martedì 11 gennaio 2011

HAITI, L'AUTODETERMINAZIONE NEGATA

Se esiste un Paese nella storia dell’Umanità che è stato terrorizzato dalla cruda brutalità e la logica ipocrita della modernità, questa è Haiti. Si potrebbe supporre che la Rivoluzione Haitiana nel 1804 fosse considerata come un momento cruciale che aiutò a dar forma alle idee di libertà, uguaglianza e giustizia. Però non fu così. Haiti è stata vittima della storia e dell’ipocrisia a partire dalla sua indipendenza nel 1804. Questa piccola nazione che ha lottato per la libertà, la dignità e la giustizia ha trovato come risposta un incubo dantesco di schiavitù, genocidio, razzismo, isolamento, oppressione estrema e terrorismo economico, esercitato in nome della civilizzazione moderna e che è continuato nei 500 anni che sono seguiti allo sbarco di Cristoforo Colombo nell’isola. La crisi recente intorno alle elezioni ad Haiti del 28 Novembre deve essere intesa come un’estensione del appoggio internazionale al discredito del diritto del popolo haitiano all’autodeterminazione.

Durante il XVIII secolo, Haiti, allora conosciuto come Saint Domingue, divenne il più importante possesso coloniale della Francia. Per metà di questo secolo, Saint Domingue si è convertito nella colonia economicamente più lucrativa del mondo, producendo più ricchezza che le 13 colonie che dopo avrebbero costituito gli Stati Uniti d’America. Questa relazione di sfruttamento continuò fino al 1791, quando iniziò una rivolta degli schiavi guidati da Toussaint l’Ouverture. Questa guerra di tredici anni portò Haiti a convertirsi nel secondo Paese indipendente nell’emisfero e la prima repubblica nera nel mondo.

In cambio del riconoscimento diplomatico dopo 21 anni di isolamento, Haiti accettò di contrattare il prestito di una banca francese per pagare l’indennizzo ai proprietari delle piantagioni francesi per la perdita delle loro proprietà – che includeva gli schiavi liberati. In pratica Haiti dovette pagare due volte per la sua libertà: prima col sangue e poi con il denaro. La somma dei debiti arrivò a 150.000.000 franchi. Oggi questa quantità corrisponderebbe a 21 mila milioni di dollari. Non si è mai menzionato il fatto che si trattasse di terre e di un popolo che inizialmente erano state rubate. 

Intervento statunitense

Come se il blocco economico imposto dalla comunità internazionale non fosse sufficiente, Haiti passò ad essere il principale banco d’intervento degli Stati Uniti nel XX secolo. Gli USA erano decisi ad assicurarsi che l’economia haitiana implementasse la propria. Haiti avrebbe dovuto dedicarsi all’agricoltura da esportazione, con la produzione di caffè, zucchero, cotone e tabacco per il consumo statunitense. L’invasione degli Stati Uniti del 1915 è tornata a impiantare la schiavitù ad Haiti in tutto e per tutto tranne che nel nome, e ha permesso di riscrivere la Costituzione haitiana del 1804 come via libera alle corporazioni statunitensi.

Haiti può essere considerato il primo paese che scappò dal colonialismo attraverso una rivoluzione, ma si è convertito anche nel primo Paese del “terzo mondo” nel senso tradizionale, essendo povero e oppresso dai debiti. Il governo haitiano non ha potuto costruire scuole, ospedali né strade, poiché quasi tutto il denaro disponibile era destinato a pagare la Francia. Nel 1915, per esempio, l’80% delle entrate statali era destinato all’estinzione del debito. Haiti ha terminato di pagare i prestiti che finanziavano il debito nel 1947. Più di un secolo dopo che la tratta mondiale degli schiavi era stata condannata ed eliminata, gli haitiani continuavano a pagare i padroni dei propri antenati per la loro libertà.

Siccome Haiti si trovava in una situazione finanziaria disperata dovuta al ricatto economico, gli USA la vedevano come un punto di conflitto nel pericolo potenziale della “sovversione comunista”. Sotto la dittatura di Duvalier (1957 – 1986) si vendettero all’asta importanti beni pubblici a Citibank e alla Corporazione Haitiana d’America, per somme irrisorie, includendo le ferrovie, i servizi pubblici e la Banca Nazionale di Haiti. Quando Jean Claude Duvalier fu obbligato a esiliare nel 1986 e atterrò nella Costa Azzurra francese, aveva con sé, secondo alcuni rapporti, un materasso del valore di 1,6 mila milioni di dollari.

Fu nel segno di questi debiti e del nuovo ordine economico mondiale, quando si scatenò una lotta contro le ingiustizie incombenti del FMI, la Banca Mondiale e gli USA, che un sacerdote cattolico chiamato Jean Bertrand Aristide arrivò a convertirsi, nel 1991, nel primo presidente di Haiti eletto democraticamente. L’appoggio popolare ad Aristide da parte dei poveri di Haiti portò alla sua vittoria schiacciante contro Fanmi Lavalas, con il 67% dei voti.

Aristide invocò una chiamata per la riparazione del debito odioso di 21 mila milioni di dollari pagato alla Francia e si oppose a nuove ondate di privatizzazione dell’economia haitiana. Queste imposizioni non piacquero agli USA né alla Francia, fatto che sfociò in un colpo di Stato nel 1991. Grazie alla pressione internazionale e interna, Aristide fu collocato di nuovo al potere durante l’amministrazione Clinton, ma non gli si permise di completare il suo mandato di sei anni, né di presentarsi per la rielezione alla successiva tornata. Nel 2000, Aristide fu eletto ancora una volta con il 91,8% dei voti.

