sabato 14 dicembre 2013

CRONICITÀ. RAPPORTO CITTADINANZATTIVA. TRA COSTI ELEVATI E DIFFICOLTÀ IN AMBITO LAVORATIVO, CURASI È UN LUSSO

Tra costi elevati e difficoltà in ambito lavorativo, curasi non è più permesso. Presentato il XII Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva

Avere una o più patologie croniche o rare, o accudire una persona malata, è diventato oggi un “lusso” che non ci si può più permettere, perché i costi diretti ed indiretti della malattia risultano insostenibili per un numero crescente di pazienti e di famiglie. E l’estremo risultato è non solo non curarsi nella maniera adeguata, ma addirittura “nascondere” la propria patologia in alcuni contesti, fra cui quello lavorativo. 

Sul piano sociosanitario, emerge una assistenza, soprattutto a livello di accesso ai farmaci, a macchia di leopardo, con regioni più avanti e altre che stentano a assicurare anche i LEA, mentre i tagli incidono maggiormente sull’assistenza domiciliare e sulla riabilitazione.

A descrivere questa situazione è il XII Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità, dal titolo “Permesso di cura”, presentato oggi a Roma dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva. 

“Ritardare o rinunciare alle cure necessarie, perdere il posto di lavoro, confrontarsi con la crisi dei redditi familiari e con le discriminazioni regionali nell’accesso alle prestazioni socio sanitarie è ciò che vivono sulla propria pelle i cittadini grazie ad anni di politiche di disinvestimento del Welfare e di erosione dei diritti. Non possiamo accettare che per “fare cassa” si continui a smantellare il SSN o peggio ancora a svendere i diritti dei cittadini alla salute, al lavoro e all’inclusione sociale”, ad affermarlo Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile del CnAMC di Cittadinanzattiva. ”Chiediamo al Governo e al Parlamento un’azione concreta, a partire dalla Legge di Stabilità in discussione, eliminando l’insopportabile misura prevista dalla L. 214/2011 e dal nuovo regolamento ISEE secondo cui i trattamenti assistenziali come indennità di invalidità civile e di accompagnamento sono considerati “fonti di reddito” e quindi da considerare nel computo dei redditi familiari. Chiediamo inoltre al Governo e alle Regioni di avviare un confronto anche con le Associazioni di cittadini e di pazienti sia sul Patto per la Salute, sia sulla prossima Spending review, che rappresentano le vere partite per il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Non vogliamo infatti correre il rischio che queste misure possano comportare un’ulteriore compressione di tutele e di diritti.

Ricordiamo al Governo che i cittadini hanno già dato tanto e sono invece ancora in attesa di ricevere quanto è stato previsto e promesso anche da leggi. Pensiamo solo all’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza, al palo da oltre 10 anni, e che dovrebbe prevedere, tra l’altro, la revisione del Nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili e degli elenchi delle patologie croniche e rare esenti“

L’84% delle associazioni dichiara che i pazienti non riescono a conciliare l’orario di lavoro con le esigenze di cura ed assistenza, al punto che nel 63% dei casi hanno ricevuto segnalazioni di licenziamenti o mancato rinnovo del rapporto lavorativo per le persone con patologie croniche e invalidanti e nel 41% dei casi per i familiari che li assistono.  Il 60% ha riscontrato difficoltà nella concessione dei permessi retribuiti, il 45% nella concessione del congedo retribuito di due anni; il 49% evita di prendere sul lavoro permessi per cura, il 43% nasconde la propria patologia e il 40% si accontenta di eseguire un lavoro non adatto alla propria condizione lavorativa. 

L’assistenza sociosanitaria costa e non si può rischiare di perdere il posto di lavoro: il 54% ritiene troppo pesante o oneroso il carico assistenziale non garantito dal Servizio sanitario nazionale. Si spendono in media 1585 euro all’anno per tutto ciò che serve alla cosiddetta prevenzione terziaria (diete particolari, attività fisica, dispositivi e tutto ciò che è utile per evitare le complicanze), più di 1.000 euro per visite ed esami a domicilio, o ancora in media 3711 euro l’anno per adattare la propria abitazione alle esigenze di cura. Chi non può pagare, in una percentuale che arriva anche all’80% di chi è in cura, rinuncia alla riabilitazione, al monitoraggio della patologia, ad acquistare i farmaci non dispensati,  alla badante, all’acquisto di protesi e ausili non passati dal servizio sanitario nazionale.

