sabato 24 marzo 2012

ACQUA, L’ITALIA RISCHIA SICCITÀ E MULTE PER MALA GESTIONE. ESCE AMBIENTE ITALIA 2012

Scarichi inquinanti, depurazione e artificializzazione dei corsi d’acqua: problemi irrisolti del Belpaese. Massimi consumi in agricoltura: oltre il 50% dei prelievi totali. Legambiente: “Tariffazione progressiva contro gli sprechi e Green economy dell’acqua per sviluppo e nuova occupazione: 450 mila occupati in 10 anni”

Italia è tra i paesi più ricchi di risorse idriche: 2.800 metri cubi per abitante l’anno, pari ad una disponibilità teorica di circa 52 miliardi di metri cubi, distribuiti in tutta la penisola con disponibilità reale massima nell’area del Nord-Est (1.975 metri cubi per abitante l’anno) e minima in Puglia (220 mc/abitante/anno). La quota media disponibile in tutte le regioni è comunque di almeno 400 metri cubi per abitante, cioè dieci volte superiore alla quota disponibile nei paesi del sud del Mediterraneo. Nonostante ciò, abbiamo problemi di scarsità idrica nei mesi caldi, al Sud come anche al Nord. 

Il settore agricolo è di gran lunga il principale utilizzatore d’acqua (almeno 20 miliardi di metri cubi l’anno, valore che alcuni ritengono ampiamente sottostimato); seguono il settore civile con 9 miliardi/anno, l’industria con circa 8 miliardi/anno e la produzione di energia con circa 5 miliardi/anno. Il prelievo eccessivo (oltre 40 dei 52 miliardi di metri cubi disponibili) provoca problemi di qualità delle acque superficiali e sotterranee, perché questo sfruttamento non permette la circolazione idrica naturale necessaria a mantenere vivo l’ecosistema e a diluire gli inquinanti nei fiumi e nelle falde. Quantità e qualità in questo caso vanno di pari passo e per questo bisogna puntare ad aumentare le portate negli alvei e nelle falde, se vogliamo raggiungere entro il 2015 il “buono stato di qualità” dei corpi idrici, previsto dalla Direttiva quadro (2000/60/CE). 

Ma questo prelievo è davvero necessario? Per uso civile utilizziamo 152 metri cubi per abitante l’anno, molto più di Spagna (127 m3), Regno Unito (113 m3) e Germania (62 m3).  Il settore agricolo poi, incide tantissimo perché l’irrigazione è in gran parte basata su tecniche vecchie e inefficienti: gli esperti che hanno collaborato ad Ambiente Italia 2012 ritengono che un miglioramento delle tecniche irrigue permetterebbe un risparmio dell’ordine del 30%. Ulteriori riduzioni sarebbero possibili scegliendo colture e varietà più resistenti alla siccità e soprattutto combattendo le produzioni eccedentarie e gli sprechi alimentari.

In occasione della prossima giornata mondiale dell’acqua (giovedì 22 marzo), Legambiente anticipa il tema con la presentazione di ‘Acqua bene comune, responsabilità di tutti’, edizione 2012 del rapporto annuale Ambiente Italia di Legambiente e Istituto Ambiente Italia, edito da Edizioni Ambiente, con una conferenza stampa che ha visto la partecipazione di Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente, di Giulio Conte dell’Istituto di Ricerche Ambiente Italia, di Stefano Ciafani vicepresidente nazionale di Legambiente e di Paolo Carsetti, del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua.

"Il referendum del giugno scorso rappresenta un punto di svolta e di non ritorno, senza possibilità di equivoci – ha dichiarato Vittorio Cogliati Dezza -. La maggioranza degli italiani ha dichiarato che l'acqua è un bene comune e come tale va gestita. Ma se il referendum dà una chiara indicazione sulla direzione da seguire, ancora non ci dice cosa bisogna fare per risanare e qualificare tutto il ciclo dell'acqua. Questo è il problema che il paese ha davanti e questa è anche una battaglia storica degli ambientalisti. Non basta preoccuparsi solo del segmento consumi potabili. Con Ambiente Italia 2012 abbiamo voluto offrire elementi di riflessione a trecentosessanta gradi che possano far fare dei passi avanti alle politiche di gestione della risorsa idrica, per capire dove sono i punti di maggior sofferenza e rischio del sistema".

