di Paolo Borrello
Gli incidenti sul lavoro in Italia sono apparentemente meno della media europea, anche se il tasso effettivo è probabilmente più elevato. La discrepanza è dovuta all’esistenza di una fiorente economia sommersa e all’influenza della criminalità organizzata nelle regioni del Sud, che impedisce la denuncia degli infortuni. Questa è la tesi principale contenuta in un articolo di Antonio Frenda, ricercatore presso l’Istat, pubblicato su www.lavoce.info:
“La sicurezza del lavoro è un problema da affrontare in termini legislativi, ma con la dovuta conoscenza statistica del fenomeno. Un’analisi con metodo scientifico si può realizzare attraverso l’utilizzo di più indicatori e l’indagine sui livelli di omogeneità e non, soprattutto a livello internazionale, dei dati a disposizione…
Grazie ai miglioramenti progressivi degli ultimi trenta anni, l’Italia registra livelli apparentemente inferiori alla media europea, probabilmente però il tasso effettivo di infortuni è invece leggermente più elevato. La discrepanza è dovuta all’esistenza di un’eccessiva economia sommersa e all’influenza della criminalità organizzata nelle regioni del Sud (in particolare in Calabria, Sicilia, Campania) che può impedire la denuncia degli incidenti. Inoltre, nel settore agricolo, il tasso di incidenza complessivo risulta nettamente superiore alla media europea…
La metodologia Esaw (utilizzata da Eurostat) considera essenzialmente due tipi di indicatori statistici per l’analisi degli infortuni sul lavoro: il numero di infortuni e la loro frequenza. Per definire la frequenza degli infortuni occorre definire il rapporto tra il numero di infortuni e la popolazione di riferimento degli occupati calcolata mediante l’indagine campionaria sulle forze lavoro gestita dall’Istat.
È importante rilevare che questo utile rapporto presenta al numeratore un dato desunto da fonte amministrativa e al denominatore un dato proveniente da una fonte statistica (l’indagine sulle forze lavoro) e quindi, nella sua interpretazione, occorre considerare:
- la non omogeneità delle fonti di provenienza;
- la possibilità di avere dati sottostimati: infatti, mentre il dato sugli occupati (al denominatore) comprende anche gran parte dei lavoratori non regolari, quello sugli infortuni (al numeratore) dovrebbe comprendere, in particolare, gli infortuni dei regolari e una parte degli ‘infortuni gravi’ dei lavoratori irregolari.
Inoltre, la struttura industriale di un paese influenza il tasso di frequenza totale degli infortuni a seconda della percentuale di settori con alto rischio, come agricoltura, edilizia, trasporti .
Dai dati Eurostat si evidenzia come l’Italia presenti nel 2006, per gli infortuni sul lavoro, un ‘tasso di incidenza’ pari a 2.812 infortuni per 100.000 occupati per l’intera economia, quindi un infortunio ogni trentasei occupati, inferiore al valore medio calcolato sia per i quindici paesi dell’Unione Europea (3.013) e sia per i dodici paesi della zona euro (3.469). Sulla base dei dati rilevati per l’anno 2006 l’Italia ha un numero di infortuni sul lavoro in linea con la media europea e sale poco al di sopra per quanto concerne i casi mortali; tuttavia, nel settore agricolo il tasso di incidenza complessivo risulta nettamente superiore alla media europea.
Il dato degli infortuni nel sommerso, poiché concerne l’economia non direttamente osservabile, sfugge alle statistiche amministrative degli enti previdenziali e assicurativi (Inps, Inail) e a indagini statistiche ad hoc. Tuttavia, si può provare a darne una valutazione per il 2009. L’Istat stima in 2.965.600 le unità di lavoro non regolari in quell’anno, ripartibili approssimativamente in 2.653.800 nel ramo industria e servizi e 311.800 in agricoltura (sulla base dei dati storici disponibili). Applicando a tali stime i tassi di frequenza standardizzati da Eurostat degli infortuni sul lavoro indennizzati dall’Inail (pari nel 2006 a circa 28 per 1000 per il totale economia e 60 per 1000 in agricoltura), gli eventi infortunistici occorsi nel 2009 alle unità irregolari risulterebbero pari a circa 74.000 nell’industria e nei servizi e a 19.000 in agricoltura. Nel complesso nel 2009, si possono stimare circa 93.000 infortuni con esiti superiori ai tre giorni.
Le statistiche Eurostat sono elaborate sulla base degli infortuni dichiarati che vengono indennizzati dall’ente assicurativo previdenziale. Se si considera il rapporto registrato tra casi indennizzati e denunciati (compresi quindi quelli con assenza dal lavoro sino a tre giorni) e si includono gli infortuni in itinere, accaduti cioè nel normale tragitto casa-lavoro e viceversa, che sono stati nel 2007 97.278 (e quindi considerando una logica autoregressiva pari a più di 100.000 nel 2009), si possono ipotizzare, con una stima approssimata per difetto, circa 135.000 infortuni occorsi a lavoratori irregolari nel 2009 (senza considerare i valori dell’economia illegale).
Nulla lascia prevedere che nel 2010 la stima sia significativamente diminuita, a causa della crisi economica internazionale e in assenza di nuove norme sull’emersione del sommerso…
Non è certo una novità rilevare che, in considerazione della presenza in Italia, di un notevole numero di lavoratori irregolari, superiore a quello che caratterizza altri paesi europei, gli incidenti sul lavoro che effettivamente si verificano siano di più di quanto risulti dalle statistiche ufficiali. L’aspetto più interessante dell’articolo di Antonio Frenda è però rappresentato dal fatto che egli tenta di stimare il numero degli infortuni sul lavoro che non vengono censiti, numero piuttosto consistente che dovrebbe pertanto innalzare il numero degli infortuni che effettivamente si verificano ad un livello superiore alla media europea. E tale risultato rappresenta pertanto un ulteriore motivo che rende necessario attuare, in Italia, una politica più incisiva volta ridurre gli infortuni sul lavoro.
Fonte: http://www.gliitaliani.it
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