martedì 31 maggio 2011

DRAGHI: "CRESCERE, TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA"

«La crescita di un'economia non scaturisce solo da fattori economici. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Gli stessi fattori determinano il progresso di un Paese».  lo ha detto Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia nel suo utlimo discorso - molto atteso - da presidente. Da novembre andrà a dirigere la Banca centrale europea, posto chiave e sicuramente un bel colpo - non solo di immagine - per l'Italia. Ma anche, ovviamente, un posto ben più influente dal punto di vista delle politiche economiche internazionali, proprio mentre il nostro paese rischia di essere "declassato" e travolto dalla crisi.   

Declino non ineluttabile: Le considerazioni finali del governatore riprendono il punto un po' da dove era partito, con il suo discorso nel 2006: l'Italia ha le carte in regola per "tornare a crescere". Chiaro che la ricetta del governatore è quella: crescere, crescere, crescere. "E'stata sempre la mia priorità in politica economica", ha spiegato. «Dall'avvio della ripresa, nell'estate di due anni fa, l'economia italiana ha recuperato soltanto 2 dei 7 punti percentuali di prodotto persi nella crisi. Nel primo trimestre di quest'anno il ritmo di espansione è stato appena positivo», ha spiegato Draghi all'Assemblea generale. «Nel corso dei passati dieci anni il prodotto interno lordo è aumentato in Italia meno del 3 per cento; del 12 in Francia, paese europeo a noi simile per popolazione. Il divario riflette integralmente - sottolinea Draghi- quello della produttività oraria: ferma da noi, salita del 9 per cento in Francia. Il deludente risultato italiano è uniforme sul territorio, da Nord a Sud». «Se la produttività ristagna, la nostra economia non può crescere», insiste il Governatore. «Il sistema produttivo- prosegue- perde competitività. Si aprono disavanzi crescenti nella bilancia dei pagamenti correnti. Si inaridisce l'afflusso di investimenti diretti: nel decennio sono entrati in Italia capitali per investimenti diretti pari all'11 per cento del Pil, contro il 27 in Francia». Sulle cause di questa bassa produttività, ricorda Draghi, si è focalizzata molta parte delle ricerca di Bankitalia in questi anni. E il quadro che emerge è chiaro. Ne ho dato conto più volte, in primo luogo in questa sede. Le nostre analisi chiamano in causa- spiega- la struttura produttiva italiana, più frammentata e statica di altre, e politiche pubbliche che non incoraggiano, spesso ostacolano, l'evoluzione di quella struttura« .

Imprese più grandi: Secondo il governatore sono sostanzialmente due i "cardini" su cui operare in termini di politiche nazionali epr far ripartire il mercato: creare un sistema produttivo che "non sia più basato soltanto su piccole o piccolissime imprese a conduzione famigliare", poiché "esse sono più chiuse all'innovazione tecnologica e alla capacità di gestire un contesto di globalizzazione" come anche di "aggredire nuovi mercati". La flessibilità tipica delle piccole imprese, che in passato ha sostenuto la nostra competitività, «oggi non basta più». . «Una diffusa proprietà familiare - osserva - non è caratteristica solo italiana: lo è invece il fatto che anche la gestione rimanga nel chiuso della famiglia proprietaria».   

Riequilibrio della flessibilità: Il governatore è tornato a parlare di precarietà, tema che infiamma il dibattito pubblico anche se non in modo abbastanza convinto le piazze. Che la precarietà strozzi i giovani, ormai è un dato assodato. ma secondo Draghi il problema è che la flessibilità si abbatte soltanto sulle fasce giovanili "nel primo ingresso al lavoro", creando così un "dualismo" con chi è più garantito - e che in genere appartiene alle fasce più anziane. In questo scenario, per Draghi, «riequilibrare la flessibilità del mercato del lavoro, oggi quasi tutta concentrata nelle modalità d'ingresso, migliorerebbe le aspirazioni di vita dei giovani; spronerebbe le unità produttive a investire di più nella formazione delle risorse umane, a inserirle nei processi produttivi, a dare loro prospettive di carriera». Draghi si concentra poi sul fronte delle relazioni industriali, quale strumento uno strumento per «favorire l'ammodernamento e la competitività del sistema produttivo, nell'interesse di tutte le parti». «Sono stati compiuti passi per rafforzare il ruolo della contrattazione aziendale, ma la prevalenza di quella nazionale, l'assenza di regole certe nella rappresentanza sindacale ancora limitano - sottolinea Draghi- la possibilità per i lavoratori di assumere impegni nei confronti dell'azienda di appartenenza; ne attenuano la capacità di influire sulle loro stesse prospettive di reddito e di occupazione».        

