di
Francesca Del Giudice *
La
cittadinanza italiana si basa sul principio dello "ius
sanguinis" (diritto di sangue), secondo il quale il figlio nato
da padre italiano o da madre italiana è italiano.
Tuttavia, anche lo straniero, in possesso di determinati requisiti, può acquistare la cittadinanza italiana. La materia è attualmente regolata dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992, come modificata dalla legge 94 del 2009, e successivi regolamenti. In base a questi è possibile individuare due tipologie di concessione:
Tuttavia, anche lo straniero, in possesso di determinati requisiti, può acquistare la cittadinanza italiana. La materia è attualmente regolata dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992, come modificata dalla legge 94 del 2009, e successivi regolamenti. In base a questi è possibile individuare due tipologie di concessione:
- concessione
per matrimonio (art. 5 L. 91 del 5 febbraio 1992);
- concessione
per residenza (art. 9 L. 91 del 5 febbraio 1992).
L'acquisto
della cittadinanza per matrimonio non comporta per la Pubblica
Amministrazione l'esercizio di un potere discrezionale. In questo
caso, l'acquisto della cittadinanza, si configura come diritto
soggettivo, condizionato unicamente alla eventuale esistenza di
circostanze che comportano un pericolo per la sicurezza dello Stato
o per l'ordine pubblico, ad esempio la condanna per gravi delitti o
segnalazioni che attengono alla sicurezza dello Stato.
Diversamente, l'acquisto della cittadinanza per residenza non è
un diritto ma una concessione in senso proprio: il possesso dei
requisiti prescritti dall'articolo 9 è un presupposto, sì
necessario, ma non sufficiente per l’emanazione del provvedimento
(cfr. Cons. di Stato parere n. 2487/1992 del 30.11.1992). Detta
concessione infatti, non è determinata da una valutazione
dell'interesse dello straniero, bensì dalla valutazione
dell'interesse per lo Stato e per la Comunità nazionale ad
accogliere il nuovo cittadino richiedente. L'amministrazione,
pertanto, ha potere pienamente discrezionale.
Secondo l'art. 9 della L. 91 del 5 febbraio 1992, ai fini dell'istanza, il cittadino straniero deve possedere i seguenti requisiti:
- nato in Italia e ivi residente legalmente da almeno 3 anni (art. 9, c. 1, lett. A);
- figlio o nipote in linea retta di cittadini italiani per nascita, e risiedere legalmente in Italia da almeno 3 anni (art. 9, c. 1, lett. A);
- maggiorenne, adottato da cittadino italiano, e risiedi legalmente in Italia da almeno 5 anni, successivi all'adozione (art. 9, c. 1, lett. B);
- aver prestato servizio, anche all'estero, per almeno 5 anni alle dipendenze dello Stato Italiano (nel caso di servizio all'estero, non occorre stabilire la residenza in Italia e può essere presentata domanda alla competente autorità consolare) (art. 9, c. 1, lett. C);
- cittadino U.E. e risiedere legalmente in Italia da almeno 4 anni (art. 9, c. 1, lett. D);
- apolide o rifugiato e risiedere legalmente in Italia da almeno 5 anni (art. 9, c. 1, lett. E);
- cittadino straniero e risiedere legalmente in Italia da almeno 10 anni (art. 9, c. 1, lett. F).
Quale ulteriore requisito di carattere generale è avere una disponibilità di redditi, prodotti sul territorio nazionale, il cui ammontare non sia inferiore a quelli stabiliti dalla Decreto Legge 382/1989, convertito in Legge 8/1990, come confermati dall'art. 2 della legge 549/1995.
Nel caso in cui il richiedente non possegga redditi propri dovranno essere documentati i redditi degli altri componenti il nucleo familiare. Al momento dell'adozione del decreto di concessione della cittadinanza deve risultare la continuità della residenza sul territorio italiano e il permanere della capacità reddituale nella misura minima di cui in premessa.
