giovedì 10 febbraio 2011

IL FALSO GARANTISMO CONTRO LA VERITÀ DEI FATTI

di Sergio Materia
Travolto dai fatti, Berlusconi dimostra una volta di più di essere interessato solo al proprio destino personale. Sostiene che l’indagine sulla concussione e quindi sull’intero caso Ruby è di competenza del Tribunale dei ministri, e così coinvolge nello squallore la carica che ricopre   (contemporaneamente però, incurante della contraddizione, strilla contro la violazione della sfera privata). Sostiene di avere telefonato alla questura di Milano nelle funzioni di presidente del consiglio, convinto che Ruby fosse nipote di Mubarak. Preferisce fare la figura del capo di governo più stupido degli ultimi 150 anni pur di sottrarre l’indagine alla Procura di Milano. Non presentandosi per l’interrogatorio rinuncia a recuperare un po’ di dignità personale e politica. Strategie difensive legittime che però considerano solo la privata posizione di indagato di Berlusconi.

Sul piano politico reagisce con le minacce ai magistrati e la minaccia di far causa allo Stato.

Chi difende il Presidente del Consiglio non nega il rilievo politico dei fatti, se veri, ma dice che niente di quello che l’indagine sta scoprendo è vero. Ci si appella alla presunzione di innocenza e al garantismo. La prima si fonda sull’articolo 27 comma 2 della Costituzione, sull’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e sull’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. I testi europei parlano di presunzione di innocenza, la Costituzione Italiana recita: “l’imputato non è considerato colpevole fino alla sentenza definitiva”.

I berlusconiani, come d’abitudine, usano le parole in modo ingannevole. Pretendono che la presunzione di innocenza: 1) cancelli ciò che emerge nell’indagine: fino alla sentenza definitiva niente è dimostrato, dunque niente è accaduto; 2) si estenda dall’ambito processuale a quello politico: fino alla sentenza definitiva i fatti sono inesistenti e il loro uso politico è giustizialismo (dopo, è ovvio, la sentenza se sfavorevole sarà attaccata come frutto di accanimento, persecuzione, complotto; nemmeno la condanna irrevocabile renderà reali i fatti e le responsabilità).

È l’ennesimo inganno. La presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva non significa rimozione dei fatti e conseguente trattamento dell’accusato, sotto ogni profilo, come persona che non essendo accusata di nulla non è sottoposta ad indagine e a processo. Se così fosse sarebbero contrarie alla Costituzione le misure cautelari (anche in regime di 41 bis) e di sicurezza nei confronti di indagati e imputati. Sarebbe incostituzionale l’art. 539 del codice di procedura penale che consente la condanna dell’imputato, già con la sentenza di primo grado, ad una “provvisionale”, cioè all’immediato risarcimento a favore della parte civile “nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova”. In base all’art. 13 della Costituzione, del resto, anche l’autorità di pubblica sicurezza può adottare di iniziativa provvedimenti provvisori di limitazione della libertà personale nei casi eccezionali dell’arresto in flagranza di reato e del fermo di indiziato di delitto.

Dunque i fatti di cui il presunto innocente è accusato, anche se il rispetto del principio di non colpevolezza impone la massima cautela, non sono ininfluenti in ambito processuale prima della condanna definitiva: hanno un peso, una sostanza, delle conseguenze, e possono comportare delle responsabilità sia pure a titolo provvisorio. Perché dovrebbero essere ininfluenti sul piano politico? La pretesa di cancellare quei fatti è abusiva. Il garantismo non c’entra: oggi in parte costituzionalizzato dall’art. 111 della Carta, consiste nel riconoscere all’accusato il pieno rispetto della sua persona, la presunzione di non colpevolezza e tutte le garanzie processuali di difesa, non nel cancellare i fatti.

Ma la propaganda dei berlusconiani si basa su una sistematica distorsione delle parole. Niente, sulle loro bocche, ha il senso che deve avere. È un inganno permanente, prova di assoluta mancanza di etica politica. Scrive Roberta De Monticelli (Esercizi di pensiero, Ed. Bollati Boringhieri, 2006, pag. 11 e segg.) che come c’è un’etica dell’agire, la logica è l’etica del pensare (e del far pensare, si può aggiungere). C’è una responsabilità nell’uso delle parole perché ogni affermazione (di una notizia o di una tesi) contiene una pretesa di verità e dunque l’impegno etico di comunicare una conoscenza. “Parlare con giustezza è un modo dell’agire responsabile. Fare asserzioni è assumersi l’impegno di sostenere la loro verità”. Riconoscere che i limiti all’arbitrio possibile del pensiero sono posti dalla realtà delle cose stesse è riconoscere che le cose stesse (…) sono fonte di normatività”.

È una delle maggiori responsabilità del berlusconismo il costringerci alla fatica quotidiana di confrontarci con argomenti che fanno uso di una logica solo apparentemente corretta dietro la quale si mascherano manipolazione e inganno.

Si va oltre la pura e semplice menzogna; oltre le promesse mirabolanti mai mantenute; oltre il vittimistico piagnucolare su complotti vari per nascondere inettitudine, malefatte e voglia di sopraffazione (con le mamme italiane il piagnucolare funziona sempre: “ma lo volete lascia’ in pace ‘sto pover’omo, che v’ha fatto?”). C’è un livello più raffinato, più temibile, più crudele, perché mina le menti e i principi dei meno attrezzati. Una gigantesca opera di diseducazione a pensare, quindi a capire, a reagire, a difendersi.

Si toglie alle parole, ai fatti, alla logica che lega le une e gli altri il senso che devono avere. Si gioca con le menti dei cittadini, non diversamente dai regimi totalitari del novecento. Ogni giorno al cittadino telespettatore si dice: ti spiego io come devi ragionare, come devi interpretare la realtà. La verità verrà fuori da quello che ti dico io, non credere ad altro, seguimi.

La tesi della persecuzione giudiziaria, per esempio, si fonda soltanto sul numero (oltretutto esagerato ad arte) dei processi a Berlusconi. Ma seguendo questa logica sarebbero vittime di persecuzione anche Totò Riina o Valerio Fioravanti. Per sostenere quella tesi i berlusconiani dovrebbero confrontarsi con i fatti di cui Berlusconi era ed è imputato, accusare di persecuzione politica anche la polizia, la guardia di finanza e i carabinieri le cui indagini sono molto spesso all’origine di quei processi, ammettere che gran parte delle sentenze di proscioglimento si fonda su leggi ad personam.

Ma confrontarsi con i fatti e con la logica comporta, appunto, l’assunzione di una responsabilità e di un’etica pubblica.

Al danno prodotto nelle menti dei cittadini è difficile rimediare, ma se c’è una strada è quella di farli ragionare, di chiamare finalmente le cose con il loro nome parlando un linguaggio diretto, chiaro e leale, comprensibile non solo dai più informati e avveduti. Le parole generiche su moralità, sobrietà, turbamento, preoccupazione per le contrapposizioni e per i conseguenti pericoli per le istituzioni restano puntualmente senza esito e si arrendono al ripetersi quotidiano dell’inganno di Berlusconi il quale, ogni volta, sfida la logica e la realtà e rivolgendosi ai cittadini (lui sì) nega che si parli di lui. E il giorno dopo si ricomincia.

È necessario svegliare gli italiani dal lungo sonno della ragione, o almeno provarci.

Fonte: http://www.libertaegiustizia.it
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