Tutti in costume davanti al ministero dei Beni culturali per dire no alla privatizzazione del demanio. Galan batta un colpo, spetta al Ministero dei Beni Culturali tutelare le coste italiane.
Volontari in costume nel centro di Roma per protestare contro la privatizzazione delle spiagge che si profila con l'attuazione del decreto legge Sviluppo, che all'art. 3 prevede il "diritto di superficie" sull'area demaniale, di fatto una svendita delle spiagge ai privati per 20 anni. Questa mattina Legambiente è scesa in piazza, davanti alla sede del ministero per i Beni e le attività culturali con tanto di teli da mare, cappellini e creme solari, palette, secchielli e picnic per dire no a nuove costruzioni in riva al mare e alla legalizzazione degli abusi già presenti sulle coste.
Se il decreto fosse, infatti, convertito in legge tale e quale, le spiagge verrebbero date in concessione per un tempo lunghissimo, senza gara e senza alcun controllo e, attraverso il diritto di superficie, si potrebbero aggirare le normative di tutela legalizzando persino costruzioni abusive e aprendo le porte a nuove edificazioni nella fascia dei 300 metri dalla battigia. Tutto sarebbe gestito dall'Agenzia del Demanio, che si spartirebbe gli introiti con Regione e Comuni interessati, senza che i ministeri dei Beni culturali e dell'Ambiente vengano in alcun modo coinvolti nelle autorizzazioni.
Ecco perché Legambiente è tornata a sollecitare l'attenzione del ministro dei Beni culturali Giancarlo Galan e a chiedergli di prendere posizione in difesa delle coste e del paesaggio.
"Mare e paesaggio sono beni comuni - ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente Sebastiano Venneri - e come tali vanno tutelati. Il Ministero dei beni culturali è responsabile, come stabilisce la Legge Galasso e in attuazione dell'articolo 9 della costituzione che tutela il paesaggio, di vigilare e salvaguardare quanto succede nei 300 metri dal mare. Perché allora è escluso dalla procedura con cui si dovrebbe assegnare il diritto di superficie? Perche Galan e il ministro dell'Ambiente Prestigiacomo non si occupano di tutelare le coste italiane dal cemento e garantire ai cittadini il libero accesso e la fruizione delle spiagge?".
Inoltre, rispetto alla riduzione dei tempi di concessione, dai 90 anni della prima stesura del decreto agli attuali 20 anni, nulla cambia in concreto, perché permangono tutti i rischi legati all'esercizio del diritto di superficie da parte dei gestori, che equivale sostanzialmente a una privatizzazione del demanio, tanto che la lobby dei balneari chiede di portare addirittura a 50 anni il tempo di durata. "E' ora che la parte sana degli imprenditori balneari dia voce ai tanti malumori che serpeggiano nella categoria e dica esplicitamente che questo provvedimento deve essere ritirato per evitare il rischio di essere fagocitati dai grandi gruppi imprenditoriali e immobiliari. Il diritto di superficie servirà solo agli speculatori edilizi e metterà in crisi le aziende a conduzione familiare che rappresentano la stragrande maggioranza degli stabilimenti balneari del nostro Paese".
Le foto del blitz su
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