venerdì 12 novembre 2010

RIFIUTI: SEQUESTRATA UNA VASTA AREA RESIDENZIALE PROGETTATA SULLA CAVA DEI VELENI A MILANO

Oltre mille appartamenti avrebbero poggiato le loro fondamenta su un magma di rifiuti pericolosi per la salute umana. Si ipotizzano i reati di omessa bonifica, avvelenamento di acque e gestione di discarica non autorizzata per 5 indagati, tra titolari di società immobiliari e personalità degli Enti locali

Diossina, idrocarburi, metalli pesanti, solventi al cloruro: sono solo alcune delle sostanze altamente tossiche e dal potere cancerogeno rilevate nei quasi 2 milioni di metri cubi di rifiuti interrati nel tempo e in profondità nell'ex cava di Geregnano, nella zona di Bisceglie a Milano.

Un inquietante serbatoio di veleni frutto del connubio discariche e cemento.

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha disposto il sequestro preventivo d'urgenza dell'area di proprietà di due note società costruttrici, 300mila metri quadri sui quali era prevista l'edificazione di un complesso residenziale di 1300 appartamenti.

Ad eseguire il sequestro sono stati gli agenti del Corpo forestale dello Stato, appartenenti ai Nuclei Investigativi Provinciali di Polizia Ambientale e Forestale (NIPAF) di Milano e Pavia, unitamente a personale del Nucleo Investigativo Centrale di Polizia Ambientale e Forestale (NICAF) dell'Ispettorato generale, con il supporto degli esperti di ARPA-Lombardia.

Le sedi delle Società sono state oggetto di perquisizione alla ricerca di ulteriori elementi utili per il proseguo delle indagini, avviate a seguito di un esposto presentato alla Procura del capoluogo lombardo, da parte di un comitato di rappresentanza dei cittadini residenti nell'area limitrofa all'ex cava.

Omessa bonifica, avvelenamento di acque e gestione di discarica non autorizzata sono i reati a carico dei 5 indagati. Tra questi, oltre ai rappresentanti delle due Società proprietarie dei terreni e committenti dei lavori, anche i responsabili degli Enti locali che hanno partecipato all'iter autorizzativo.

Sull'area, nel 2007, era stato approvato dal Comune di Milano un Programma Integrato di Intervento che avrebbe portato alla costruzione del complesso.

L'ex cava, sfruttata dagli anni '30 agli anni '50 per l'estrazione di sabbia e ghiaia, era stata successivamente utilizzata come discarica di materiale eterogeneo: rifiuti urbani o ad essi assimilabili, rifiuti industriali provenienti da vari settori produttivi, prodotti farmaceutici, amianto, per un volume complessivo pari a 1.800.000 metri cubi.

Le indagini hanno evidenziato la presenza di idrocarburi, metalli pesanti, arsenico, solventi clorurati, manganese, policlorobifenili (PCB) e altri composti contenenti diossina, molti dei quali presenti anche nelle acque di falda.

Un intervento di bonifica radicale dell'intero sito fu valutato improponibile sia dal punto di vista tecnico sia per l'impatto economico, stimato in 165 milioni di euro, cifra superiore al valore dell'area sul mercato immobiliare. Tali considerazioni hanno portato ad approvare un progetto di bonifica parziale che si limitasse alla rimozione dello strato superficiale di rifiuti, all'asportazione degli "hot spots", punti nei quali erano state individuate particolari anomalie in seno alla massa dei rifiuti e alla successiva messa in sicurezza permanente dell'area isolando i rifiuti sottostanti con il cemento e con un enorme telo di polietilene.

La realizzazione delle palificazioni necessarie come sostegno degli edifici ha peggiorato ulteriormente la situazione, convogliando i percolati dei rifiuti direttamente in falda.

Sono tuttora in corso le indagini del Corpo forestale dello Stato ed è arrivata la convalida del sequestro da parte delle Autorità Giudiziarie competenti.

  
 
Due milioni di metri cubi di rifiuti tossici, 300 mila metri quadri messi sotto sequestro, indagati funzionari pubblici e alcuni responsabili di cantiere. La più grande riqualificazione urbana degli ultimi anni blindata dalla magistratura. Eppure il Comune di Milano la considerava un'operazione brillante. L'esempio sbandierato di una nuovo modo di costruire e di mettere in sicurezza i territori contaminati. In città la politica sapeva dei veleni della ex Cava Cabassi, ma hanno taciuto. Sulla pelle di chi per acquistare gli appartamenti ha contratto i debiti.
Di Lorenzo Galeazzi - Davide Milosa

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