sabato 19 dicembre 2009

L'impunità e l'ingiustizia sono l’ eredità dei mortali disordini di Luglio 2008 in Mongolia


Il governo della Mongolia non ha preso provvedimenti efficaci nei confronti delle violazioni dei diritti umani avvenute nel luglio 2008 durante la rivolta di piazza Sukhbaatar, nella capitale Ulaanbaatar.

Il 1° luglio 2008 migliaia di persone si radunarono in piazza Sukhbaatar, in un contesto contrassegnato da denunce di ampi brogli elettorali.

La rivolta fu improvvisa e inaspettatamente violenta. La polizia sparò contro nove manifestanti, uccidendone quattro. Una quinta persona morì per soffocamento da fumo.

Dalla mezzanotte e per quattro giorni, il governo applicò lo stato d'emergenza, per la prima volta dalla transizione al sistema democratico del 1990.

A distanza di un anno e mezzo da quei fatti, resta uno strascico d'impunità e ingiustizia. È quanto denunciato da Amnesty International in un recente rapporto, nel quale si ricorda come centinaia di manifestanti vennero arrestati e trattenuti nelle celle delle stazioni di polizia, picchiati per estorcere "confessioni" e lasciati in condizioni di sovraffollamento e senza acqua né cibo anche per 72 ore. Più di 700 persone furono arrestate durante la rivolta e oltre 100 nelle settimane successive.

Le indagini avviate da allora hanno avuto un mandato limitato e le denunce di violazioni dei diritti umani, tra cui la tortura, i maltrattamenti e l'uso eccessivo e non necessario della forza, sono state in larga parte ignorate.

"A un anno e mezzo dalla rivolta non c'è stata ammissione di responsabilità da parte delle autorità né vi è stata giustizia per le vittime" - ha dichiarato Roseann Rife, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International.

I procedimenti nei confronti di 10 agenti e di quattro dirigenti di polizia sospettati di avere, rispettivamente, usato e autorizzato l'uso di munizioni letali, sono stati bloccati dagli imputati e dai loro legali.

"Il governo della Mongolia non ha voluto indagare seriamente sulle denunce relative alle torture e ai maltrattamenti subiti dai manifestanti in carcere né sull'uso e sull'autorizzazione all'uso delle munizioni letali" - ha proseguito Rife. In questo modo, la Mongolia è venuta meno ai propri obblighi internazionali, che richiedono l'adozione di misure legislative, giudiziarie e amministrative per prevenire le violazioni dei diritti umani, portare di fronte alla giustizia i responsabili e assicurare una riparazione alle vittime, in linea con gli standard internazionali.

La segretezza che avvolge le operazioni della polizia e degli altri corpi di sicurezza, si legge nel rapporto di Amnesty International, sta ulteriormente danneggiando la reputazione di questi organismi, creando paura e sfiducia. Questi sentimenti persisteranno fino a quando le autorità non prenderanno provvedimenti concreti per aprire inchieste indipendenti, giudicare i responsabili di violazioni dei diritti umani e introdurre riforme per evitare che ulteriori abusi abbiano luogo.

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