Ricevuti i documenti attestanti i requisiti di cui sopra, la Prefettura dispone di un termine di 730 gg. dalla data di presentazione della domanda, se questa è stata presentata con la documentazione regolare e completa, entro il quale deve emanare il proprio parere, positivo o negativo, in ordine all'istanza formulata dallo straniero. Il carattere negativo del parere determina il diniego della cittadinanza. Dunque, la Prefettura è l'Amministrazione titolare del potere discrezionale sulla concessione.
Secondo la prevalente interpretazione, non si tratta di discrezionalità tecnica bensì amministrativa, riferita a parametri non specificamente identificati dalla legge e spesso vaghi(Cons. Stato Sez. I, n. 149 del 16 febbraio 2005). L'Amministrazione, infatti, può negare la cittadinanza perché lo straniero non possiede adeguate fonti di sussistenza, per difetto di integrazione, perché non si riscontra un'autenticità dell'aspirazione a divenire cittadino italiano, o addirittura di un non meglio precisato interesse della collettività o interesse pubblico generale1.
Il carattere discrezionale della statuizione dell'Amministrazione, oltre ad essere esplicito nella lettera della legge (l’art. 9 della legge afferma che la cittadinanza italiana “può essere concessa” allo straniero residente legalmente nel nostro territorio per un periodo variabile in relazione alle qualità o status posseduti), è stato ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio Stato, sez. IV, 07 maggio 1999 n. 798; Cons. St., VI, 1 ottobre 2008, n. 4748; Consiglio Stato , sez. IV, 16 settembre 1999, n. 1474; Cons. St., Sez. III, 22 novembre 2011, n. 6143 ).
L'esercizio del potere discrezionale tende a valutare l'avvenuta integrazione dello straniero. Gli elementi oggetto della - valutazione discrezionale della Prefettura non sono definiti dalla legge, tuttavia la giurisprudenza ha individuato alcuni indici dell'avvenuta integrazione:
- considerazioni anche di carattere economico-patrimoniale relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 16-09-1999, n. 1474);
- la serietà sia dell’intento ad ottenere la cittadinanza italiana e le ragioni che inducono ad abbandonare la comunità di origine. È inoltre necessario accertare il grado di conoscenza della lingua italiana, l’idoneità professionale, l’ottemperanza agli obblighi tributari e contributivi. Non può essere trascurata l’esigenza di ricomposizione di gruppi familiari, parte dei quali già residenti nel territorio italiano. L’amministrazione deve verificare eventuali cause ostative all'acquisto di cittadinanza, collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica ed all’ordine pubblico (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1423 del 26 ottobre 1988);
- l’amministrazione, ai fini della concessione della cittadinanza italiana allo straniero legalmente residente in Italia da almeno dieci anni, può prendere in considerazione tutte le situazioni utili per valutare un’avvenuta integrazione dello straniero; pertanto, sono rilevanti eventuali sentenze penali intervenute a carico degli interessati, in relazione ai fatti a cui tali condanne si riferiscono sia al loro eventuale ripetersi (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 9374, del 20 ottobre 2004,).
Per comprendere l'ampiezza di tale discrezionalità si pensi che il diniego può essere determinato oltre che dai motivi inerenti la sicurezza della Repubblica anche da mancanza del periodo di residenza legale, insufficienza dei redditi del nucleo familiare, presenza di precedenti penali, insufficiente livello di integrazione e scarsa conoscenza della lingua italiana. In particolare, estremamente aleatorio risulta essere il giudizio sul livello di integrazione. Sebbene in Italia, dal 1992, non sia più prevista la presenza di un test atto a stabilire il livello d'integrazione dell'immigrato, solitamente la polizia propone alcune domande al candidato e sulla base delle risposte decide.
L’ampia discrezionalità riconosciuta all'Amministrazione, tuttavia, non può tramutarsi in mero arbitrio. Sulla questione dei limiti alla discrezionalità il primo argomento riguarda l'obbligo di motivazione in caso di diniego, il Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 366 del 24 maggio 1995. Per il Consiglio di Stato l’amministrazione competente, anche laddove disponga di un’ampia discrezionalità, deve indicare sia pure sinteticamente le ragioni poste a base delle proprie determinazioni.