Riduzione delle tasse: Altro rimedio "old style", anche se certamente un punto che non si può far finta di non vedere (l'Italia è uno dei paesi europei con le tasse più alte) è la riduzione della tassazione "per le imprese e per il lavoro", ha detto Draghi. «Oggi bisogna in primo luogo ricondurre il bilancio pubblico a elemento di stabilità e di propulsione della crescita economica - dice nel suo intervento - portandolo senza indugi al pareggio». Bisogna allora procedere sia «a una ricomposizione della spesa a vantaggio della crescita», sia ridurre «l'onere fiscale che grava sui tanti lavoratori e imprenditori onesti».Soldi che andrebbero recuperati combattendo l'evasione fiscale.

Tagli tagli tagli: Il quasi-governatore della Bce porta in valigia un bel paio di forbici. Affidabile sul piano internazionale e apprezzato da tutti anche perché non scorda di sottolineare che "non ci sono scorciatoie" e i "debiti sovrani andranno ripianati", chi accede ad aiutoi lo dovrà fare "secondo regole stringenti". Niente sconti, d'altronde "obiettivo primario" della Bce è "la stabilizzazione monetaria", messa a rischio da un "rischio dic rescita dell'inflazione" e ovviamente da "la crisi del debito sovrano di tre paesi - che rappresentano insieme il 6% del Pil dell'area - ha il potenziale per esercitare rilevanti effetti sistemici". Dunque, per quanto riguarda l'Italia, paese a rischio come già detto, la ricetta di Draghi è: taglia lla spesa. Da questo putno di vista ha mostrato di apprezzare la decisione di anticipare la manovra correttiva a giungo: " Il deficit, quest'anno vicino al 4%, è migliore della media dei Paesi dell'euro, ma il debito pubblico viaggia vicino al 120%. Così - dice Draghi - «appropriati sono l'obiettivo di pareggio del bilancio nel 2014 e l'intenzione di anticipare a giugno la definizione della manovra correttiva per il 2013-14». La manovra dovrà essere «tempestiva, strutturale, credibile agli occhi degli investitori internazionale, orientata alla crescita», perchè così consentirebbe un calo dei tassi sul debito pubblico. Draghi traccia anche il sentiero. Non si possono ridurre gli investimento o aumentare le entrate. Va ridotta allora la spesa che serve alla gestione pubblica «di oltre il 5 per cento in termini reali nel triennio 2012-14, tornando, in rapporto al Pil, sul livello dell'inizio dello scorso decennio». Attenzione però: «non è consigliabile procedere a tagli uniformi in tutte le voci» perchè penalizzerebbe le amministrazioni virtuose e «inciderebbe sulla già debole ripresa dell'economia, fino a sottrarle circa due punti di Pil in 3 anni». Serve invece «un'accorta articolazione della manovra, basata su un esame di fondo del bilancio degli enti pubblici, voce per voce, commisurando gli stanziamenti agli obiettivi di oggi, indipendentemente dalla spesa del passato». È quello che i tecnici chiamano spending rewiev.

Servizi pubblici, no a privatizzazione: Quanto meno la crisi e il generalizzato ristagno dei salari hanno fatto capire che non ha senso andare anche verso la privatizzazione selvaggia dei servizi pubblici, ma la porta è aperta alla "concorrenza regolata". «La concorrenza, radicata in molta parte dell'industria, stenta a propagarsi al settore dei servizi, specialmente quelli di pubblica utilità», è il richiamo che giunge dal Governatore edi Bankitalia. «Non si auspicano- tiene a sottolineare- privatizzazioni senza controllo, ma un sistema di concorrenza regolata, in cui il cliente, il cittadino sia più protetto». «La sfida della crescita- dice Draghi- non può essere affrontata solo dalle imprese e dai lavoratori direttamente esposti alla competizione internazionale, mentre rendite e vantaggi monopolistici in altri settori deprimono l'occupazione e minano la competitività complessiva del Paese».

Il ruolo delle donne: Siccome è un bravo economista, Mario Draghi non manca certo di dedicare spazio anche ai fattori "collaterali", ma in realtà essenziali, che fanno la cultura dell'impresa e del lavoro di un apese. Si va dalla credibilità delle istituzioni, all'efficienza della giustizia. Ma è inevitabile - soprattutto dopo gli socnfortanti dati dell'Istat diffusi pochi giorni fa - puntare la lente sullo scarso coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro. Più e meglio preparate, le donne trovano più difficilmente lavoro e guadagnano di meno. È quanto sottolinea il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nelle sue Considerazioni finali all'Assemblea generale, spiegando che la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un «fattore cruciale di debolezza del sistema». «Oggi il 60% dei laureati è formato da giovani donne - ricorda Draghi - conseguono il titolo in minor tempo dei loro colleghi maschi, con risultati in media migliori, sempre meno nelle tradizionali discipline umanistiche. Eppure - aggiunge - in Italia l'occupazione femminile è ferma al 46%, venti punti in meno di quella maschile, è più bassa che in quasi tutti i Paesi europei soprattutto nelle posizioni più elevate e per le donne con figli; e le retribuzioni sono, a parità di istruzione ed esperienza, inferiori del 10% a quella maschili». 


Nessun commento:

Posta un commento