9 laureati in Scienze infermieristiche su 10 trovano lavoro entro un anno dalla laurea. Per una sanità migliore il Paese avrà bisogno di 266mila infermieri in più entro il 2020.
Cresce l’appeal della professione di infermiere. L’84,2% degli italiani incoraggerebbe un figlio, parente o amico che volesse iscriversi al corso di laurea in Scienze infermieristiche, perché la ritiene una buona scelta. Il 76,6% per l’alto valore sociale della professione, perché dà aiuto agli altri. Il 47% perché garantisce un titolo di studio che consente di trovare facilmente lavoro. Vogliono fare l’infermiere sempre di più i liceali (tra le matricole di Scienze infermieristiche erano il 29% del totale nel 2003-2004, sono diventati il 46% nel 2009-2010), i maturati con un voto alto (nel 2003-2004 quelli con un voto alla maturità superiore a 90 erano l’11,8% delle matricole, sono diventati quasi il 13% nel 2009-2010), i giovani per i quali il corso di studi in Scienze infermieristiche rappresenta la prima scelta (erano il 46% delle matricole nel 2003-2004, sono diventati il 59% nel 2009-2010).
L’infermiere: il lavoro che c’è e che ci sarà sempre di più. 9 laureati in Scienze infermieristiche su 10 trovano lavoro entro un anno dalla laurea. Nella sanità del futuro le opportunità occupazionali saranno ancora migliori. Si stimano in 266mila unità in più gli infermieri di cui l’Italia avrà bisogno nel 2020 rispetto agli attuali 391mila (ipotizzando un rapporto infermieri/popolazione pari al benchmark olandese di 1.051 ogni 100mila abitanti). Sulla necessità di aumentare il numero di infermieri c’è un ampio consenso sociale: il 68,5% dei cittadini ritiene che attualmente nel nostro Paese ce ne siano pochi e che bisogna aumentarne il numero.
Numero chiuso e test d’accesso, non è cosi che si prepara un buon infermiere. Il 61,3% degli italiani considera un errore il numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Scienze infermieristiche. Quasi il 32% perché c’è bisogno di avere più infermieri nel futuro e in questo modo l’Italia rischia di non averli. Per il 29,7% perché la selezione dovrebbe basarsi sulla capacità degli studenti di andare avanti nel percorso di studi. Meno del 40% degli italiani, invece, si dichiara favorevole al numero chiuso. Di questi, il 29,3% lo considera un buon modo per selezionare gli studenti e il 9,4% lo valuta positivamente anche se ritiene che occorrerebbe ampliare il numero dei posti disponibili. Gli italiani si dividono sul ricorso alla prova con test a risposta multipla (i quiz) per selezionare l’accesso al corso di laurea in Scienze infermieristiche: il 37,8% lo giudica un modo adeguato, il 37,5% lo ritiene un sistema errato (percentuale che cresce tra i laureati fino al 45,1%), mentre per il 24,7% forse non è adeguato, però non ci sono alternative. Il numero chiuso rende inevitabile il ricorso a infermieri stranieri: c’è già stato un boom nel periodo 2007-2010, con un incremento del 25% (+8mila unità).
Professionale e capace di relazionarsi, l’infermiere piace agli italiani. Il 75,2% degli italiani che hanno avuto rapporti diretti o indiretti, tramite i familiari, con gli infermieri valuta come ottima o buona l’attività da loro svolta. Molto apprezzate sono le capacità tecnico-professionali (dal 55,6%), la capacità di relazionarsi con i pazienti e i familiari (51,2%), la cortesia e la gentilezza (44,7%). Del resto, le cose più importanti che si aspettano da un infermiere, quando entrano in relazione con lui nei diversi contesti sanitari, sono la capacità di creare un buon clima relazionale e l’attenzione agli aspetti psicologici e umani (per il 66%), un ottimo livello tecnico-professionale (62,3%), la capacità di dare spiegazioni sulla diagnosi e la terapia (25,5%).
Il contributo dell’infermiere alla buona sanità del futuro. Nella sanità del futuro, fatta più di prevenzione e di presidi sul territorio, secondo il 90% degli italiani quella dell’infermiere sarà una professione importante, che giocherà un ruolo rilevante. Già oggi gli infermieri possono dare un contributo al miglioramento della sanità. Il 48,5% degli italiani è d’accordo con la possibilità che i casi meno gravi che arrivano in Pronto soccorso, i cosiddetti «codici bianchi», vengano trattati dagli infermieri, nel rispetto delle linee guida indicate dai medici, in modo da smaltire le file di attesa senza abbassare la qualità del servizio.
Fonte:http://www.censis.it
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