lunedì 21 febbraio 2011

PANE, LAVORO E LIBERTÀ. UNIFICARE SUBITO IL MAGHREB

Proteste in Marocco -


Pane, lavoro e libertà sono tre parole sulle quali si fonda la pace. Il Maghreb le sta urlando al mondo intero. Attraversiamole assieme.

Pane. Ogni rivoluzione la si fa a pancia vuota. Difficilmente colui che è satollo si muove. Oggi il pane nel nord Africa è costoso per colpa di Chicago. Mi spiego. La Commodity Stock Exchange di Chicago, la borsa di prodotti agricoli più importante del mondo è in mano ad otto multinazionali che sono in grado di determinare i prezzi del mercato agricolo mondiale. Gli speculatori traggono guadagni impressionanti, come ci narra Vittorio Agnoletto di ritorno dal WSF di Dakar. In un anno, nel 2008, la Cargill, per esempio, ha aumentato i suoi profitti dell'86% portandoli a 1,03 miliardi di dollari, contemporaneamente in soli tre mesi il costo del riso sui mercati globali era aumentato del 59%, quello del grano del 61% e questa tendenza, seppur in forme diverse, è proseguita negli anni successivi. Inoltre gli incentivi agli agrocarburanti, le speculazioni sui mercati delle materie prime, una domanda crescente di carne ed energia da parte dei paesi emergenti ed una produttività agricola stagnante hanno provocato l'aumento del prezzo del cibo. Insomma, la gente ha fame. Il pane costa molto e, se il pane non andrà alla fame, come ci ricorda il Priore di Bose, sarà la fame a muoversi verso il pane, come dimostrano i traffici nel mediterraneo.  

Ma non di solo pane vive l’uomo. Certo. Anche lavoro. Vediamo la seconda parola che è fatta di crisi economica, governi dirigisti e mancanza di opportunità. Ovunque possiamo vedere il ruolo centrale degli atenei nella protesta dei cittadini del Maghreb contro i governi. Dalla Tunisia, all’Algeria e alla Mauritania si stanno verificando violente proteste e rivolte di studenti universitari e neolaureati a causa della carenza di posti di lavoro. I giovani studiano ma non sanno come e dove spendere la propria qualifica. Nel suo discorso prima di fuggire in esilio, il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali ha promesso 300mila nuovi occupati. A ben vedere meno di un terzo dell’ormai famoso “milione di posti lavoro” che poca fortuna ebbe a casa nostra.     

Uno studio effettuato dalla Carnegie Middle East Center (Cmec) dal titolo Trading High Unemployment for Bad Jobs: Employment challenges in the Maghreb, conclude: “La disoccupazione tra i giovani soprattutto laureati rimane alta ed in molti Paesi è in continuo aumento”. Proprio una relazione sull’occupazione dell’Arab labor organisation indica che il problema della disoccupazione post laurea ha toccato i picchi più alti in Marocco (26,8%) e in Algeria (19,3%). Il rapporto spiega che la mancanza di corrispondenza tra le competenze e i bisogni dell’economia reale stia incancrenendo la situazione. Per migliorare la condizione maghrebina lo studio del Cmec sostiene che la politica dei vari Paesi debba affrontare la causa primaria dell’alto tasso di disoccupazione riformando i sistemi di istruzione.   

A tal proposito la decima sessione del Consiglio dei ministri del Maghreb ha approvato un piano per aumentare la qualità dell’istruzione superiore nella regione, nel tentativo di produrre laureati nei campi di cui l’area ha necessità. L’obiettivo è costruire un network accademico in Maghreb per facilitare il trasferimento di studenti e docenti tra le università: titoli accademici e di standard di qualità saranno resi compatibili in tutti gli stati. Molte università di Libia, Marocco, Algeria e Mauritania stanno inoltre avviando un processo di gemellaggio.

