.

Vergogna alla Comunità internazionale, perché assiste in silenzio questo genocidio.

E mentre le autorità militari congolesi diffondono con clamore raffiche di dispacci sui successi conseguiti contro la famigerata milizia ribelle hutu – le cosiddette Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr) – con l’intento di far credere che la situazione sia ormai sotto controllo, la realtà è assai diversa dalla propaganda. Il business minerario infatti fomenta a dismisura la sporulazione di nuovi gruppi armati, al punto che non passa settimana senza che venga annunciata la nascita di una nuova formazione. Ma il dato forse più inquietante riguarda lo sfruttamento illegale delle risorse del Kivu che, secondo autorevoli fonti della società civile, avviene con la connivenza tra il regime ruandese e le Fdlr. Benché queste due entità siano ufficialmente antagoniste, gran parte della cassiterite e del coltan estratti nei siti minerari controllati dalle Fdlr ed esportati dal Kivu transitano 'curiosamente' - è proprio il caso di dirlo - per Kigali.

Alcuni osservatori ritengono che la presenza delle Fdlr nel Kivu sia usata dal regime di Kigali come pretesto per intervenire, direttamente o indirettamente, nel Kivu stesso e mantenerlo, militarmente e politicamente, sotto il suo controllo per poter continuare a usufruire degli enormi benefici derivanti dall’attività commerciale delle risorse minerarie congolesi. Ecco perché non ci sarebbe affatto da stupirsi se un giorno si venisse a sapere che le violenze ora attribuite a 'presunti Fdlr' fossero volute e pianificate dal governo ruandese, con il medesimo obiettivo. D’altronde l’esercito congolese ha nel proprio organico, in seguito all’accordo di pace tra le parti, una presenza cospicua di militari provenienti dalla milizia filoruandese del Cndp (il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo). Nel frattempo, la Monuc, la forza di peacekeeping delle Nazioni Unite, s’è risolta in un clamoroso 'fiasco'. Stando ad un rapporto ufficiale che sarà discusso in una prossima riunione del Consiglio di Sicurezza, la Monuc sarebbe stata incapace di contrastare le Fdlr che godrebbero dell’appoggio di una rete di finanziamento non solo in Africa ma anche in Europa e nel Nord America. Sempre in questo rapporto Onu si fanno i nomi di due missionari saveriani accusati d’essere finanziatori della guerriglia. Notizie come queste amareggiano perché le testimonianze che vengono dalle loro comunità cristiane indicano l’esatto contrario. La questione di fondo invece, troppo spesso sottaciuta dai media, è che la popolazione del Kivu sta subendo un’occupazione militare occulta a seguito delle mire espansionistiche dei paesi limitrofi, in particolare il Rwanda e l’Uganda, coinvolti nello sfruttamento illegale delle risorse minerarie congolesi tra cui figurano anche oro, petrolio e gas metano, diamanti, rame e coltan. Si tratta di un minerale indispensabile per l’industria high-tech, di cui il Congo possiede l’80% delle riserve mondiali. A causa dell’estrazione del coltan le popolazioni locali hanno visto espropriate le loro terre. Gli introiti delle attività hanno finanziato la guerra civile, gli impatti ambientali sono stati gravissimi ed i diritti presenti e futuri della popolazione continuano ad essere violati.

Vergogna alla Comunità internazionale, perché assiste in silenzio questo genocidio.

Vogliamo solo ricordare un'ultima cosa: ogni volta che si utilizza il cellulare, ogni volta che si accende il computer ogni volta che i nostri bambini giocano con i loro giochi video, ogni volta che acquistiamo gioielli in oro o diamanti, ogni volta che prendiamo l'aereo, ogni volta che accendiamo il nostro bel tv a schermo piatto gigante, ... e non facciamo nulla per porre fine a questa tragedia siamo COMPLICI di questo massacro."


sabato 19 ottobre 2013

CENSIS:GLI ANZIANI, UNA RISORSA PER IL PAESE

Sono tanti, in buona forma, vitali e si dedicano agli altri: un patrimonio di competenza ed esperienza al servizio della collettività

Il protagonismo demografico. Tra poco più di un anno, nel 2015, il numero della popolazione over 65 anni coinciderà in pieno con quello della popolazione giovane, tra 15 e 34 anni, pari a circa 12 milioni e mezzo di persone.

