Si sono improvvisamente riacutizzati i timori sulla solvibilità di Irlanda e Portogallo. La maggiore preoccupazione di noi italiani riguarda il rischio di contagio. Ma il mercato dei Cds assegna oggi al fallimento dell'Italia nei prossimi cinque una probabilità notevolmente più bassa rispetto a quella di Irlanda e Portogallo. E l'impennata della percezione del rischio registrata a novembre non sembra avere significativamente contagiato il nostro paese. La cattiva notizia è che, negli ultimi giorni, la curva della probabilità di default dà segni di voler rialzare la testa.
Ci risiamo, di nuovo si parla del rischio della fine dell’euro, e questa volta a farlo è addirittura il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. I motivi sono noti: dopo che la Grecia ha mancato, seppur di poco, gli obiettivi di riduzione del disavanzo concordati con il Fondo monetario e l’Europa, si sono improvvisamente materializzati gli incubi sulla solvibilità d’Irlanda e Portogallo, che appaiono i prossimi probabili clienti del nuovo Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf). Per l’Irlanda si prospetta un pacchetto di aiuti di 50-100 miliardi euro messo a punto da Unione Europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale.
DEBITO PRIVATO E PUBBLICO
I problemi irlandesi non provengono direttamente dallo Stato, ma dalle banche che con investimenti irresponsabili hanno alimentato una bolla immobiliare, per poi ritrovarsi insolventi. Il governo, nel tentativo di salvare il sistema bancario, ha aperto una voragine nei conti pubblici (il deficit è al 32,5 per cento del Pil), e non ha oggi le risorse per salvare le banche dalla bancarotta senza rischiare la propria (o quella di entrambi). Il debito pubblico irlandese è, infatti, piuttosto basso (64 per cento del Pil nel 2009, vedi tabella 1) e non presenta problemi di finanziamento nei prossimi mesi. Al contrario, il debito privato, che somma quello di famiglie, istituzioni finanziarie e non finanziarie, ammonta a quasi nove volte il Pil. Ne segue che la soluzione alla crisi richiederà diversi passi. Nell’immediato la Bce, che già finanzia le banche irlandesi a tassi molto bassi, dovrà garantire i depositi per evitare il pericolo che una corsa agli sportelli e una fuga di capitali portino al collasso del sistema finanziario e dell’economia reale. Si dovrà poi porre mano a una drastica ristrutturazione del debito bancario, che, “ripulendo” i bilanci, chiuda le “banche zombie” e coinvolga nelle perdite i grandi creditori privati. Non è sorprendente che i severi piani d’austerità fiscale previsti dal governo (tagli per il 3,8 per cento del Pil nel 2010, e per circa il 5,5 per cento nel biennio successivo) non siano bastati a rassicurare i mercati. Sono necessari, ma del tutto insufficienti a evitare il crollo del sistema.
Tabella 1
Fonte: Decisione di Finanza Pubblica 2011-13
L’ITALIA E IL CONTAGIO
Come per il caso della Grecia, la nostra maggiore preoccupazione riguarda il rischio di contagio. La figura 1 mostra l’andamento dei differenziali d’interesse dei titoli decennali dei “porcelli” (Piigs) rispetto ai titoli tedeschi. Gli spread di Grecia, Irlanda e Portogallo, in costante crescita da aprile si sono impennati a partire da novembre. È interessante notare che i riflessi sull’Italia (e sulla Spagna) sono finora stati contenuti, anche se il differenziale italiano, che era all’1,3 per cento il 20 ottobre ha quasi raggiunto il 2 per cento nei giorni scorsi.
Figura 1: Spread sui Bund a 10 anni
Fonte: DataStream
Un quadro simile emerge anche dai contratti dei credit default swap (Cds) sui titoli del debito sovrano, i cui premi assicurano contro l’insolvenza degli Stati. Da questi si possono ricavare le probabilità di default implicite nei prezzi di mercato. L’andamento delle probabilità d’insolvenza è descritto nella figura 2.
Figura 2: Probabilità cumulata di insolvenza implicita nei Cds a 5 anni
Fonte: DataStream, elaborazioni di Giulio Trigilia
La buona notizia è che il mercato dei Cds assegna oggi al fallimento dell’Italia nei prossimi cinque una probabilità notevolmente più bassa (intorno al 12,5 per cento) rispetto a quella di Irlanda (38 per cento) e Portogallo (30 per cento), e che l’impennata della percezione del rischio avvenuta in novembre non sembra avere significativamente contagiato l’Italia. La cattiva notizia è che, negli ultimi giorni, la curva della probabilità di default dà segni di voler rialzare la testa.
di Paolo Manasse
Tratto da: http://www.lavoce.info/
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