Ma anche se si riuscisse a riconciliare lo studio con il lavoro rispondendo alle esigenze del mercato non avremmo risolto il problema che sta nella redistribuzione del reddito. Negli ultimi anni il PIL in Tunisia era al 5% ma i ceti popolari e medi erano in sofferenza e i vantaggi andavano a beneficio delle famiglie di Alì e della moglie Trabelsi. Il tesoro scoperto a Tunisi e mostrato alle TV di tutto il mondo è solo un esempio dell’avidità di queste classi politiche.

L’Europa dovrebbe potrebbe aiutare un processo di unificazione del Maghreb (UMA) come ha aiutato l’Unione Africana. E’ l’unica modalità per abitare la globalizzazione, per rapportarsi con il potente BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), l’UE e gli USA. Nel febbraio del 1989 (anno di caduta del muro di Berlino) i capi di Stato del Marocco, dell’Algeria, della Libia, della Tunisia e della Mauritania firmarono una prima intesa.

Dopo 22 anni l’UMA si è affossata grazie anche alla posizione dell’Algeria, totalmente ostile al Marocco, che ha mostrato il suo sostegno logistico e militare al Polisario, esacerbando un clima di tensione nella regione. Ad oggi le ambasciate funzionano da entrambi le parti ma è evidente che gli scambi commerciali tra i due paesi sono deboli, non oltrepassando la soglia del 2% sul volume globale del commercio estero del Marocco. Una percentuale che mette in luce la penalizzazione in toto dell’economia dei paesi del Maghreb che si traduce in un livello di scambio intermaghrebino pari al 5% del volume totale del commercio estero dei cinque paesi membri dell’UMA. Il non-Maghreb costa circa 2 punti di crescita annuale alle cinque economie interessate.

La costruzione di una struttura regionale permetterebbe di appianare le difficoltà e potrebbe sviluppare un mercato maghrebino per oltre 100 milioni di consumatori potenziali nei cinque paesi membri dell’UMA, un insieme che rafforzerebbe un mercato arabo di libero scambio. Forte di una economia che oltrepassa i 224 miliardi di dollari di PIL, questo gruppo che ha nel suo DNA notevoli risorse naturali ed energetiche, sarebbe in grado, con la posizione ravvicinata dell’UE, di produrre un mercato di 450 milioni di consumatori. Oggi, serve una politica che trascenda le differenze ed operi unita per fare della regione maghrebina uno spazio comune di libertà e di scambio, senza frontiere e senza tensioni. L’UMA, è in grado di costruire una piattaforma dinamica sulla via della creazione di un partenariato euro-africano, concretizzando lo sviluppo del continente africano e promuovendo la sua stabilità. Per il Marocco, la costruzione di un Maghreb arabo, che costituisce oggi una scelta strategica che può rispondere alle aspirazioni dei popoli fratelli della regione, è realizzabile. A condizione che i termini del Trattato di Marrakech, in testa la sovranità e l’integrità territoriale dei paesi membri, siano rispettati da tutti.

Ma l’UMA potrebbe andare oltre la cooperazione economica per comprendere anche la cooperazione a salvaguardia delle libertà fondamentali come la “libertà di manifestare”. A tal proposito deve trovare gli strumenti, non ancora messi in cantiere dall’Unione Europea, affinché vengano progressivamente meno gli eserciti dei diversi stati per una cooperazione di “polizia internazionale” al fine di rispondere al dettato ONU: “Quando sono violati o sono in procinto di esserlo i diritti fondamentali dell’uomo la Comunità Internazionale, anche attraverso le organizzazioni regionali, hanno il diritto dovere d’intervenire per far cessare la palese violazione”. Assistere inermi oggi che truppe genocidarie dei grandi laghi assoldate dal dittatore libico sparino alla folle inermi ci ricorda, a noi europei, il genocidio di Srebrenica. Non possiamo permetterci alcuna guerra civile oltremare. Ne pagheremo le conseguenze.


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