sabato 19 marzo 2011

LIBIA: CRESCE IL RISCHIO ESODO DI MASSA PER SFUGGIRE ALLA VIOLENZA

Il campo di transito di Choucha
nei pressi di Ras Adjir,
in Tunisia, ai confini con la Libia.
© UNHCR/ A.Branthwaite

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ed i suoi partner hanno approntato vasti piani di emergenza e sono pronti a collaborare col governo egiziano per prepararsi a gestire l’esodo di massa di persone in fuga dalla violenza in Libia. È anche possibile che il conflitto possa bloccare l’accesso a luoghi sicuri e il passaggio per uscire dal paese in sicurezza. A questo punto saranno determinanti gli sviluppi dei prossimi giorni per sapere se la fuga in massa dalla Libia orientale avrà luogo o meno.

Sempre più libici si sono riversati in Egitto negli ultimi giorni, osserva l’UNHCR. Circa 1.490 nella sola giornata di mercoledì, su un totale di 3.163. La maggioranza delle persone intervistate alla frontiera con l’Egitto dice di essere fuggita nel timore di essere coinvolta nei combattimenti. Molti hanno anche citato - come motivo della fuga - le recenti minacce da parte del governo di bombardare Bengasi.

La radio dice alla gente di fuggire, se non vuole restare intrappolata nei combattimenti - racconta agli operatori UNHCR una famiglia libica di Ajdabiyya, arrivata ieri in Egitto. Anche gli aerei - prosegue il racconto - lanciano volantini che incoraggiano i civili a lasciare l’area.

I reporter di una troupe dell’agenzia Reuters che hanno lasciato Ajdabiyya mercoledì scorso hanno invece riferito agli operatori UNHCR di essere riusciti a fuggire appena in tempo mentre la città cadeva nelle mani delle truppe filogovernative. “Arrivavano in tanti da tutte le parti - dice uno dei giornalisti - i ribelli non avevano alcuna possibilità. La gente era costretta a fuggire se voleva salvare la pelle”. È stata “pura fortuna” se sono riusciti a scappare, proseguono i reporter. Quattro giornalisti del New York Times sono stati invece catturati.

Al giornalista palestinese che faceva parte della troupe Reuters è stato negato l’ingresso in Egitto. Adesso si trova con un uomo palestinese di 64 anni e sua figlia, che da martedì scorso attendono di entrare. Come loro, molte altre famiglie palestinesi sono state respinte e restano in attesa sul lato libico del confine.

Due uomini con ferite da arma da fuoco si sono presentati presso il team di operatori UNHCR. Uno di loro ha detto di essere un rivoluzionario rimasto ferito negli scontri di Raz Lanuf della scorsa settimana e di essere stato costretto a raggiungere l’Egitto per farsi curare, perché all’ospedale di Bengasi non c’è più posto.

Alcuni degli intervistati alla frontiera sono stati vaghi sulle ragioni della loro fuga, dicendo di aver oltrepassato il confine solo per ricevere cure mediche. Ma le loro auto, stracariche di bagagli, dicono di più. Altri hanno fornito versioni più verosimili. Come un uomo che afferma “volevamo la democrazia e adesso ci ritroviamo la guerra”.

Alla frontiera tunisina invece sono stati avvertiti colpi di arma da fuoco in lontananza, provenienti dalle aree più interne della Libia. Un flusso costante di circa mille nuovi arrivi continua a varcare il confine con la Tunisia. In maggioranza si tratta di cittadini dei paesi dell’Africa subsahariana.

Le persone di varia nazionalità appena arrivate hanno riferito all’UNHCR di numerosi posti di blocco lungo il tratto di strada che va da Tripoli alla frontiera di Rad Adjir. Hanno denunciato molestie da parte dei soldati filogovernativi, nonché la continua confisca di telefoni cellulari, schede di memoria e fotocamere, le situazioni descritte.

Secondo i rifugiati e i richiedenti asilo in contatto con l’UNHCR attraverso la linea telefonica dedicata attiva a Tripoli e a Ginevra, fuggire verso il confine è diventato sempre più pericoloso, in particolare per gli uomini soli, che rischiano il reclutamento forzato nell’esercito. La famiglia di un etiope di Tripoli racconta che l’uomo è riuscito per un soffio a sottrarsi al reclutamento forzato quando le forze filogovernative sono entrate nell’hangar abbandonato in un sobborgo della capitale dove aveva trovato rifugio insieme ad altre 1.500 persone circa, tra cui cittadini sudanesi e ciadiani.

I nuovi arrivati in Tunisia che sono riusciti ad avere l’aiuto delle proprie ambasciate per raggiungere la frontiera raccontano di viaggi meno faticosi, rispetto a coloro che hanno viaggiato soli o senza alcuna assistenza. I rifugiati eritrei affermano di essere fuggiti dalla persecuzione in Eritrea e che quindi non possono rivolgersi all’ambasciata del proprio paese per chiedere aiuto. “Un rischio calcolato” lo definisce un rifugiato eritreo, che ha preferito precipitarsi verso il confine. “Meglio morire cercando di mettersi in salvo che nascondendosi in Libia”.

Ma sono ancora centinaia i rifugiati che restano nascosti nel paese. Molti dicono all’UNHCR che le scorte di cibo si stanno esaurendo e vivono in un costante stato di terrore. Lo staff locale dell’UNHCR che opera a Tripoli, insieme ad alcune agenzie partner, continua a offrire assistenza ai rifugiati e ai richiedenti asilo con cui è riuscito a rimanere in contatto.

Al 16 marzo erano 300.706 le persone fuggite dalla Libia nei paesi limitrofi: 158.721 in Tunisia (tra i quali 19.022 tunisini e 16.149 libici - in parte per normali spostamenti di frontiera); 128.814 in Egitto (72.302 gli egiziani); 4.077 in Niger (3.575 i nigerini) e 9.094 in Algeria, dove sono arrivati via terra, via mare e con i voli di evacuazione.

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