Nel nostro Paese rimangono ancora irrisolti gli annosi problemi relativi agli scarichi inquinanti civili e industriali, ai depuratori mal funzionanti, all’artificializzazione dei corsi d’acqua. Delle 549 stazioni di monitoraggio censite nell’annuario 2010 dell’Ispra, solo il 52% raggiunge o supera il “buono stato” (e si tratta dei tratti montani dei corsi d’acqua), il 35% delle stazioni è appena sufficiente e quasi un quarto delle stazioni presenta uno stato scarso o addirittura pessimo. 

E questa situazione si verifica non solo nelle aree dove mancano fognature e depuratori  ma anche dove la rete è funzionante già da anni – sostiene Giulio Conte –. E’ evidente la necessità di intervenire nel settore idrico non solo completando l’infrastruttura di base dove ancora manca, ma anche diffondendo approcci e tecniche innovativi: sanitari a basso consumo, sistemi per la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie. E occorre ripensare la pianificazione territoriale e urbanistica per ridurre l’artificializzazione e l’impermeabilizzazione dei suoli che fanno confluire nelle fogne le acque meteoriche che vanno a sovraccaricare inutilmente i depuratori”. 

Bisogna poi favorire il riutilizzo delle acque reflue depurate in agricoltura e nei cicli industriali, modificando il decreto del ministero dell’Ambiente che prevede limiti alla carica batterica eccessivamente restrittivi (1000 volte più dell’Oms). Per tutto ciò saranno necessari enormi investimenti e una rimodulazione delle tariffe per coniugare l’efficienza del servizio con la tutela della risorsa. Per Legambiente la nuova tariffa dovrà garantire gratuitamente 50 litri d’acqua pro capite al giorno, oltre i quali va definita una tariffazione progressiva che scoraggi i grandi consumi  e gli sprechi.

Gli interventi e gli investimenti necessari a migliorare la gestione dell’acqua nel nostro paese possono rappresentare oggi anche una risposta efficace e duratura alla crisi economica in corso, oltre che alle esigenze di crescita e sviluppo del paese. Ambiente Italia 2012 ha stimato gli effetti occupazionali di una politica volta ad accelerare gli investimenti nel settore idrico, con interventi che riguardano sia il settore il Servizio Idrico Integrato che il sostegno all’iniziativa privata, attraverso l’inclusione degli interventi idrici nel “bonus del 55% per le ristrutturazioni edilizie ed altre misure di sostegno. 

Attraverso investimenti che graverebbero in minima parte (meno del 10%) sul bilancio pubblico (visto che i costi sarebbero coperti dalle tariffe idriche e da investimenti che beneficiano solo in parte di sostegno pubblico), a fronte di un investimento totale di poco più di 27 miliardi di euro in 10 anni, dei quali 16 miliardi di euro addizionali rispetto a quelli di spesa tendenziale, si avrebbe la creazione di poco meno di mezzo milione di unità di lavoro in 10 anni, tra occupazione diretta e indiretta (in altri termini 45.000 posti di lavoro l’anno per 10 anni), senza considerare l’occupazione indotta dalla spesa dei redditi da lavoro e capitale generati dalla nuova occupazione. 

In conclusione, l’acqua in Italia costa troppo poco, negli usi civili come in agricoltura o nell’industria, e per questo se ne consuma troppa. Assicurato l’accesso universale al servizio e la fornitura minima per tutti, il prezzo dell’acqua va fissato tenendo conto che si tratta di un bene scarso, probabilmente destinato a scarseggiare sempre più anche a causa dei cambiamenti climatici, da consumarsi parsimoniosamente, attraverso un sistema tariffario che scoraggi gli sprechi e recuperi risorse per migliorare il servizio.