Il neo-vitalismo. Tra gli aspetti che oggi caratterizzano gli stili di vita degli anziani e che contribuiscono al miglioramento delle loro condizioni di salute c'è la cura di se stessi e l'attenzione alla propria condizione psico-fisica, un'attenzione che si esprime in una serie di scelte e comportamenti nella vita quotidiana. Rispetto al 2002 sono raddoppiati gli anziani che si tengono in forma camminando o facendo attività sportiva all'aperto (praticata dal 53,9%), che prestano attenzione alla qualità biologica del cibo (31,5%) e alla salubrità della dieta quotidiana (23,2%). Circa un terzo degli anziani (30,3%) cerca di trascorrere brevi periodi di vacanza nel corso dell'anno, oltre a quelli legati alla pausa estiva. Il 14,3% frequenta abitualmente palestre e piscine. Il 9,7% si concede almeno una volta all'anno le cure termali. Il 4,4% si sottopone abitualmente a cure estetiche, con sedute di abbronzatura, massaggi per il corpo e per il viso.

Una risorsa per la società. L'impegno nel volontariato è un'attività molto diffusa tra gli anziani, che li rende un pilastro dell'altruismo sociale. Nel 2012 sono stati quasi un milione (969mila), vale a dire il 7% della popolazione over 65, gli anziani che hanno svolto attività gratuita di volontariato o partecipato a riunioni nell'ambito delle organizzazioni. Una quota in costante crescita, considerato che rispetto al 2007, se il numero dei volontari in Italia è aumentato del 5,7%, tra gli anziani si è registrato un incremento del 24,2% (pari a circa 200mila persone), a testimonianza del ruolo sempre più attivo che questi hanno nella società.

Il lavoro: dal fossato al ponte generazionale. Dal 2007 al 2012, mentre il numero dei giovani occupati di 15-34 anni è crollato (da 7 milioni 237mila a 5 milioni 789mila, quasi 1 milione e mezzo di posti di lavoro persi: -20%), i lavoratori con più di 55 anni sono aumentati da 2 milioni 766mila a 3 milioni 445mila (+24,5%). La competenza e l'esperienza dell'anziano può essere messa al servizio della collettività. Il 68,8% dei titolari di grandi aziende preferisce gli anziani rispetto ai giovani quando si tratta di competenze gestionali e organizzative, del riconoscimento nei valori aziendali (58,8%), delle competenze specialistiche (51,5%), della capacità di leadership (52,1%). I giovani hanno dalla loro invece l'orientamento all'innovazione (84,5%), la capacità di lavorare in gruppo (71,4%) e una maggiore produttività (61,2%).

La polarizzazione generazionale della ricchezza. Il divario tra le generazioni in termini di accesso al lavoro, di reddito, di risparmi e consumi non è mai stato così ampio. La percentuale di nonni che si occupano direttamente dei nipoti scende dal 35,8% del 2007 al 22,5%, e si contrae dal 17,5% al 9,7% la quota di anziani che si rendono disponibili per il disbrigo di mansioni in casa o di pratiche burocratiche. Aumenta però dal 31,9% del 2004 al 47,9% la quota di over 60 che contribuiscono con un aiuto economico diretto alla vita di figli e/o nipoti. E sono per lo più anziane le famiglie che detengono consistenti patrimoni, quote rilevanti di reddito, e sono poco o per nulla indebitate. Se all'inizio degli anni '90 i nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni detenevano il 17,1% della ricchezza totale delle famiglie e le generazioni immediatamente precedenti il 19,6%, negli ultimi vent'anni la loro quota è scesa significativamente: rispettivamente al 5,2% per le prime e al 16% per le seconde. Nel frattempo è aumentata la quota di ricchezza detenuta dalle famiglie più anziane, con capofamiglia ultrasessantacinquenne, passata dal 19,2% al 32,7%.

L'impasse dei giovani. Stretti nella morsa del deficit di opportunità, da un lato, e del surplus di supporto familiare, dall'altro, rispetto ai coetanei europei i giovani italiani mostrano la tendenza a procrastinare sempre di più il momento delle scelte, della responsabilità e della maturità. Il ritardo che caratterizza l'uscita da casa degli italiani rispetto è stato aggravato dalla crisi. La quota di 15-34enni celibi e nubili che vivono in casa con i genitori è cresciuta ulteriormente, arrivando al 61%.

Aumentano i Neet. Ma a preoccupare di più è la crescita esponenziale del fenomeno che vede sempre più giovani chiamarsi fuori da qualsiasi tipo di impegno, che sia lo studio, il lavoro o la ricerca di un impiego. Dei circa 6 milioni 85 mila italiani di 15-24 anni, il 59,1% si trova inserito in un percorso formativo, il 18,6% ha un lavoro, il 10,1% lo sta cercando, mentre il 12,2% non fa nessuna di queste cose. È l'universo dei Neet, giovani che non studiano, non lavorano e non sono intenzionati a cercare alcun tipo di occupazione, ma preferiscono restare a casa.

