giovedì 27 gennaio 2011

L’AMICO AMERICANO CHE VUOLE LA ROMA

Una finanziaria di Boston tratta con Unicredit che resterà comunque creditrice della squadra

tifosi compulsano Internet da giorni per cercare di capire chi sia questo Thomas Richard Di Benedetto che starebbe per comprarsi l’AS Roma. Ma sul finanziere americano con cui sta trattando Unicredit, banca creditrice che ha assunto il controllo della squadra, le informazioni sono praticamente zero. Di Benedetto non esiste nelle banche dati, negli archivi dei giornali americani, nel sito dei Red Sox (baseball) si trova un Tom Di Benedetto, ma è il figlio che gioca nel team di Boston

La spiegazione, però, c’è. Di Benedetto, dalle scarne informazioni che circolano in queste ore, dovrebbe essere il delegato alle trattative della New England Sports Ventures, una finanziaria specializzata negli investimenti nel settore dello sport. E, tra l’altro, la Nesv controlla appunto i Red Sox ed è al centro di un contenzioso che riguarda il Liverpool (la squadra di calcio inglese) di cui ha acquisito il controllo ma poi la questione è finita in tribunale in Texas. E l’uomo forte della Nesv non è Di Benedetto, ma un certo John W. Henry, che ha gestito direttamente i Red Sox ora affidati a Larry Lucchino, indicato come uno dei soci della Nesv nell’operazione Roma. I tifosi possono stare tranquilli e magari sognare nuovi colpi di mercato a breve, come azionista finalmente solido e capace di rinforzare l’organico? O invece tutto finirà con una svendita dei pochi gioielli rimasti alla squadra capitolina, da Daniele De Rossi a Jeremy Menez? Troppo presto per dirlo, anche se le premesse non sono molto incoraggianti. 

C’è tempo fino a fine mese per presentare le offerte vincolanti, quindi niente è deciso. E acquirenti come la famiglia Angelucci ancora non sono fuori gioco (anche se pare che non siano molto propensi a spendere cifre rilevanti).   

Dal punto di vista di Unicredit, l’operazione si concluderà ad avere un credito (o esposizione, che suona più minaccioso) di circa 150 milioni di euro. Funzionerà più o meno così: Unicredit venderebbe agli americani i tre quarti della quota che detiene della Roma (il 67 per cento), in modo che questi abbiano poco più della quota di controllo. Il tutto a un prezzo di 115 milioni. Soldi che entrano nelle casse della banca guidata da Federico Ghizzoni ma che subito riescono: Unicredit finanzierà infatti l’offerta pubblica d’acquisto obbligatoria (perché la Roma è quotata in Borsa) e il successivo aumento di capitale da circa 40 milioni. Risultato finale: alla fine Unicredit sarà sempre esposta per 150 milioni, ma non più verso la scatola societaria che controlla oggi la squadra ma nei confronti degli investitori americani. Cosa che fa un po’ storcere il naso agli imprenditori romani che hanno coltivato in questi mesi il progetto di prendersi la squadra di Francesco Totti (e il lucroso business dei gadget, che sarà ancora più redditizio se si concretizzeranno i piani per un nuovo stadio) ma che si sono dovuti arrendere per carenza di denaro contante.  

La Nesv di Henry e Di Benedetto sarà un creditore più affidabile della famiglia Sensi, per Unicredit? Anche questo è difficile da stabilire, visto che l’unica informazione disponibile sulla sua storia recente è che la New York Times Company (che edita il quotidiano) vi aveva investito ma poi ha venduto ad aprile il suo 1,18 per cento a un prezzo rimasto segreto. Probabilmente lo scopo del viaggio di ieri negli Usa dei due dirigenti di Unicredit Piergiorgio Peluso e Paolo Fiorentino è proprio capire quanto ci si può fidare, prima di prendere una decisione definitiva.  

di Stefano Feltri

Dal Fatto Quotidiano del 27 gennaio 2011

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