Invece di canalizzare l’aiuto allo Stato, il finanziamento si disperse nelle ONG anti-Aristide e ad organizzazioni impresariali come il Gruppo dei 184 che operavano nella società civile haitiana. Gran parte del denaro fu destinato a finanziare le milizie anti-Aristide – conosciute come “gruppo di miglioramento della democrazia” -, che avrebbero sostituito l’esercito haitiano come uno strumento dei ricchi. Nel febbraio del 2004, Aristide fu abbattuto nuovamente da forze sguinzagliate dagli USA, Francia e Canada e mandato in esilio. Il Paese era maturo ancora una volta perché il raccolto andasse alle corporazioni statunitensi.

Secondo Peter Hallward, “il periodo che iniziò con il colpo militare del settembre 1991 si può descrivere come uno dei periodi più prolungati e intensi della controrivoluzione in qualsiasi parte del mondo. Negli ultimi 20 anni, gli interessi politici ed economici più importanti all’interno e all’esterno di Haiti hanno portato a termine una campagna sistematica destinata a reprimere il movimento popolare e privarlo delle sue principali armi, risorse e leader”. 

Un collasso costruito

Il terremoto devastante del 12 gennaio 2010 e le sue conseguenze tragiche si sono convertite nello sfondo di scuse per coprire le irregolarità costruite dalla recente elezione. Le elezioni del 28 novembre sono il passaggio più recente nell’intenzione della comunità internazionale per reprimere le domande di autodeterminazione del popolo haitiano. A Fanmi Lavalas, che grosso modo è il partito politico più popolare del paese, gli è stato proibito di partecipare a tutte le elezioni dalla sconfitta di Aristide nel 2004. L’esclusione di Lavalas continuò nelle elezioni del 28 novembre, sulla base del non raggiungimento di tecnicismi inventati all’ultimo minuto dal controverso Consiglio Elettorale Provvisionale di Haiti – istanza fortemente influenzata dall’attuale presidente René Preval. Fanmi Lavalas e altri 14 partiti politici sono stati esclusi dalla partecipazione alle elezioni del 28 novembre, senza alcun tipo di argomentazione trasparenti.

Omettendo gli informativi delle organizzazioni della società civile, sia nazionali che internazionali, che mettono in luce le irregolarità delle elezioni del 28 novembre, la comunità internazionale ha continuato con il suo sostegno e finanziamento al processo. Già a giugno, l’Istituto per la Giustizia e la Democrazia ad Haiti ha pubblicato un ampio informativo intitolato The international Community Should Pressare the Haitian Government for free and Fair Elections, tuttavia, la comunità internazionale non ha prestato attenzione alle avvertenze di convulsione politica che risulterebbero dal suo appoggio a un processo elettorale molto carente.

La tesi è semplice. Ci sono più di $10 mila milioni in contratti di ricostruzione, una quantità troppo grande per essere affidata a qualsiasi candidato indipendente, o – Dio non voglia! – a un progressista che potrebbe destinare il denaro alla costruzione di servizi pubblici e le infrastrutture necessarie perché servano al popolo haitiano. Ciò che la comunità internazionale richiede da queste elezioni è un Presidente che faccia buon viso a qualsiasi progetto di sviluppo che risponda ai propri interessi. Un articolo del Washington Post intitolato “Would be Haitian Contractors Miss out on Aid” dimostra una volta di più la natura dell’interesse dell’aiuto ad Haiti, di ogni 100$ di contratti degli USA, solo 1,60$ finisce in mano di contrattisti haitiani.

Sarebbe importante evitare una maggiore “ONGizzazione” del Paese e allentare lo sviluppo delle istituzioni pubbliche che servono ai più poveri e vulnerabili. La salute pubblica, l’educazione e i sistemi idrici devono essere le priorità di qualsiasi sforzo di ricostruzione; tuttavia i piani sbozzati dal Comitato Interno di Ricostruzione di Haiti (IHRC), presieduto da Bill Clinton, contemplano semplicemente più delle stesse politiche fallite che hanno devastato Haiti. La IHRC punta a implementare politiche che convertirebbero Haiti in un protettorato di schiavitù offshore per le corporazioni statunitensi di produzione di abbigliamento.

Il collasso di Haiti, sistematicamente costruito attraverso l’azione economica e politica, offre un esempio rivelatore di come il potere modella le relazioni a beneficio della parte più forte, attraverso condizionalità, come quella dell’intervento militare. Haiti costituisce un esempio devastante di ciò che non va bene nel sistema economico attuale. Ha pagato il prezzo un’altra volta, semplicemente perché la sua gente pretende il suo diritto all’autodeterminazione: che sia attraverso la ribellione contro la schiavitù e il colonialismo o attraverso l’esigenza di partecipare a delle elezioni libere e giuste. L’unica cosa che il popolo haitiano ha chiesto è la libertà e il rispetto e da allora è stato castigato senza limite per queste richieste.

Kevin Edmonds è un giornalista indipendente è studente post lauream dell’Istituto di Globalizaciòn della McMaster University ad Hamilton, Ontario.

Traduzione di Rossella Scordato

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