martedì 25 gennaio 2011

PICCOLE MINACCE CRESCONO, SILENZI E IMPEGNI PER I GIORNALISTI ‘INVISIBILI’

di Alberto Spampinato

Tranne rare e lodevoli eccezioni, è ostinato il silenzio dei giornali e dei notiziari televisivi italiani sulle questioni sociali più drammatiche. Disoccupazione. Chiusura di fabbriche. Riduzione dei bilanci familiari. Ridimensionamento di storici diritti, come quello allo studio e allo sciopero. Gravi inefficienze dei pubblici servizi… Chi è colpito da questi drammi e vuole far risuonare la sua voce nei media deve salire sulle gru o sui tetti, deve mettere in precario equilibrio la propria vita, se vuole riuscire ad attirare un po’ di attenzione, conquistare qualche centimetro quadrato di carta stampata o qualche minuto secondo di cronaca tv sottraendola all’aggiornamento permanente, angoscioso quanto inutile e ossessivo, che giunge da Avetrana o da Brembate di Sopra anche quando non c’è nessuna novità, nessun barlume di notizia da comunicare. Così vanno le cose, ed è triste. Accade, anche per le vicende dei giornalisti italiani che continuino a essere aggrediti, intimiditi, censurati. Sono ormai centinaia, ma nessuno (o quasi) ne parla. E ci sarebbe che dire.

Prendete, ad esempio, il caso del giornalista di Televideo Nello Rega, di cui ci siamo già occupati. Dopo che gli hanno sparato, gli hanno dato finalmente una scorta, sia pure di quarto livello, e ce ne siamo compiaciuti. Ma poi è stato nuovamente minacciato di morte. Pochi ne hanno parlato. Pochi l’hanno saputo. Pochi hanno preso a cuore la vicenda. Fra le eccezioni, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha ricevuto Nello Rega al Quirinale, gli ha espresso solidarietà e si è informato personalmente della sua situazione. Grazie, presidente.

Prendete l’attore e consigliere regionale lombardo Giulio Cavalli, autore di rappresentazioni teatrali che hanno messo alla berlina i mafiosi e che da due anni vive 24 ore su 24 sotto protezione. Pochi sanno che l’Ufficio Centrale Scorte della Criminalpol ha deciso di togliergli la scorta. Giulio che, quasi si vergogna di procurare tanto disturbo alla pubblica sicurezza, vuole che la questione sia decisa in sede tecnica. Lo ha chiesto per evitare polemiche e strumentalizzazioni politiche.

Vi pare giusto, che non si parli di queste cose sui giornali, nel dibattito pubblico, mentre si moltiplicano minacce, intimidazioni, imbavagliamenti dell’informazione critica, del giornalismo investigativo (o, come si diceva una volta, di inchiesta) attraverso la violenza, l’abuso di strumenti di indagine, o altre forzature legali come le querele facili e le richieste di risarcimento in denaro?

Prendete il caso del giornalista lucano Fabio Amendolara. Ne avete mai sentito parlare? Il 12 gennaio è stato rinviato a giudizio per diffamazione, insieme al direttore del Quotidiano della Basilicata, Paride Leporace, per un pepato commento di due anni fa alla relazione del procuratore generale di Potenza, Vincenzo Tufano, all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2008. Fabio ha criticato il taglio della relazione, ed anche l’autore. Sostiene che il magistrato ha taciuto alcune doverose considerazioni, e in passato ha osteggiato alcuni magistrati perbene del suo distretto, lasciando lavorare in pace, viceversa, altri che si sarebbero distinti come insabbiatori.

