giovedì 20 gennaio 2011

IN RUSSIA SI MUORE DI GIORNALISMO

di Carlo Benedetti
MOSCA. L’hanno ucciso di notte a colpi di coltello, lasciandolo nella neve del periferico parco moscovita di Ostankino, tra il boschetto di betulle e il lago della villa dei conti Sceremetiev. Una zona tranquilla, dominata dall’enorme complesso degli studi tv. Roman Nikiforov (25 anni), ha concluso così la bella carriera di giornalista. Era andato a lavorare negli studi televisivi per montare un servizio della sua società di produzione - la “Red Media” una delle più grandi della Russia - così come faceva regolarmente ogni giorno. Al momento le indagini si limitano alla ricostruzione della dinamica del delitto. Non si hanno notizie di testimoni e la polizia - come dichiara la portavoce dei servizi di sicurezza, Viktorja Zyplenkova - mantiene un assoluto riserbo

Si fanno comunque varie ipotesi. Tra queste c’é il fatto che il gruppo privato “Red Media” in questi ultimi tempi, estendendo notevolmente il raggio delle sue attività (“Interesnoje tv”, “Kuknia tv”, “Tv boulevard”, “355dnej tv”, “Avtoplus tv”, “India tv”, “Komedja tv”), è divenuta una holding capace di monopolizzare l’arco televisivo della Russia. La compagnia, infatti, è specializzata nella creazione e vendita di format di “basso” contenuto per televisioni satellitari e via cavo. All'attivo dell'azienda finora ci sono tredici progetti che vanno dai canali specializzati in cinema indiano alla creazione del primo canale erotico russo. Entrano quindi in gioco anche questioni di pubblicità e di concorrenza diretta con le reti pubbliche.

Un fatto è comunque certo: nella capitale russa la professione di giornalista sta divenendo sempre più rischiosa. E non è un caso se la memoria collettiva torna all’uccisione di Anna Politovskaja e a tutte le relazioni politiche connesse a quel caso, tra l’altro segnato ancora da tinte nere. Si può quindi dire che giornalisti e informazione sono veramente al livello di guardia.

E proprio un fatto dei giorni scorsi aveva contribuito ad alzare l’allarme. Quando cioè un corrispondente russo del quotidiano Kommersant (un quotidiano che non teme di riferire sulle lotte di potere al Cremlino) era stato aggredito da alcuni sconosciuti, bastonato a sangue e mandato in ospedale. Il giornalista - Oleg Kashin - a quanto sembra si era occupato di alcune manifestazioni svoltesi a Mosca e tutte di segno contrario a Putin.

Commentando l’avvenuto il direttore del Kommersant, Michail Michailin, non aveva avuto dubbi nel sostenere che “gli aggressori non amano quello che si dice e si scrive”. Tra l’altro Kashin si era occupato anche di una nota vicenda relativa ad interessi economici legati ad un progetto di costruzione di una arteria che dovrebbe distruggere uno dei maggiori boschi di Kimki, quello che circonda Mosca.

E c’è, sempre in merito a quest’ultima aggressione, anche il caso di Mikhail Beketov, un giornalista aggredito due anni fa, che si occupava del sistema di appalti e corruzione legati sempre alla costruzione dell’arteria. A lungo in coma, ora vive da invalido su una carrozzella: citato in giudizio per diffamazione dal sindaco di Kimki, Beketov è stato condannato a una multa di 5mila rubli.

Intanto in tutta la Russia si segnalano manifestazioni di protesta e conferenze sul tema della libertà di stampa. Il Cremlino di Putin e Medvedev, in un certo senso, si sente assediato da questa campagna che va assumendo sempre più un carattere politico e sociale. E così nella capitale si comincia a scendere in piazza nonostante l’ondata di freddo che non accenna a diminuire.

Un gruppo di giornalisti e blogger si sono radunati davanti al quartier generale della polizia dando vita a una manifestazione spontanea nata da un tam-tam per chiedere che sia condotta un'accurata inchiesta per trovare esecutori e mandanti dell’uccisione del redattore di “Red media” e dell’aggressione del giornalista di “Kommersant”.

Nascono intanto le statistiche di questa escalation del terrore contro la stampa. Risulta che sono almeno 35 i giornalisti assassinati tra il 2000 e il 2009 e l'International Press Institute mette il Paese al quinto posto tra i più pericolosi per i giornalisti, dopo Iraq, Filippine, Colombia e Messico. Si può proprio dire che in Russia la stampa si sta tingendo sempre più di giallo. E di rosso sangue.

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