Il rapporto Ambiente Italia poi, come ogni anno, presenta numerosi dati relativi agli indicatori ambientali e socio economici capaci di fotografare il nostro paese: in negativo dobbiamo segnalare la mobilità, con tutte le sue conseguenze in termini di traffico, inquinamento, stress e qualità della vita. Quella delle persone è ancora basata sul mezzo automobilistico privato (80,6% degli spostamenti totali), seguito, ma a grande distanza, dall’autobus (12,1%), treno (5,2%) e aereo (1,7). Siamo anche il più grande paese europeo con la più elevata quantità procapite di mobilità motorizzata (quasi 12 mila passeggeri km/abitanti l’anno) e con un tasso di motorizzazione sempre decisamente superiore alla media: 605 auto ogni mille abitanti contro le 473 dell’Unione Europea, le 510 della Germania, le 500 della Francia e le 470 del Regno Unito. Il trasporto merci poi si continua ad effettuare per il 90% sulla strada (il dato europeo è pari al 46%).

L’inquinamento atmosferico delle città rimane problematico. Ossidi di azoto, ozono troposferico, ma soprattutto PM10 continuano a soffocare le nostre città. A fine febbraio 2012, già 27 capoluoghi della nostra Penisola avevano esaurito i 35 superamenti annuali del limite medio giornaliero di emissioni (50 µg/m3) per la protezione della salute umana previsti della normativa vigente (Dm 60/2002; Dlgs. 155/2010). Situazioni particolarmente critiche si registrano ancora nelle grandi città e in Pianura Padana.

Aumenta drammaticamente la produzione dei rifiuti (+6% dal 2000 al 2009), mentre cala nel resto d’Europa (media pari a -2%) con punte pari a -9% in Germania e Regno Unito, dove evidentemente la riduzione dei rifiuti è una sfida realmente affrontata dai Governi attraverso la leva economica, e non il pallino dei soli ambientalisti. Aumenta la povertà relativa (famiglie con spesa media inferiore alla soglia calcolata come media procapite): se nel 2005 le persone povere rispetto alla popolazione erano il 13,1%, nel 2010 sono il 13,8% (da 7.577 a 8.272) e il tasso di occupazione (nel 2010) è il più basso d’Europa (56,9%) a spese soprattutto delle donne (46,1%). Anche la spesa per la ricerca e lo sviluppo è bassissima: 1,27% del Pil (nel 2009), cioè superiore solo a quella della Polonia (0,68%) e ben lontana dal 3,96 della Finlandia, ma anche dal 2,21 della Francia, tanto per fare qualche esempio.

Rispetto alle attività produttive, calano le aree coltivate: erano 17.562.000 ettari nel 2005, sono 13.908.000 nel 2009.

Si confermano stabilmente sostanziose le licenze ecolabel rilasciate per prodotto: 25% del totale europeo mentre aumenta la superficie agricola biologica o in conversione, pari all’8,9% della superficie agricola utilizzata (Sau), e gli allevamenti biologici: erano 1.384.907 capi nel 2001, sono 3.628.713 nel 2010.

Aumenta anche l’estensione delle foreste (+21% dal 1990 al 2010) e si confermano in buona salute le aree protette di interesse ambientale, con 2.269 siti di interesse comunitario e 600 zone di protezione speciale (dato 2011).

Rispetto alle emissioni di CO2 in Europa, il miglioramento dell’efficienza energetica e lo sviluppo delle rinnovabili, insieme alle limitazioni imposte dalla crisi economica, hanno determinato per l’Italia una riduzione del 5,4%, rendendo facilmente raggiungibile l’obiettivo del -6,5% richiesto dal Protocollo di Kyoto. 

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