lunedì 10 dicembre 2012

Clima, da Doha strada in salita verso accordo globale, governi incapaci di impegni concreti


E' tutta in salita la strada tracciata a Doha per la transizione verso un nuovo accordo globale da sottoscrivere entro il 2015 per essere poi operativo dal 2020, come già concordato a Durban lo scorso anno. I governi non sono stati in grado di mettere in campo quella volontà politica indispensabile per colmare con impegni concreti il preoccupante gap esistente (8-13 Gt di CO2 secondo il recente rapporto dell'UNEP) tra gli impegni di riduzione assunti sino ad ora dai diversi paesi e la riduzione di emissioni indispensabile entro il 2020 per rientrare nella traiettoria di riscaldamento del pianeta non superiore almeno ai 2°C. Dimenticando che gli impegni di riduzione attuali ci stanno portando verso una via di non ritorno con un surriscaldamento stimato tra i 3.5°C e i 6°C”.
Questa la dichiarazione di Mauro Albrizio, responsabile Clima e politiche europee di Legambiente, da Doha.

Poco ambiziosi ed insufficienti anche i nuovi impegni assunti nell'ambito del Protocollo di Kyoto, tra i paesi industrializzati, dall’Unione europea, la Svizzera, la Norvegia e l'Australia. A ciò va aggiunto che USA, Canada, Giappone,Russia e Nuova Zelanda si sono tenuti fuori dal protocollo – ha continuato Albrizio -. Nonostante ciò il “Kyoto 2” rimane uno strumento indispensabile a garantire la transizione verso il nuovo accordo globale. E’ l’architrave del nuovo accordo e garantisce la continuità degli impegni di riduzione legalmente vincolanti per il periodo di transizione 2013-2020, che dovranno essere necessariamente incrementati entro i prossimi due anni per contribuire a colmare il preoccupante gap esistente”.

Un ruolo importante in questa è fase è chiamato a svolgerlo l'Europa, che sin dai prossimi mesi dovrà impegnarsi con una determinazione maggiore di quella mostrata a Doha. Non solo per fare in modo che questo gap sia colmato, ma anche per tradurre in impegni concreti il programma 2013-2020 di aiuti ai paesi poveri a supporto dei loro impegni di riduzione e di adattamento ai cambiamenti climatici in corso, con un sostegno finanziario annuo iniziale di almeno 10-15 miliardi di dollari per arrivare nel 2020 ai 100 miliardi promessi tre anni fa a Copenhagen.

L'Italia deve impegnarsi con forza in questa direzione insieme ai paesi europei più avanzati mostrando coerenza tra l'impegno nazionale e quello internazionale e mettendo in campo da subito azioni in grado di colmare il ritardo che ancora abbiamo con molti paesi europei.

Secondo gli ultimi dati dell'Agenzia europea dell'ambiente, l'Italia nel 2011 ha ridotto le emissioni di gas-serra solo del 5,6% rispetto al 1990, mentre l'Unione europea nel suo complesso le ha ridotte di ben il 17,5%.

Un primo segnale forte – ha concluso Mauro Albrizio - deve venire da una profonda revisione della Strategia energetica nazionale che invece di puntare decisamente alla riduzione del consumo e delle importazioni di fonti fossili, propone addirittura un rilancio della produzione di idrocarburi nazionali, individuando sia per l'efficienza energetica che per le fonti rinnovabili, strategie generiche e strumenti inadeguati a raggiungere gli obiettivi previsti. A questo si aggiungono i 9 miliardi di sussidi alle fonti fossili che ogni anno vengono elargiti a petrolio, carbone, gas e autotrasporto nel nostro paese. Il ministro Clini si impegni concretamente affinché il governo italiano li cancelli e cambi subito strada sulla politica energetica del nostro paese”. 

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