Se la Cina frena vuol dire che preferisce l’“umiliazione” di un passo indietro piuttosto che essere accusata di correre in modo spregiudicato e irresponsabile lungo la strada del nucleare civile.
L’emergenza di Fukushima ha costretto i leader del gigante d’Asia a «sospendere temporaneamente» i piani per la costruzione di nuovi reattori e i lavori in altri. Se ne parla poco in Occidente, ma in Asia la corsa al nucleare è diffusa e incessante, anche perché aumenta la domanda di energia, al pari delle pressioni per un ruolo attivo nella battaglia contro i cambiamenti climatici.
La Cina è un Paese sismico come il Giappone e quello cinese è il più grande progetto di sviluppo dell’energia atomica del pianeta. Pechino, sbandierando la priorità della «sicurezza» e la linea della prudenza, ha anche deciso di dare il via a una serie di controlli nei siti esistenti e negli almeno 25 reattori in costruzione, che dovrebbero essere di terza generazione. Ufficialmente, la decisione delle ultime ore è quella di procedere con un «esame più approfondito» del programma nucleare e con eventuali «aggiustamenti». In passato la rapidità dei progetti cinesi nel settore, finiti anche al centro di scandali, ha spesso sollevato interrogativi sulla sicurezza dei siti.
Attualmente in Cina sono operative 13 centrali nucleari e circa il 2% del fabbisogno energetico della Repubblica Popolare viene coperto dall’energia nucleare. Il carbone provvede per l’80%. Ma il progetto ambizioso di Pechino, che appare determinata a ridurre la forte dipendenza da quest’ultimo, prevede di portare le centrali nucleari a produrre 80 gigawatt tra nove anni, 200 nel 2030 e 400 nel 2050.
L’energia atomica gioca un ruolo di primo piano nell’incessante corsa allo sviluppo della seconda potenza economica mondiale. Lo scorso settembre, il China Daily scriveva che solo la China National Nuclear Corporation (Cnnc) pianifica di investire in progetti nel settore 800 miliardi di yuan (circa 85 miliardi di euro) entro il 2020. Nel gigante d’Asia la costruzione centrali nucleari è iniziata a metà degli anni Ottanta, ma la corsa è iniziata nel XXI secolo. Sin dal decimo piano quinquennale (2001-2005) per lo sviluppo economico e sociale del Paese, infatti, la leadership cinese ha iniziato a porsi obiettivi ambiziosi per la costruzione di reattori in diverse zone del Paese. Nel 12mo piano quinquennale (2011-2015) appena approvato, oltre 16 province, regioni e municipalità, hanno annunciato di essere interessate alla costruzione di reattori. Tra tutte spicca il Sichuan, devastato dal terremoto del maggio 2008, che provocò 87mila vittime.
Anche se nei giorni scorsi Pechino ha assicurato che i cinesi non hanno da temere per fughe radioattive dal Giappone, perché i venti soffiano nella direzione opposta, in preda al panico scatenato da false notizie sull’arrivo di nubi tossiche o radiazioni, gli abitanti del gigante d’Asia hanno fatto scorte di medicine e soprattutto di sale, tutti alla caccia di iodio, che dovrebbe proteggere dai danni alla tiroide provocati dalle radiazioni. E intanto la Repubblica Popolare, dopo aver offerto aiuto e assistenza al Giappone in seguito al terremoto e allo tsunami della scorsa settimana (lo stesso aveva fatto il Sol Levante dopo il sisma del Sichuan, ma la differenza è che pochi mesi fa la tensione è salita alle stelle per l’annosa disputa sulle isole Diaoyu/Senkaku nel Mar della Cina Orientale), ha inasprito i toni e intimato alla storica nemica Tokyo di fornire rapidamente «informazioni precise» sulla situazione a Fukushima e «valutazioni e previsioni» per il futuro. Problemi nucleari a parte, nella bocca di Pechino cresce nel frattempo l’acquolina per il petrolio libico, dopo le parole del colonnello Gheddafi che le diplomazie occidentali non avrebbero mai voluto sentire.
I dati sono tratti da un documento aggiornato al 10 marzo 2011 della World Nuclear Association.
di Chen Xinxin
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