giovedì 24 marzo 2011

MEDITERRANEO: CENSIS, OLTRE CRISI GUARDARE POTENZIALITÀ SVILUPPO E INTEGRAZIONE

Negli ultimi cinque anni il Pil della regione è cresciuto del 22,4%, il doppio della media dell’economia mondiale (11,5%). Ma restano ampi i divari sociali ed economici interni.

Processi di sviluppo, formazione di un ceto medio, crescita dei consumi, ruolo dei giovani: sono alcuni fattori strutturali che possono contribuire a spiegare la conflittualità che si è innescata nei Paesi del Mediterraneo. La regione, intesa come l’arco dei Paesi della riva sud, dal Marocco alla Turchia, conta una popolazione complessiva di oltre 284 milioni di abitanti (il 4,2% della popolazione mondiale), con un peso demografico simile a quello degli Stati Uniti e superiore a quello della grande Russia e del popoloso Giappone. Il Pil cumulato della regione ammonta oggi a 1.444 miliardi di dollari (il 2,5% del Pil mondiale), quasi un terzo di quello della Cina, ma maggiore del prodotto complessivo dell’India. I sistemi economici dell’area si sono rivelati più dinamici di quelli occidentali: nel quinquennio 2004-2009 il Pil cumulato della regione è cresciuto in termini reali del 22,4% (il doppio della crescita media dell’economia mondiale: +11,5%), a fronte di ritmi più contenuti registrati in altre aree del pianeta: +5,0% l’economia statunitense, +4,4% l’economia europea, -0,3% quella giapponese. Ma i divari infraregionali sono ancora rilevanti. Solo in Israele, Libia e Turchia i valori del reddito pro-capite sono superiori alla media mondiale, mentre Marocco, Egitto, Palestina e Siria presentano un valore inferiore a 3.000 dollari annui per abitante. Il rapporto tra la maggiore ricchezza pro-capite registrata nella regione (in Israele) e quella minore (in Palestina) è pari a 20,6. I divari sono netti nel confronto nord-sud: mediamente la ricchezza di un francese è pari a 34 volte quella di un palestinese, quella di un italiano è pari a 17 volte quella di un egiziano e a 13 volte quella di un marocchino.

Ma la regione del Mediterraneo costituisce già oggi un ampio mercato di consumo, che si compone di oltre 284 milioni di persone, con una spesa per i consumi delle famiglie superiore a 918 miliardi di dollari all’anno (quasi due terzi del Pil regionale). Le dimensioni di tale bacino di consumo sono destinate ad espandersi per effetto delle accentuate dinamiche demografiche, segnando il passaggio dai consumi d’élite ai consumi di massa. I consumi sono cresciuti mediamente del 38,3% in termini reali tra il 2000 e il 2009, con variazioni che oscillano tra il +17,3% del Libano e il +86,6% della Giordania, mentre in Italia aumentavano solo del 3,7%, e presentano ulteriori potenzialità di incremento legate all’ampia componente giovane della popolazione, permeabile e reattiva ai nuovi modelli di consumo. E nell’ultimo decennio, tra il 2001 e il 2009, il flusso degli investimenti esteri nell’area è aumentato da poco più di 21 miliardi a oltre 35 miliardi di dollari, nonostante la crisi finanziaria internazionale, segno tangibile dei processi di deregulation avviati in quei Paesi e del progressivo scongelamento del controllo verticistico sull’economia.

Il dossier più scottante dell’area riguarda l’occupazione e la elevata presenza di giovani, che costituiscono un fattore di pressione su un mercato del lavoro fragile. In Medio Oriente e Nord Africa il 31% della popolazione ha meno di 14 anni (si passa dal 27% dell’Algeria al 30% della Libia, al 32% dell’Egitto, al 35% della Siria), in contrapposizione a un continente europeo che invecchia progressivamente. Il bacino di lavoratori è pari a 98,5 milioni di persone, e la componente giovane e istruita viene fortemente penalizzata (il tasso di disoccupazione giovanile è al 27%).

C’è per noi la necessità di guardare a nuovi mercati, dopo la crisi economico-finanziaria, per favorire la ripresa del nostro export, presidiando di più e meglio quelle aree finora rimaste ai margini del processo di riposizionamento delle imprese del made in Italy. Nell’ambito delle relazioni con i Paesi del Mediterraneo, l’Italia occupa una posizione rilevante, come partner commerciale privilegiato di diversi Stati. La quota delle esportazioni italiane extra-Ue dirette verso i Paesi del Mediterraneo raggiunge il 14,8% (18,2 miliardi di euro nel 2009) e la corrispondente quota delle importazioni provenienti dai Paesi del Mediterraneo è pari al 12,5% (15,8 miliardi di euro). Della Libia siamo il primo Paese fornitore, con una quota che nel 2009 è stata pari al 17,4% delle importazioni libiche totali, prima di Cina (10%), Turchia e Germania (9%). Siamo anche il principale mercato di sbocco per le esportazioni libiche (circa il 20%), prima di Germania (8%), Cina (7%), Tunisia (6%), Francia e Turchia (5%). L’Italia, inoltre, è il terzo Paese investitore tra quelli europei, escludendo gli investimenti legati al petrolio, ed è il quinto a livello mondiale. La nostra posizione come principale partner economico della Libia è confermata dalla presenza stabile nel Paese di più di cento imprese italiane, prevalentemente collegate al settore petrolifero e alle infrastrutture, oltre che ai settori della meccanica. Per la Tunisia siamo il secondo Paese fornitore, terzo per l’Algeria, quarto per l’Egitto e la Siria.

E il Mediterraneo lo abbiamo già «in casa», anche se, considerando i flussi migratori provenienti dalla riva sud stratificatisi in tanti anni, gli immigrati provenienti dall’area restano una quota minoritaria. Nel 2010 quelli regolarmente residenti in Italia (soprattutto marocchini, tunisini ed egiziani), dove lavorano e fanno impresa, erano più di 675.000, ovvero il 15,9% del numero totale di stranieri che vivono entro i nostri confini.

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