domenica 8 dicembre 2013

DARE LA VITA, MA RESTARE VIVE!

Foto: Wdonna.it
Tra gli Obiettivi di sviluppo del millennio il quinto raccomanda il miglioramento della salute materna, dimezzandone la mortalità e raggiungendo l’accesso universale ai sistemi di salute riproduttiva entro il 2015. Eppure nel mondo in via di sviluppo soltanto un terzo delle donne riceve le quattro o più visite prenatali raccomandate e ogni anno mezzo milione di donne muore durante la gravidanza o il parto, una ogni minuto. Molte vite quindi potrebbero essere salvate, semplicemente dando la possibilità a tutte le mamme di partorire in un centro sanitario dove sia possibile intervenire sulle eventuali complicanze ed essere assistite da un medico o da un’ostetrica che potrebbero evitare anche altre drammatiche conseguenze di gravidanze e parti non seguiti: disturbi, malattie, invalidità con le quali fare i conti negli anni a venire.
Medici Senza Frontiere (MSF) ci ha raccontato l’esperienza di due realtà particolarmente difficili come quella siriana e pakistana dove per diversi motivi è estremamente difficile ricevere cure ostetriche ordinarie e di emergenza. A raccontare la “sua” Siria è Margie un’ostetrica che ha trascorso sette settimane in un ospedale nel nord della Siria da dove è da poco tornata. “Le donne non hanno accesso a un’adeguata assistenza sanitaria in questa zona - ha raccontato Margie -  Per quelle che affrontano complicazioni durante la gravidanza è praticamente impossibile ricevere cure ostetriche di emergenza. Ci sono ancora delle ostetriche all’interno della comunità che forniscono supporto nei normali parti, ma se emergono complicazioni diventa difficile trovare qualcuno a cui rivolgersi”. Sappiamo che ormai in Siria molte strutture sanitarie sono state distrutte durante il conflitto e quelle rimaste non funzionano adeguatamente. Prima della guerra ha precisato Margie “C’era una rete di ostetriche che si occupavano di assistenza prenatale, adesso sembra che molte donne in gravidanza non la ricevano affatto. Il conflitto ha anche ridotto l’accesso ad un’alimentazione sana per le donne, e inoltre molte di esse sono sfollate. Tutto questo provoca uno stress che può avere effetti sulla gravidanza” che la ong cerca di arginare in una struttura che include una sala operatoria in cui vengono trattate ferite di guerra e grandi ustioni, un pronto soccorso e il reparto maternità.
In Siria molte donne hanno avuto numerosi figli, a volte 10 o 11 e molte hanno subito un parto cesareo grazie ai buoni standard di assistenza sanitaria disponibili prima del conflitto. Ora il reparto maternità di MSF fornisce oltre all'assistenza postnatale anche servizi ginecologici, che sono di difficile accesso per le donne in Siria visto che, oltre al conflitto, anche il contesto islamico porta molte donne che non trovano personale sanitario femminile a rinunciare all'assistenza. “Ho lavorato con un meravigliosa équipe con quattro ostetriche siriane - ha voluto precisare Margie - Ogni settimana facevamo nascere fino a 12 bambini ed effettuavamo 50-60 visite. Le mie colleghe si occupavano dei parti normali, ma se sorgevano complicazioni le supportavo e lavoravo con loro nelle cure mediche richieste. Loro avevano tutte vari livelli di formazione ed esperienza, quindi mi occupavo anche di continuare a formarle. Erano molto grate dell’opportunità di apprendere nuove conoscenze, perché un’altra conseguenza del conflitto per alcune di loro è stata l’interruzione della formazione”. Oggi in Siria l’emergenza prenatale è drammaticamente amplificata dalla guerra. “Abbiamo assistito a molti parti regolari, ma c’erano anche casi difficili. Una persona che mi ha colpito molto - ha concluso Margie - è stata una donna arrivata per ricevere assistenza prenatale. Aveva avuto sette figli, quattro dei quali erano recentemente morti in un bombardamento in una città vicina. Abbiamo potuto aiutarla a partorire un bambino sano. È stata un’esperienza davvero gratificante guardarla mentre lo teneva in braccio dopo tutto quello che aveva passato”.