Fonte:Censis

CGIA: NEL 2014 PIÙ TASSE PER PENSIONATI E FAMIGLIE CON REDDITI MEDIO ALTI

A seguito dell’aumento dell’Iva e degli effetti riconducibili alle principali misure fiscali introdotte dalla legge di Stabilità, nel 2014 i pensionati subiranno un aggravio fiscale oscillante tra i 74 e i 144 euro: mentre le famiglie con redditi medio alti subiranno un maggior prelievo tra i 70 e i 357 euro. Per le famiglie con redditi bassi, invece, i vantaggi arriveranno a toccare i 141 euro.

I conti sono stati realizzati dall'Ufficio studi della CGIA che ha analizzato gli effetti economici delle principali misure fiscali che graveranno l’anno prossimo sulle famiglie italiane.

Le tipologie famigliari prese in esame sono cinque: un pensionato single; un giovane lavoratore dipendente single; una coppia bireddito con un figlio; una famiglia monoreddito composta da tre persone e una famiglia monoreddito composta da quattro persone.

In queste simulazioni la CGIA ha tenuto conto dell’introduzione della Tasi (la nuova tassa sugli immobili) e dell’aumento delle detrazioni Irpef che interesseranno solo i lavoratori dipendenti. Entrambe le misure scatteranno a partire dal 2014. Inoltre, è stato stimato anche l’ effetto economico che l’aumento dell’Iva produrrà l’anno prossimo sui bilanci delle famiglie italiane.

“In attesa di poter analizzare il testo ufficiale della legge di Stabilitàesordisce il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussici siamo avvalsi delle indiscrezioni apparse in questi giorni sulla stampa specializzata. Se le note in circolazione saranno confermate, coloro che non possono godere delle detrazioni Irpef da lavoro dipendente, come i pensionati o i lavoratori dipendenti con un reddito superiore ai 55.000 euro, subiranno, rispetto al 2013, un aumento del prelievo fiscale. Infatti, dovranno farsi carico sia dell’aggravio Iva sia della reintroduzione della nuova tassa sulle abitazioni principali che quest’anno non hanno pagato. Le famiglie con redditi attorno ai 20-22.000 euro circa, invece, godranno di un saldo positivo: la dimensione del taglio dell’Irpef, infatti, sarà maggiore dell’aumento dell’Iva e dell’importo da versare con la Tasi”.

Visto che i Sindaci potranno applicare la Tasi con un’aliquota oscillante tra lo zero e il 2,5 per mille, abbiamo ipotizzato due opzioni: aliquota all’1 per mille e aliquota al 2,5 per mille. A nostro avviso, la prima ipotesi dovrebbe essere quella più plausibile. Si tratta ovviamente di simulazioni basate su ipotesi di tassazione che, per quanto riguarda le detrazioni Irpef e la Tasi, non sono ancora state definite ufficialmente: pertanto, questi risultati vanno valutati con prudenza.

IL CANCRO DEI SOLDI


Lo scandalo delle multinazionali produttrici di chemioterapici è ormai scoppiato grazie anche a medici coraggiosi e a stampa non addomesticata, in testa l’inchiesta di Jon La Pook della CBS News. Sarebbero moltissime le aziende che per ragioni di affari avrebbero smesso di produrre farmaci antitumorali di lungo corso, economici ed efficaci per lanciare prodotti di punta che sono invece costosissimi.

La denuncia arriva in Italia anche dallo Sportello dei Diritti che documenta la mancanza anche nel nostro Paese di farmaci considerati efficaci per diverse tipologie di tumore. Sono diventati difficili da trovare medicinali come la carmustina, utile nei trapianti di midollo, il 5- fluoro uracile per i tumori dell’apparato gastrointestinale e poi ancora la bleomicinasata per i tumori del testicolo e linfomi e la doxorubicina liposomiale utilizzata nel cancro dell’ovaio e nel mieloma.

Se è vero soprattutto nella ricerca medica che la sperimentazione e la ricerca debbano andare avanti alla ricerca di farmaci sempre più mirati e con meno effetti collaterali, è vero altrettanto che le cure sperimentali non possono diventare di colpo l’unica prescrizione possibile per i pazienti, soprattutto se questo implica che i colossi produttori guadagnino enormemente dalla manovra.

