I crack aziendali in Italia sono aumentati per tutte le forme giuridiche, con una crescita più sostenuta tra le società di capitali (+8,6% sul 2010) rispetto alle altre strutture societarie (+4,7%)
Un anno difficile quello appena concluso per l’imprenditoria italiana: nel 2011 sono state 12.094 le aziende fallite, con un incremento del 7,4% rispetto all’anno precedente. Allarmanti anche i dati dell’ultimo trimestre, con 3.500 procedure avviate (+1,9% sul quarto trimestre 2010), che portano il numero complessivo dei fallimenti aperti nell’anno oltre quota 12.000. Ad affermarlo è l’Osservatorio Crisi d’Impresa Cerved Group: “Siamo al livello massimo registrato in un singolo anno da quando è stata riformata la disciplina fallimentare nel 2006. Un dato questo che sebbene non superi in termini assoluti il record toccato nel 2005 (quando prima della riforma potevano accedere alle procedure anche le microimprese) evidenzia ripercussioni più gravi rispetto al passato – commenta Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved -: vista la maggiore dimensione media delle imprese coinvolte nel 2011, i costi in termini di posti di lavoro persi e ricchezza non prodotta sono significativamente maggiori”.
I fallimenti sono aumentati per tutte le categorie giuridiche, con una crescita più sostenuta tra le società di capitali (+8,6% sul 2010), rispetto alle altre, +4,7%. Gli insolvency ratio (Ir), che misurano la frequenza dei default – fallimenti ogni 10.000 imprese operative – indicano che sono proprio le società di capitale a fallire più spesso: l’Ir infatti ha toccato nel 2011 quota 81,5 punti contro i 14,5 delle società di persone e i 5,2 delle altre forme. Le imprese più colpite sono state le piccole e medie aziende con un attivo tra i 2-10 milioni di euro e quelle con un attivo tra i 10-50 milioni, con un insolvency ratio pari a 127,2 punti. Nel 2011 è proseguito l’aumento dei fallimenti nei servizi (+10% rispetto al 2010) e nelle costruzioni (+7,8%). In controtendenza l’industria che, pur rimanendo il macrosettore con la maggiore frequenza di fallimenti (Ir 39,8), ha registrato un’inversione di tendenza rispetto al 2010 (-6,3%). Il risultato è da attribuire soprattutto ai miglioramenti dei settori che negli anni precedenti hanno pagato un conto salato alla crisi: alla meccanica, il cui l’Ir passa da 70,6 punti del 2011 a 60,3 del 2010, alla chimica (da 59,1 a 46,3), al sistema moda (da 54,4 a 46,6), alla siderurgia (da 51,2 a 40,1).
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