Istituzioni politiche e
soggetti sociali «separati in casa». Hanno attuato una parallela discontinuità:
il governo con il rigore, l’economia e la società con strategie di
riposizionamento. Ma non è ancora scattata la magia dello sviluppo fatto da
governo e popolo.
L'Italia alla prova della
sopravvivenza. Si chiude un anno in cui è stato centrale il problema della
sopravvivenza, che non ha risparmiato nessun soggetto della società,
individuale o collettivo, economico o istituzionale. Sono entrati in gioco
«fenomeni enormi» (la speculazione internazionale, la crisi dell’euro,
l’impotenza dell’apparato europeo, la modifica degli assetti geopolitici
internazionali), ci sono piovuti addosso «eventi estremi» (la dinamica dello
spread e il pericolo di default) e abbiamo vissuto la «crisi delle sedi della
sovranità», esautorate dall'impersonale potere dei mercati (nessuno, in Italia
e altrove, è stato in grado di esercitare un’adeguata reattività decisionale).
Ci siamo così ritrovati inermi, in una «immunodeficienza tanto inattesa quanto
pericolosa», con le preoccupazioni della classe di governo, le drammatizzazioni
dei media, le inquietudini popolari.
Istituzioni politiche e
soggetti sociali «separati in casa». Le dinamiche interne hanno visto una
«parallela discontinuità». Da un lato, le istituzioni politiche si sono concentrate
con rigore sulla fragilità dei conti pubblici e della nostra credibilità
finanziaria internazionale, sulla riduzione delle spese, le riforme settoriali,
la razionalizzazione dell’apparato pubblico. Dall’altro lato, i soggetti
economici e sociali sono rimasti soli con le loro affannose strategie di
sopravvivenza, anche scontando sacrifici e restrizioni derivanti dalle
politiche di rigore. Questa divaricazione può generare poteri oligarchici, da
una parte, e tentazioni di populismo, anche rancoroso, dall’altra.
Uno scatto di discontinuità
politica. Poiché «i tempi si erano fatti cattivi», è servito uno scatto di
discontinuità rispetto ai precedenti modelli di comportamento, pubblici e
privati, per ricalibrare i pregiudicati rapporti con i partner europei, le
autorità comunitarie, i regolatori dei mercati finanziari globali. Ma i
soggetti sociali non si sono sentiti coinvolti dall’azione di governo, perché
sospettosi che alle strategie tecnico-politiche non seguisse un’adeguata
implementazione amministrativa e organizzativa, e perché restavano in attesa di
una proposta di percorso comune, più che di richieste di adesione a improbabili
cambi di mentalità e di comportamenti. «Non è scattata la magia dello sviluppo
fatto da governo e popolo» e il rigore di governo «non ha avuto lo spessore per
generare forza psichica collettiva».
Tre grandi spinte di
sopravvivenza: «restanza», differenza, riposizionamento. Proprio nei mesi
di più drammatica difficoltà, nel sottofondo della dinamica sociale ha
cominciato a vedersi una «autonoma tensione alla solidità». Sono emerse tre
grandi spinte di sopravvivenza. La prima è stata il fare perno sulla «restanza»
del passato, per riprendere e valorizzare ciò che resta di funzionante del
nostro tradizionale modello di sviluppo: il valore dell’impegno personale, la
funzione suppletiva della famiglia rispetto ai buchi della copertura del
welfare pubblico, la centratura sulla prossimità nella quale si sviluppano le
relazioni cruciali, la solidarietà diffusa e l’associazionismo, la valorizzazione
del territorio come dimensione strategica di competitività del sistema. La
seconda spinta è stata la crescente valorizzazione della differenza e la voglia
di personalizzazione: esempi ne sono il politeismo alimentare, con combinazioni
soggettive di cibi e anche di luoghi ove acquistarli, senza tabù,
neutralizzando ogni passata ortodossia alimentare; la moltiplicazione dei
format di vendita, con la forte crescita degli acquisti online, la diffusione
di siti web con offerte low cost e di gruppi di acquisto solidale; la
personalizzazione dell’impiego dei media, sia per la fruizione dei contenuti di
intrattenimento, sia per l’accesso alle fonti di informazione, secondo
palinsesti multimediali «fai da te», autogestiti, svincolati dalla rigida
programmazione delle grandi emittenti; la miniaturizzazione dei dispositivi
tecnologici, la proliferazione delle connessioni mobili, l’esplosione dei
social network, grazie ai quali diventano centrali la trascrizione virtuale e
la condivisione telematica delle biografie personali. La terza spinta è stata
data dai processi di riposizionamento: esempi ne sono il riorientamento dei
giovani verso percorsi di formazione tecnico-professionale dalle prospettive di
inserimento lavorativo più certe, la rinnovata vitalità di pezzi del tessuto
produttivo (le cooperative, le imprese femminili, il settore Ict e le
applicazioni Internet, le start-up nell’alta tecnologia e le green
technologies), l’espansione della distribuzione organizzata e delle attività di
commercio via web, l’aumento delle quote di mercato dell’Italia nelle aree
emergenti del mondo grazie a specializzazioni produttive diverse dal
tradizionale made in Italy, il cambiamento del modello di
internazionalizzazione grazie a un di più di strategia che si è tradotto in un
aumento degli investimenti in partecipazioni all’estero.
Una torsione quasi
identitaria per «essere altrimenti». Da una parte, impegnative politiche
di vertice volte ad allineare il sistema al rigore predicato e perseguito dalle
più influenti sedi di potere europeo. Dall'altra milioni di persone impegnate
a sopravvivere da sole alla crisi, con un’intima tensione a cambiare attraverso
processi di riposizionamento. La sfida della sopravvivenza è stata combattuta
non solo a difesa di quel che c’era e che avrebbe potuto essere perduto, ma ha
comportato anche una «torsione quasi identitaria». In questi mesi non abbiamo
solo salvaguardato il nostro «essere», ma anche cercato, più o meno
consapevolmente, di «essere altrimenti». Tenere insieme nella nostra dialettica
socio-politica le ragioni del rigore istituzionale e la popolare voglia di
sopravvivenza sarebbe un significativo passo di crescita della nostra unità
nazionale, perché oggi vive nel Paese una serietà collettiva (nelle
preoccupazioni come nell'impegno che era impensabile solo pochi mesi fa e che
non va dispersa.
Fonte: http://www.censis.it
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