Più recentemente, il Consiglio di Stato - VI Sezione – sentenza n. 1788 del 25 marzo 2009, ha indicato alcuni parametri in ordine all'esercizio del potere discrezionale. Il collegio, riconosce l’amplissima discrezionalità concessa all'Amministrazione a fronte dell’istanza volta alla concessione della cittadinanza, potendo valutare con rilevanti margini di apprezzamento la sussistenza di uno specifico interesse pubblico al rilascio della concessione.
Tuttavia, ritiene, che le valutazioni poste in essere dall’Amministrazione dell’Interno in relazione alla sussistenza di uno status illesae dignitatis (morale e civile) in capo al richiedente, possono essere censurate in sede giurisdizionale solo se affette da profili di palese irragionevolezza o di evidente abnormità.
Successivamente il Consiglio di Stato – Sezione III – del 5 giugno 2012, n. 3306, ha ribadito l'obbligo di motivazione del diniego e la sua sindacabilità con riferimento ai vizi della violazione di legge o dell’eccesso di potere, quanto meno con riferimento alle figure sintomatiche di maggior rilevanza quali l’errore sui fatti o la manifesta incongruità o illogicità. In particolare, la citata sentenza, ha formulato dei criteri di valutazione della discrezionalità in merito al possesso da parte dello straniero dei requisiti reddituali. Nel caso di specie si ritiene che ai fini della valutazione del requisito reddituale non si possa tenere conto esclusivamente del reddito personale in senso stretto e non anche delle condizioni economiche della famiglia nel suo complesso. Secondo il Consiglio di Stato, infatti resta nella discrezionalità dell’amministrazione valutare se, in concreto, le condizioni della famiglia siano tali da far ritenere che l’interessato goda non solo nell’attualità, ma anche come ragionevole previsione per il futuro, di un sostegno economico adeguato. L’amministrazione potrà dunque valutare discrezionalmente se il reddito familiare sia quantitativamente sufficiente, prevedibilmente stabile, di provenienza lecita, regolarmente dichiarato ai fini fiscali, etc.
Sul criterio dell'integrazione il Consiglio di Stato è intervenuto con la sentenza 14.01.2011 n° 1037, sez. VI, secondo la quale “Fermo restando che ai sensi dell’art. 9 legge n. 91 del 1992 il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana è adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali circa l'esistenza di un' avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale, va tuttavia sottolineato che il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere, avendo natura estrinseca e formale, ben può e deve verificare la ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, oltre alla veridicità dei fatti posti a fondamento della determinazione amministrativa e alla sussistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.”
Dunque alla base della discrezionalità dell'amministrazione è necessario non solo che la motivazione alla base della scelta appaia logica, coerente e ragionevole ma è altresì necessaria una approfondita istruttoria.
Altro elemento rilevante ai fini della determinazione dell'integrazione dello straniero in Italia riguarda l'esistenza di procedimenti penali a carico del richiedente. Sebbene l'articolo 9 L. 91/1992 non preveda la necessità per l'istante di produrre anche il casellario giudiziale, l'amministrazione nella sua discrezionalità può consultare la relativa documentazione in suo possesso. In questo caso la valutazione dell'Amministrazione è scevra di parametri rigidi, e ciò nel corso degli ultimi anni ha portato in giurisprudenza ad interpretazioni contrastanti. Da un lato, infatti, si è sostenuto che il casellario giudiziale di cui è in possesso l'amministrazione non è quello valido tra privati, e che nonostante il richiedente sia in possesso di un casellario giudiziale rilevante apparentemente “pulito”, (perché sono intervenute cause che hanno estinto il reato, ad esempio è stata rimessa querela, è intervenuta riabilitazione o la prescrizione), la documentazione in possesso dell'Amministrazione continua a contenere menzione del passato penalmente rilevante dell'istante. Dall'altro, la sentenza del Tar Lazio, n. 5665 del 19 giugno 2012, permette di argomentare a contrario che l'avvenuta estinzione del reato o la riabilitazione dell'istante permetterebbe l'acquisto della cittadinanza.
* legale, collaboratrice Aduc
Fonte: http://www.aduc.it
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