Una condizione particolarmente difficile, quella siriana, che si specchia anche nella situazione del Pakistan, altro Paese con uno dei tassi di mortalità materna più alti del mondo e dove le donne che MSF ha assistito in questi ultimi mesi con le équipe di Peshawar e Hangu sono povere, senza risorse, rifugiate o sfollate. “Sono una ginecologa presso l’ospedale materno infantile costruito da MSF a Peshawar. Qui siamo specializzate in ostetricia d’urgenza per garantire alle donne più vulnerabili un posto sicuro dove far nascere il proprio bambino” ha spiegato Kanako, medico di MSF. L’ospedale di Peshawar, provincia di Khyber Pakhtunkwa, nel nord-ovest del Paese è stato inaugurato nel 2011. Qui vivono più di tre milioni di persone e Peshawar non è certo un deserto dal punto di vista dell’assistenza medica. Cliniche, ospedali, farmacie e ambulatori potrebbero soddisfare i bisogni medici dell’intera popolazione, eppure molte donne sono private delle cure ostetriche. “Ho iniziato a venire qui sei mesi fa. Il mio bambino è nato l’altro ieri” ha raccontato una paziente originaria delle aree tribali. “In effetti, sono andata prima presso un altro ospedale a causa delle perdite, ma il medico mi ha detto che avevo bisogno di due iniezioni per assicurarmi che mio figlio non nascesse con dei disturbi. Quando gli ho spiegato che non avevo i soldi per permettermi queste cure, lui mi ha dato l’indirizzo di quest’ospedale. Mio figlio è nato con un parto cesareo e oggi mi ritengo fortunata di poter tenere in braccio un bambino sano”.
“Un parto cesareo costa intorno alle 10.000 rupie in un ospedale pubblico e fino a 60.000 in una clinica privata. Persino un parto normale costa 5.000 rupie in un ospedale pubblico e 20.000 in una clinica privata. È molto costoso per le donne più povere” ha denunciato Naseer, medico MSF a Peshawar. Troppo costose, troppo lontane, queste cure sono inaccessibili per le persone più vulnerabili, specialmente per quelle famiglie sfollate a causa dei combattimenti nelle aree al confine con l’Afghanistan. “Sfollati e rifugiati rappresentano approssimativamente il 10% dei nostri pazienti e la percentuale è in crescita” ha aggiunto Salma, responsabile per l’accoglienza e la registrazione dei pazienti al loro arrivo presso l’ospedale. Ma i costi non rappresentano l’unico ostacolo all’accesso alle cure ostetriche. Molto radicato nelle tradizioni familiari, il parto naturale rappresenta per una madre l’unica maniera onorevole di dare alla luce un figlio, indipendentemente dalle possibili conseguenze per lei e per il suo bambino. Per questo motivo, le donne incontrano una forte resistenza da parte dei mariti e dei parenti prima che venga loro concesso di recarsi all’ospedale, soprattutto se gestito da un’organizzazione straniera come MSF, un’altra sfida per i pazienti e per lo staff.
Come in Siria la guerra, l’isolamento, la mancanza di sicurezza, povertà e credenze rappresentano gli ostacoli che le donne pakistane devono superare per ricevere cure ostetriche di qualità e partorire senza mettere a repentaglio le loro vite e quelle dei loro bambini. Una sfida fondamentale che tocca, seppur in modo diverso, anche i paesi del primo mondo e che è ben raccontata attraverso il progetto World Social Agenda(WSA) di Fondazione Fontana sul quinto Obiettivo di sviluppo del millennio grazie al video “L’Attesa Fragile” di Marco Zuin e Giulio Mozzi. Una riflessione sulla salute materna a partire dalle voci di un centinaio di donne che hanno raccontato la loro esperienza di maternità grazie al contributo dei ragazzi delle scuole coinvolte nella WSA che hanno dato voce alle loro mamme, zie, nonne, amiche e insegnanti.
di Alessandro Graziadei

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