Non sappiamo quanto siano fondate queste accuse, ma ci sembra legittimo e doveroso che un giornalista non si limo. iti a riportare qualche frase fra virgolette. Qui si tratta di stabilire se il giornalista ha offeso la reputazione del Procuratore Generale. Sarà un altro giudice a stabilirlo. E’ legittimo difendersi, ma non bisogna mai abusare del diritto di difendersi. In particolare, pubblici funzionari, amministratori e rappresentati pubblici, dovrebbero ricorrere alla querela solo in casi estremi. Non dovrebbero essere permalosi. Dovrebbero mettere nel conto che la loro qualità pubblica li espone alle critiche dei cittadini e, ancor più, di chi per lavoro deve informare l’opinione pubblica. Di fronte alle critiche, si dovrebbero dare risposte nel merito, chiedere precisazioni,rettifiche, smentite. Insomma, chiarire e solo in casi estremi ricorrere al lodo del giudice. Invece , nel nostro Paese molti personaggi pubblici hanno la querela facile, considerano le critiche alla stregua di attacchi inammissibili, di offese che si devono lavare con punizioni esemplari e dolorose, per togliere il vizio al diretto antagonista e intimidire altri giornalisti.

Fabio Amendolara evidentemente merita una lezione esemplare. Perché non si limita a riferire le “veline”, a riprodurre il contenuto dei comunicati stampa. Perché si ostina ad avere delle opinioni, a guardarsi intorno, e a giudicare i fatti con la sua testa. Un modo di fare che, nel nostro conformista paese, provoca dei guai. Tant’è vero che quattro giorni prima del rinvio a giudizio per diffamazione, la scrivania di Fabio Amendolara, alla Gazzetta del Mezzogiorno (nel frattempo ha cambiato giornale), la sua automobile e la sua abitazione di Potenza sono stati perquisiti con estremo scrupolo e lui è stato prelevato ed interrogato in Questura per cinque ore. Un trattamento che i suoi colleghi giornalisti definiscono degno di un grande criminale. Cos’altro aveva combinato? In alcuni articoli aveva rivelato alcune circostanze segrete, evidentemente ignote anche agli inquirenti, su Danilo Restivo, l’unico indagato per l’omicidio di Elisa Claps, la studentessa potentina misteriosamente sparita nel 1993 e ritrovata cadavere, il 17 marzo 2010, nella chiesa della Santissima Trinitá di Potenza. A casa di Fabio, la Procura di Salerno cercava le prove di quelle rivelazioni e voleva che il cronista rivelasse la fonte delle sue informazioni. Insomma, come nel caso di Paolo Cucchiarelli e del suo intrigante “Il segreto di Piazza Fontana”, di cui abbiamo già parlato in questa rubrica.

Accadono queste e altre cose, nel nostro paese. E non c’è mai verso di parlarne, presi come siamo da ciò che accade a Cogne, ad Erba, ora ad Avetrana o a Brembate. Si spreca spazio e tempo per cronache vuote su queste vicende, e non si parla dei guai del vero giornalismo di cronaca, non si parla di questi casi, di Rega, di Amendolara, o dell’altro caso, ancor più paradossale, del giornalista Renzo Magosso, condannato fino in Cassazione per una vicenda simile.

Non si parla di queste cose, in tv e sui giornali, ma cresce la consapevolezza che esistono molti bavagli. Tant’è vero che se n’è parlato anche al Quirinale, dove il presidente Napolitano venerdì 21 gennaio ha riunito il mondo del giornalismo per l’annuale “Giornata dell’Informazione. “Il numero dei giornalisti italiani minacciati è incredibilmente aumentato negli ultimi anni”, ha detto il presidente dell’Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, citando i dati dell’osservatorio Ossigeno per l’Informazione. Se n’è parlato anche a Bergamo, al congresso della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, il sindacato dei giornalisti. II segretario della FNSI, Franco Siddi , rieletto dal congresso, ha citato i dati di Ossigeno e ha detto che bisogna difendere di più e meglio i giornalisti minacciata dalla mafia e da chiunque altro. “Quando un giornalista è in pericolo – ha affermato – ce ne deve essere immediatamente un altro che si mette al suo fianco per proteggerlo e non farlo sentire solo. A fianco di ogni minacciato ci deve essere tutto il sindacato dei giornalisti. Il sindacato esiste proprio per non far sentire solo nessuno”. Anch’io ho parlato al congresso. Quando ho ricordato i nomi dei giornalisti italiani uccisi e le centinaia di giornalisti minacciati e resi invisibili, tutto il congresso si è commosso, si è alzato in piedi e ha tributato un grande applauso. Nessuna cronaca lo ha riferito, ma è stato un buon segno.

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