I tumori faringo-laringei rappresentano il 10% circa di tutte le neoplasie maligne negli uomini e il 4% nelle donne. Solo in Italia ogni anno si contano circa 5.000 nuovi casi di carcinoma laringeo tra gli uomini e 500 tra le donne. E purtroppo, nonostante gli sforzi della ricerca, la soluzione definitiva non è stata ancora trovata. In Europa però la mortalità è in calo, mentre le cifre che arrivano dagli Stati Uniti sono in assoluta controtendenza. Un controsenso che ha una spiegazione per alcuni tratti molto semplice, ma che la dice lunga sull’importanza di giungere alla formulazione di linee guida universali: la diversità di trattamento, uno degli argomenti caldi trattati nel corso del 98^ congresso nazionale Sio, Società italiana di otorinolaringologia e chirurgia cervico-facciale, a Udine fino a sabato.
"Negli Stati Uniti- spiega il professor Giuseppe Rizzotto, direttore del dipartimento di ORL dell’Ospedale Civile di Vittorio Veneto- da qualche anno a questa parte nel trattamento di questo tipo di cancro si privilegia l’utilizzo di chemioteria e radioterapia. E mentre per quanto riguarda i tumori in generale abbiamo una casistica in miglioramento sostanziale in quasi tutti i campi, con statistiche di sopravvivenza in continuo aumento, ci troviamo invece a dover affrontare questa discrasia: di carcinoma laringeo si muore tanto e, soprattutto, nel 2010 si muore più che nel 2000".
I tumori della laringe originano, nella maggior parte dei casi, dalla mucosa (epitelio) che riveste l’interno del canale: il più comune è il carcinoma a cellule squamose.
I principali fattori di rischio sono il fumo di sigaretta, il consumo di alcol, il 90 per cento circa dei pazienti con queste neoplasie fuma e beve. Proprio per questo il tumore della laringe è più frequente in Veneto e in Friuli Venezia Giulia (18 casi l’anno ogni 100 mila abitanti), rispetto a Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana (10 casi l’anno ogni 100 mila abitanti) e al Meridione (7,3 casi l’anno ogni 100 mila abitanti).
Nel vecchio continente prevale ancora l’approccio chirurgico, certamente più invasivo, ma con percentuali di risoluzione assolutamente migliori rispetto all’approccio americano. "Bisogna riflettere su questo tipo di dati- continua Rizzotto- è ormai acclarato che in questo momento, la terapia d’elezione è assolutamente quella chirurgica, che risolve (anche se non in maniera definitiva) il 90% dei casi. Ciò non toglie che il futuro sia rivolto evidentemente a cure meno invasive. Ma pare ormai chiaro che la ricerca nel campo della chemio e della radioterapia non abbia ancora prodotto risultati soddisfacenti, risultando inefficace. Possiamo ben dire che l’Europa, con un sapiente uso della chirurgia conservativa, è in questo campo ancora un passo avanti".
Fonte: Agenzia Dire www.dire.it
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