Stando così le cose infatti, il confine tra deontologia e affari salta del tutto a scapito dei soli ammalati. Un po’ come è già accaduto sull’interferone e su alcuni suoi dosaggi ormai commercializzati solo oltre confine, perché riservati a una quota troppo ristretta di popolazione. E’ per questo che sono molti gli oncologici e le associazioni che si sono mobilitati per chiedere un intervento del Ministero della Salute e dell’AIFA.

C’è chi propone addirittura l’interruzione di produzione dei nuovi farmaci biologici per fare spazio a quelli “tradizionali”. Si tratterebbe forse, in questo caso, di una misura eccessiva, con il rischio di ostacolare le novità farmacologiche che pure è giusto lanciare e sondare. La stranezza è che per le multinazionali del farmaco possano valere delle logiche di ricambio della linea di prodotto al pari, se non peggio, di chi produce cellulari o televisioni come se gli utenti finali non fossero dei pazienti da curare ma persone che consumano.

La logica del business di chi produce cure può non essere quella di una fondazione
caritatevole, ma l’affare non può essere a scapito del valore morale che è intrinseco al fatto che il prodotto finale rappresenta una cura per vivere. E lo scandalo della speculazione è quindi doppiamente grave.

La bandiera delle novità di cure è una facciata ipocrita al business, tant’è che non vale più tanto quando presunte cure efficaci e nuove non vengono dai laboratori occidentali e non fanno guadagnare i soliti colossi. Non c’è bisogno di scomodare l’Escoazul cubano, ma basta arrivare in Germania e Svizzera dove da tempo ai pazienti ammalati di cancro vengono proposte cure parallele di tipo fitoterapico complesso che in Italia non solo sono impossibili da reperire, ma vengono accompagnate da una pessima pubblicità. La novità di cura quindi vale la pena, a quanto pare, solo  quando promette picchi di profitto, ancor più promettenti se estesi a larga scala.

Non importa se intanto i vecchi farmaci, ormai quasi irreperibili, fossero ancora in grado di curare tante neoplasie con successo e a costi bassi per i governi. Le multinazionali del farmaco non accettano rischi di investimento e sulla malattia del secolo tentano la scalata numero uno. Quindi vogliono il business senza rischi e pretendono di farlo sulla vita e la morte di tante persone, visto che il cancro è tutto tranne che una malattia rara. Cosi come è stato per l’HIV del resto, salvo poi prendere una sonora bocciatura dagli indiani e dalla loro farmacia sostenibile per il Sud del mondo.

La parola spetta alla politica e ai governi. Per ricordare che il guadagno sui farmaci ha dei limiti etici invalicabili. Gli stessi che, trasgrediti, hanno fatto nascere migliaia di bambini focomelici con il Talidomide. Gli stessi che ci danno il legittimo sospetto di pensare che tra la ricerca e le aziende del farmaco ci sia più che un’alleanza, una gerarchia di comando. Che diventa pericolosa e fatale per la libertà dove le Istituzioni non ricordino con sufficiente chiarezza che in un sistema di civiltà la salute non è - e non potrà essere mai - una voce di bilancio. 
di Silvia Mari

NSA, le mani sugli account

Una nuova serie di documenti riservati dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana (NSA) pubblicati martedì dalWashington Post hanno rivelato un’ulteriore attività dell’ente governativo con sede a Fort Meade, nel Maryland, che conferma l’avanzato stato di degrado dei diritti democratici negli Stati Uniti. La più recente rivelazione apparsa grazie all’ex contractor della stessa NSA, Edward Snowden, riguarda questa volta la raccolta massiccia e indiscriminata delle liste dei contatti e-mail contenuti negli account personali di posta elettronica e in quelli di messaggistica istantanea di utenti in tutto il mondo, Stati Uniti compresi.

Questa operazione non è mai stata resa nota in precedenza e i documenti forniti da Snowden indicano come l’NSA sia in grado di appropriarsi illegalmente di dati riservati intercettandoli nel momento in cui essi “si muovono attraverso collegamenti globali”, ad esempio quando un utente effettua un log-in, compone un messaggio oppure “sincronizza un computer o un telefono cellulare con le informazioni archiviate su server remoti”.

Come accade regolarmente con gli altri programmi di intercettazione di dati telefonici e traffico internet, anche in questo caso l’NSA non procede con la raccolta mirata di informazioni in caso di utenti sospetti, ma entra in possesso delle liste di contatti in maniera indiscriminata.

La quantità dei dati così ottenuti è perciò impressionante. La sezione dell’NSA denominata Special Source Operations in un singolo giorno ha messo le mani su 444.743 indirizzi e-mail provenenti da account Yahoo, 105.068 da Hotmail, 82.857 da Facebook, 33.697 da Gmail e quasi 23 mila da altri provider. Numeri simili indicano come l’NSA entri in possesso mediamente in un anno di oltre 250 milioni di indirizzi di posta elettronica contenuti nelle liste degli utenti di tutto il mondo.

