sabato 17 dicembre 2011

XENOFOBIA MADE IN USA

di Michele Paris
Con una mossa a sorpresa, alcuni giorni orsono la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso di intervenire nella disputa legale relativa alla discussa legge sull’immigrazione approvata l’anno scorso dallo stato dell’Arizona. Il parere del supremo tribunale USA su questa legge profondamente anti-democratica influirà non solo sulla campagna elettorale per le presidenziali del 2012 ma anche e soprattutto sull’interpretazione dei rapporti tra gli stati e il governo federale, con conseguenze potenzialmente rovinose per tutti i cittadini americani.

La famigerata legge adottata dall’assemblea statale dell’Arizona nell’aprile del 2010 (Arizona Senate Bill 1070) conteneva disposizioni gravemente lesive dei diritti civili ed era giunta nel pieno di un’ondata xenofoba alimentata da ambienti di estrema destra come i Tea Party, in quel momento al centro dell’attenzione di quasi tutti i principali media d’oltreoceano.

Tra i punti più controversi della legge c’era la facoltà assegnata alle forze di polizia locali di fermare chiunque fosse sospettato di essere un immigrato illegale per verificare la regolarità dei documenti in suo possesso. L’attenzione delle autorità avrebbe potuto essere rivolta verso qualsiasi individuo che avesse sollevato un “ragionevole dubbio” sul proprio status di immigrato irregolare, dando di fatto il via libera a perquisizioni e arresti arbitrari. Inoltre, la stessa legge trasformava in reato anche solo la ricerca d’impiego da parte di un immigrato senza documenti, così come la fornitura di assistenza e protezione agli irregolari.

La legislazione approvata in Arizona ha successivamente ispirato una serie di iniziative simili in altri stati - tutti amministrati dai repubblicani, come Alabama, Carolina del Sud, Georgia, Indiana e Utah - con le quali si cerca in tutti i modi di discriminare gli immigrati, escludendoli dall’accesso alla casa, al lavoro e all’educazione.

Contro la legge SB 1070 dell’Arizona, nel luglio dello scorso anno l’amministrazione Obama aveva intentato un’azione legale presso il circuito federale. La mossa della Casa Bianca non era dettata in realtà dalla natura anti-democratica del provvedimento, come dimostrano gli 1,2 milioni di lavoratori immigrati deportati in questi ultimi tre anni contro poco più di un milione e mezzo durante gli otto anni dell’amministrazione Bush. A motivare Obama è stato bensì il principio costituzionale per cui la facoltà di regolare le questioni relative all’immigrazione spetta esclusivamente all’autorità federale e non ai singoli stati.  

Su queste basi, ad aprile di quest’anno, la Corte d’Appello federale per il Nono Circuito, con sede a San Francisco e giurisdizione sull’Arizona, ha così cancellato alcune delle più odiose disposizioni della legge in questione. Su questa sentenza la Corte Suprema ha però deciso ora di dare la propria opinione che, alla luce della composizione del tribunale e dei precedenti più recenti, con ogni probabilità determinerà il ripristino della legge dell’Arizona nella sua sostanziale integrità.

Significativamente, la decisione di rivedere il verdetto della Corte d’Appello federale è stata presa di propria iniziativa dalla Corte Suprema, contro il parere della stessa amministrazione Obama che chiedeva invece di lasciare inalterata la sentenza che ha bloccato la legge. La sola scelta di intervenire sulla questione sembra perciò prefigurare la posizione della maggioranza all’interno della Corte Suprema. Per questo, le reazioni della destra americana sono state a dir poco euforiche, a cominciare dalla governatrice dell’Arizona, Jan Brewer, che aveva firmato la legge nella primavera del 2010.

A far prevedere un esito favorevole ai sostenitori della legge anti-immigrazione è stata anche la decisione di ricusare se stessa presa da Elena Kagan. Quest’ultima, scelta per far parte della Corte Suprema l’anno scorso da Obama e di orientamento moderatamente progressista, prima della sua nomina aveva infatti lavorato per la Casa Bianca, ora coinvolta nel procedimento legale. Il venir meno del suo voto rende ancora più confortevole il margine del blocco conservatore all’interno della Corte.

Sulla questione dell’immigrazione, oltretutto, nel maggio scorso la Corte Suprema aveva già emesso un verdetto favorevole ad un’altra legge dello stato dell’Arizona, secondo la quale possono essere inflitte pesanti sanzioni a quelle aziende che danno impiego agli immigrati irregolari.

La decisione di intervenire sulla legge SB 1070 dell’Arizona conferma ancora una volta il netto spostamento a destra del tribunale costituzionale americano in questi anni e una chiara volontà di condizionare il dibattito politico nel paese promuovendo un’agenda di stampo reazionario. A conferma di ciò, solo nel corso di questo anno giudiziario, sono attese altre importanti decisioni da parte della Corte Suprema, alcune delle quali giungeranno nel vivo della campagna elettorale 2012.

I nove giudici si esprimeranno ad esempio su questioni che potrebbero avere conseguenze sul futuro del sistema sanitario e sull’assegnazione di una manciata di seggi al Congresso. Nel primo caso la Corte dovrà decidere la costituzionalità dell’obbligo di acquisto di una polizza assicurativa da parte di tutti gli americani, come previsto dalla riforma sanitaria di Obama. Nel secondo è da stabilire la legittimità di una mappa imposta da un tribunale federale del Texas che ha ridisegnato i confini di alcuni distretti elettorali in questo stato dopo che il Parlamento locale a maggioranza repubblicana aveva approvato un proprio piano sfavorevole ai candidati democratici.      

È la decisione sulla legge dell’Arizona, tuttavia, che sembra avere le implicazioni più profonde, tali addirittura da incidere sull’assetto istituzionale americano. Secondo la costituzione USA, è il Congresso federale ad avere la facoltà esclusiva di “stabilire una legge uniforme sulla naturalizzazione”.

Un dettato questo che ha influito sui precedenti verdetti della Corte Suprema in materia d’immigrazione e che ha dunque tradizionalmente escluso per i singoli stati la possibilità di approvare proprie leggi in questo ambito. La decisione che si attende dalla Corte rischia invece di ribaltare completamente questo punto di vista, facendo sentire i propri effetti ben al di là della legge partorita dai repubblicani in Arizona.

Come hanno fatto notare alcuni commentatori, la disputa fra gli stati e il governo/congresso federale riporta alla mente i tentativi delle assemblee statali di bloccare l’applicazione della legislazione sui diritti civili degli anni Sessanta. Proprio queste e altre leggi progressiste adottate negli USA - riguardanti non solo la discriminazione razziale, ma anche questioni come il lavoro minorile, il salario minimo o, appunto, il rispetto dei diritti degli immigrati - potrebbero essere a rischio se la Corte Suprema dovesse fissare un nuovo principio che assegna maggiore autonomia decisionale ai singoli stati in questi campi.

Un’evoluzione pericolosa quella che si prospetta e che metterebbe ancor più a rischio diritti democratici fondamentali conquistati con grande fatica e di cui beneficiano non solo gli immigrati senza documenti, ma tutti i cittadini degli Stati Uniti d’America.

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