giovedì 24 marzo 2011

CRISI IN LIBIA, INTERVISTA AL COORDINATORE DI MSF DA ALESSANDRIA

Il 15 marzo i team di MSF hanno lasciato Bengasi a causa dell’alto livello d’insicurezza. Da Alessandria, in Egitto, Simon Burroughs, coordinatore MSF per l’emergenza Libia, descrive gli sforzi del team per rientrare in Libia e la necessità di poter accedere alla popolazione.

Circa una settimana dopo che MSF ha dovuto lasciare Bengasi, quali sono le condizioni di sicurezza oggi?

La situazione è in costante cambiamento ed è difficile avere una fotografia generale. La scorsa settimana abbiamo dovuto lasciare Bengasi perché la sicurezza del nostro staff non poteva più essere garantita, rendendo impossibile per noi continuare a fornire assistenza medica. 

Quella che era cominciata come un’insurrezione è diventata un conflitto interno e adesso una guerra internazionale. È estremamente difficile per noi valutare i rischi in un contesto estremamente insicuro come questo e prevedere quello che potrebbe accadere.
Ad Alessandria siamo in nove e stiamo facendo di tutto per rientrare in Libia. 

Come stanno fronteggiando la situazione le strutture mediche in Libia?

Dove MSF è stata presente, il personale medico libico era in grado di gestire molto bene l’afflusso di feriti. Tutti i medici e gli infermieri che abbiamo incontrato a Bengasi, Brega e Ajdabya erano estremamente preparati e motivati. Ma, allo stesso tempo, erano preoccupati di cosa sarebbe potuto accadere e, giorno dopo giorno, sentivano crescere la pressione.

Nonostante i medici riescano a gestire la situazione, molte infermiere straniere operative nella Libia orientale sono adesso fuggite, lasciando vuoti importanti in molte strutture sanitarie. Gli studenti di medicina stanno facendo del loro meglio per colmare le carenze di personale.

La mancanza di accesso a diverse aree del paese non ci permette di valutare, in modo indipendente, i bisogni, ma in base ad alcune informazioni, ci potrebbe essere un aumento del numero dei feriti. 

Quali sono, in questa situazione, i principali bisogni medici?

Ovviamente ci sono stati numerosi feriti in questo conflitto e ciò ha determinato una pressione enorme sulle strutture sanitarie. Ma c’è anche un effetto indiretto di questo conflitto: ormai negli ospedali ci vanno solo le persone che hanno problemi gravi.

Una delle nostre infermiere di sala operatoria è rimasta la notte per aiutare lo staff dell’ospedale di Ajdabya – dopo aver curato 10 pazienti con ferite da arma da fuoco ha assistito una madre che ha partorito due gemelle. I normali bisogni medici devono essere soddisfatti nonostante la guerra. Adesso l’ospedale è stato evacuato e ci chiediamo come stiano le due gemelline.

A un livello più generale, stiamo lavorando per avere un quadro chiaro dei bisogni nel momento in cui le condizioni di sicurezza non ci permettono di avviare neanche missioni esplorative di base. Quando abbiamo provato a raggiungere la città di Ras Lanuf – 300 km a ovest di Bengasi – siamo dovuti tornare indietro due volte a causa degli scontri che imperversavano lungo la strada.  

Quale tipo di supporto può fornire MSF?

Nelle poche settimane che siamo stati a Bengasi (ndr dal 17 febbraio), siamo riusciti a consegnare oltre 33 tonnellate di attrezzature mediche (tra cui kit chirurgici, fissatori esterni di cui c’è un disperato bisogno per curare i feriti da arma da fuco) e farmaci a diversi ospedali.

Attualmente, la mancanza di accesso alla popolazione rappresenta il problema principale. Nelle prossime ore, proveremo a tornare al confine per distribuire altro materiale medico che possa essere consegnato alle strutture sanitarie della Libia orientale grazie a una rete di medici locali. 

Quali sono le condizioni per un rientro di MSF in Libia?

Per noi è cruciale avere garanzie da tutte le parti in conflitto che lo staff medico sia rispettato e che possa lavorare liberamente. Stiamo chiedendo alle parti di rispettare il diritto umanitario internazionale che garantisce l’accesso ai team medici di emergenza.

MSF è estremamente preoccupata che il termine “umanitario” venga usato impropriamente da alcune delle parti in conflitto che cercano di confondere il confine tra azione militare e azione umanitaria indipendente. Affinché l’assistenza umanitaria sia rispettata, questa deve essere imparziale e indipendente.


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