Spese medie annuali a carico del paziente

Badante
9.082 euro
Retta strutture residenziali o semiresidenziali
7.390 euro
Adattamento della abitazione
3.711 euro
Prevenzione terziaria (diete, att.fisica)
1.585 euro
Supporto psicologico
1.247 euro
Assistenza domiciliare non coperta dal SSN
1.070 euro
Parafarmaci (creme, integr.alimentari, pomate)
901 euro
Dispositivi medici (assorbenti, cateteri, siringhe, sacche)
737 euro
Farmaci non rimborsati
650 euro
Visite ed esami in intramoenia o nel privato
Oltre 600 euro
Protesi ed ausili
537 euro
Fonte: XII Rapporto CnAMC-Cittadinanzattiva

La prevenzione, eterna cenerentola

Il 53% delle Associazioni non ritiene sufficiente la prevenzione primaria (corretti stili di vita); il 60% considera inadeguata o del tutto carente la prevenzione secondaria (interventi per una diagnosi precoce e per la riduzione del danno). Per la prevenzione terziaria (relativa alle complicanze) sale al 64% la percentuale delle Associazioni che ritengono non si faccia. 
Anche chi si impegna personalmente nella prevenzione, riconoscendone l’importanza, ha difficoltà ad accedere alle visite specialistiche o esami diagnostici necessari nel 66% dei casi e l’89% è, quindi, costretto a sostenere costi privati per accedere a queste prestazioni.

La diagnosi troppo spesso in ritardo

Il 75% delle Associazioni dichiara di aver ravvisato ritardi diagnostici nella propria patologia di riferimento. Il sospetto diagnostico viene formulato generalmente dallo specialista di riferimento (67%) e solo nel 20% dei casi dal Medico di Medicina Generale che si interfaccia con lo specialista solo per il 59% delle associazioni.

Si può attendere, quindi, otto anni in media per una diagnosi di endometriosi o cinque per la diagnosi di Lupus Eritematoso Sistemico. C’è addirittura chi ha atteso 33 anni per la diagnosi della sindrome di Bechet. Le cose non vanno meglio per i tempi medi: c’è chi attende al massimo un anno, ma anche chi in media attende dai due ai sei anni. In generale dipende dal medico che incontri o dal trovarsi al Nord o al Sud.

Invalidità civile, l’odissea continua

Crescono le difficoltà per vedersi riconosciuti l’handicap grave (L 104/92, +44% rispetto al 2011)  e il contrassegno per invalidi (+21% rispetto al 2011), così come aumentano le difficoltà di accesso alla invalidità (+16%). Il 68% delle associazioni, a distanza di oltre due anni dall’entrata in vigore della nuova legge, non riscontra né semplificazione né riduzione nei tempi per il riconoscimento: il 65% afferma che i propri associati sono costretti a sottoporsi a doppia visita di accertamento, presso la ASL e l’INPS, anche perché il medico INPS continua a non essere integrato nella commissione di accertamento nel 45% dei casi. Le convocazioni a visita di verifica avvengono in maniera non regolare per il 41% delle associazioni, attraverso sms (59%), lettera semplice (47%) o addirittura messaggi lasciati in segreteria (12%). 

Una Italia a più velocità

L’assistenza farmaceutica, quella protesica, così come l’assistenza domiciliare e la riabilitazione sono erogati nel nostro Paese a macchia di leopardo. Anche i percorsi diagnostici terapeutici  e i registri di patologia (che indicano il numero di pazienti, suddivisi per patologia e regione di residenza) sono poco diffusi e segnalati principalmente al Nord.

Il 61% delle Associazioni dichiara di avere difficoltà di accesso all’assistenza farmaceutica in alcune regioni. Le principali criticità riguardano i tempi eccessivamente lunghi per l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte dell’AIFA (50%), il costo dei farmaci non rimborsati dal SSN in fascia C (44%), le limitazioni da parte dell’Aziende ospedaliere o dalle ASL per motivi di budget ed i tempi di inserimento dei farmaci nei Prontuari regionali diversi da regione a regione (41%). Il 39% delle Associazioni, ancora, ha riscontrato l’interruzione o il mancato accesso a terapie perché particolarmente costose.
L’assistenza domiciliare integrata è adeguata alle esigenze di cura solo in alcune regioni (44%).Il principale problema in questo ambito è l’assenza di un supporto psicologico (41%) seguito dalla mancanza di alcune figure professionali (38%) e da un numero di ore di assistenza insufficienti (29%).
Anche la riabilitazione risente fortemente delle differenze regionali. Infatti risulta adeguata, ma solo in alcune regioni per il 65% delle Associazioni. La principale criticità riguarda i tempi di attesa incompatibili e la mancanza di posti letto e strutture (77%). Particolarmente critica la durata del ciclo riabilitativo, considerata inadeguata dal 73% delle Associazioni.

Le principali proposte:

·  prevedere all’interno del Patto per la salute 2013-2015 in discussione l’impegno a realizzare un Piano di azione nazionale sulle patologie croniche;
·      approvare il Piano nazionale sulle malattie rare 2013-2016;
·      istituire i Registri nazionali di patologia, per ciascuna di esse;
·  implementare lo sviluppo di PDTA nazionali in grado di garantire livelli uniformi di assistenza socio-sanitaria su tutto il territorio nazionale;

· garantire un accesso equo, tempestivo ed uniforme alle terapie farmacologiche, nonché la partecipazione delle Organizzazioni civiche e dei pazienti ai processi decisionali nazionali e regionali inerenti  l’assistenza farmaceutica

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