venerdì 2 dicembre 2011

CENSIS. 45° RAPPORTO ANNUALE DELLA SITUAZIONE SOCIALE DEL PAESE

In Italia l’11,2% dei giovani di 15-24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra 25 e 29 anni, non è interessato né a lavorare né a studiare, mentre la media europea è pari rispettivamente al 3,4% e all’8,5%.

Il futuro incerto della ripresa occupazionale. La frenata della crisi nel 2010 (bruciati 153.000 posti di lavoro, contro i 380.000 del 2009) e i dati positivi per il 2011 (+0,4% gli occupati nel primo semestre) fanno sperare in una chiusura d’anno con segno positivo. Viene meno la capacità di tenuta dell’occupazione a tempo indeterminato. Dopo due anni di tendenziale stabilità, si riduce dell’1,3% nel 2010 e dello 0,1% nel primo semestre del 2011. Si segnala però una crescita significativa del lavoro a termine (+1,4% nel 2010 e +5,5% nei primi sei mesi del 2011) e del lavoro autonomo (dopo cinque anni di contrazione, nel 2010 c’è una prima tiepida crescita: +0,2%). La crisi ha colpito il mercato del lavoro in modo molto differenziato. Tra il 2007 e il 2010 è aumentata l’occupazione straniera (quasi 580.000 lavoratori in più, di cui circa 200.000 nell’ultimo anno, con un incremento complessivo del 38,5%), mentre quella italiana ha registrato la perdita di 928.000 posti di lavoro (-4,3%), di cui 335.000 nell’ultimo anno. I più colpiti sono stati i giovani. Tra il 2007 e il 2010 il numero degli occupati è diminuito di 980.000 unità, e tra i soli italiani le perdite sono state oltre 1.160.000. Di contro, nelle generazioni più mature i livelli occupazionali non solo sono stati salvaguardati, ma sono addirittura aumentati: +7,2% l’occupazione tra i 45-54enni e +12,9% tra i 55-64enni.

Il doppio binario della sostituzione nel lavoro manuale. Mentre il mercato è sempre più incapace di garantire sbocchi professionali, i mestieri manuali sembrano non conoscere crisi. Terreno d’occupazione per 8.383.000 lavoratori (il 36% del totale degli occupati), anche nel 2011 sono stati i più richiesti. A fronte di quasi 600.000 assunzioni previste dalle aziende, ben 264.000 (il 44,4%) hanno interessato lavori di tipo manuale: artigiani e operai specializzati (20,3%), operai conduttori di macchine e impianti (11,7%), mestieri non specializzati (12,4%). Lavoratori in campo edile (per il 2011 sono previste circa 57.000 assunzioni, il 9,6% del totale), addetti alle pulizie (44.000), meccanici e montatori (17.000), magazzinieri (11.000): sono queste le professioni più ricercate dalle aziende, per le quali tuttavia le imprese lamentano difficoltà di reperimento, visto che sarebbero circa 50.000 (il 19% del totale) le posizioni di lavoro considerate di difficile copertura. È così che negli anni è avvenuto un vero e proprio processo di sostituzione tra italiani e stranieri in molte professioni manuali. Tra il 2005 e il 2010, a fronte di un crollo dei lavoratori italiani occupati in professioni manuali (-842.000, -11%), si registra un aumento praticamente identico dei lavoratori stranieri (+725.000, +83,8%), la cui incidenza passa dal 10,2% al 19% del totale.

Giovani al centro della crisi. In Italia l’11,2% dei giovani di 15-24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra 25 e 29 anni, non è interessato né a lavorare né a studiare, mentre la media europea è pari rispettivamente al 3,4% e all’8,5%. Di contro, da noi risulta decisamente più bassa la percentuale di quanti lavorano: il 20,5% tra i 15-24enni (la media Ue è del 34,1%) e il 58,8% tra i 25-29enni (la media Ue è del 72,2%). A ciò si aggiunga che tra le nuove generazioni sta progressivamente perdendo appeal una delle figure centrali del nostro tessuto economico, quella dell’imprenditore. Solo il 32,5% dei giovani di 15-35 anni dichiara di voler mettere su un’attività in proprio, meno che in Spagna (56,3%), Francia (48,4%), Regno Unito (46,5%) e Germania (35,2%).

Il ciclo inverso del sommerso. A partire dal 2008, a fronte di un calo generalizzato dell’occupazione regolare (-4,1%), quella informale è aumentata dello 0,6%, portando il lavoro sommerso al 12,3% del totale nel 2010 (era l’11,6% nel 2003). Tra il 2008 e il 2010 nell’industria (settore che ha registrato le maggiori perdite occupazionali) c’è stata una contrazione del 10,5% del lavoro regolare e una crescita di quello sommerso del 5,5%. Il livello di irregolarità è passato dal 17,9% al 18,7% nel settore del commercio, delle riparazioni e del turismo, e dall’8,8% al 9,6% nei servizi immobiliari e avanzati alle imprese.

La mobilità che non c’è, questione di cultura e non di regole. I giovani sono oggi i lavoratori su cui grava di più il costo della mobilità in uscita. Nel 2010, su 100 licenziamenti che hanno determinato una condizione di inoccupazione, 38 hanno riguardato giovani con meno di 35 anni e 30 soggetti con 35-44 anni. Solo in 32 casi si è trattato di persone con 45 anni o più. L’Italia presenta un tasso di anzianità aziendale ben superiore a quello dei principali Paesi europei. Lavora nella stessa azienda da più di dieci anni il 50,7% dei lavoratori italiani, il 44,6% dei tedeschi, il 43,3% dei francesi, il 34,5% degli spagnoli e il 32,3% degli inglesi. Tuttavia, solo il 23,4% dei giovani risulta disponibile a trasferirsi in altre regioni o all’estero per trovare lavoro.

Orari e clima di lavoro in tempo di crisi. Nell’ultimo triennio i tempi di lavoro si sono sempre più ridotti, passando dalle 40 ore settimanali del 2007 alle 39 del 2010. È cresciuto significativamente anche il ricorso al part time, aumentato nello stesso arco di tempo dell’8,7%, portando l’incidenza di questa formula occupazionale dal 13,6% del 2007 al 15% del 2010. A crescere è stata soprattutto la quota di part time involontario: la maggioranza (il 49,3%) è costretta a lavorare part time perché non trova un lavoro full time, mentre solo per il 40,2% si tratta di una scelta volontaria.

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