Secondo quanto riportato dal Washington Post, il metodo con cui l’NSA raccoglie questi dati
rende superflua qualsiasi notifica alle compagnie informatiche che li ospitano. Portavoce di Google, Microsoft e Facebook si sono infatti affrettati a dichiarare la loro estraneità al più recente programma di intercettazione di dati riservati rivelato da Snowden.

Tuttavia, come spiega ugualmente il quotidiano della capitale americana, la capacità dell’NSA di avere accesso alle liste di contatti “dipende da accordi segreti con compagnie di telecomunicazioni straniere o servizi di intelligence di paesi alleati” degli Stati Uniti.

Teoricamente, l’NSA avrebbe facoltà di raccogliere informazioni solo su cittadini stranieri, ma nella rete dell’agenzia cadono anche in questo caso numerosi contatti conservati nelle liste di utenti americani. Questo genere di dati, d’altra parte, offre preziose informazioni per l’intelligence d’oltreoceano, visto che gli elenchi dei contatti contengono spesso non solo nomi e indirizzi e-mail ma anche numeri di telefono, indirizzi postali e altro ancora.

Assieme ai dati telefonici e a quelli sul comportamento degli utenti su internet, questi ultimi permettono così agli agenti dell’NSA di delineare una mappa esaustiva della vita delle persone intercettate, comprese le loro frequentazioni e le opinioni politiche.

Questo sistema di controllo pervasivo smentisce dunque in maniera clamorosa le ripetute rassicurazioni da parte del governo americano circa le intenzioni dell’NSA, la quale opererebbe in questo modo solo per trovare informazioni legate ad attività terroristiche, mentre non ci sarebbe alcun interesse per le informazioni personali dei cittadini.

Le stesse debolissime regole create appositamente per dare una parvenza di legalità a sistemi da stato di polizia vengono inoltre puntualmente aggirate dall’NSA, dal momento che per ammissione dei vertici dell’intelligence questa agenzia non ha alcuna autorizzazione formale per raccogliere in massa liste di e-mail, così come altri dati informatici o telefonici, di cittadini americani.

L’NSA, tuttavia, ottiene le informazioni in questione da “punti di accesso in tutto il mondo”, da cui transitano appunto anche i dati degli americani, visto che compagnie come Google o Facebook utilizzano impianti situati fisicamente in svariati paesi esteri.

Queste ultime rivelazioni contribuiscono dunque a mostrare la totale assenza di scrupoli democratici del governo americano nelle proprie attività di controllo del dissenso interno e delle minacce agli interessi della propria classe dirigente in ogni angolo del pianeta.

La conoscenza da parte dell’opinione pubblica di simili operazioni non dipende, come è ovvio, dalla trasparenza del governo di Washington, bensì dal coraggio di persone come Snowden, le quali, per le loro azioni che forniscono un servizio di grandissimo valore vengono spesso perseguiti in maniera feroce.



A mettere in luce i metodi punitivi adottati dall'amministrazione Obama contro i propri critici e i cosiddetti “whistleblowers”, cioè coloro che dall'interno del governo rivelano abusi e crimini a cui hanno assistito in prima persona, è stata una recente indagine del Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), un’organizzazione che promuove la libertà di stampa con sede a New York.

Secondo l’autore del rapporto, il docente di giornalismo presso l’università statale dell’Arizona Leonard Downie, “la guerra lanciata dall’amministrazione Obama contro le fughe di notizie e i suoi sforzi per controllare l’informazione non hanno precedenti per aggressività”.

Dalle testimonianze raccolte dal CPJ sulla questione, appaiono evidenti, tra l’altro, i tentativi di impedire l’accesso da parte dei giornalisti alle fonti interne al governo, le intimidazioni contro le testate e i singoli reporter e il controllo del flusso di informazioni alla stampa a seconda dei propri interessi.

Il quadro che emerge appare più consono ad una dittatura che ad un paese democratico e questo scenario risulta ancora più allarmante alla luce della promessa di assoluta trasparenza fatta nel 2008 in campagna elettorale da Barack Obama dopo l’eccessiva segretezza dell’amministrazione Bush.

Appena installato alla Casa Bianca, infatti, lo stesso Obama si è rapidamente adeguato ai sistemi ormai consolidati dell’apparato della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, adottando addirittura misure ben più severe del suo predecessore, in linea con le crescenti necessità di controllo delle informazioni di un regime sempre più screditato e impopolare.

di Michele Paris