mercoledì 12 gennaio 2011

LA SPINTA AL CAMBIAMENTO

di Karim Metref *
Cosa succede in Algeria, esattamente? Nessuno lo sa. La situazione algerina, credo, è un enigma anche per chi la domina e usa mille sotterfugi e manipolazioni per tenere le redini del potere. La natura del potere algerino non ha, come in Libia, in Tunisia o in Marocco, il classico schema delle dittature arabe con una figura forte alla testa, lo «Zaim», e una classe mafiosa, violenta, corrotta e corruttrice, intorno a lui, in uno schema piramidale quasi perfetto. Il potere algerino è una geometria molto complessa fatta di un misto di poteri militari, politici, economici, di false legittimità storico-rivoluzionarie e di vere legittimità «claniche» costruite intorno ad appartenenze geografiche, a una confraternita religiosa, a un gruppo di famiglie alleate tra loro, o, come nel caso di molti generali, tra quelli che misero il paese a ferro e a fuoco negli anni '90, all'adesione ad un piano comune di presa del potere, spesso sostenuto da qualche potenza internazionale.

L'equilibrio tra queste forze tiene quando c'è un polo forte e ricchezze sufficienti da spartirsi. Dal 1999, anno di ritorno dell'attuale presidente dal suo esilio dorato nei paesi del golfo, ad oggi, il sistema ha tenuto grazie a un accordo conveniente per tutti, al consenso internazionale intorno alla persona di Bouteflika, alla figura forte di Bouteflika stesso e soprattutto grazie alle enormi rendite del petrolio. Oggi, in questa ennesima protesta detta del «pane», cos'è che non funziona più?

Gli effetti della crisi mondiale hanno toccato pochissimo l'Algeria. Il petrolio, prima fonte di reddito del paese, è arrivato a prezzi mai sognati in passato. Lo stato algerino non è mai stato così ricco. Il governo ha negli ultimi dieci anni cancellato definitivamente il suo debito internazionale e ha ancora le casse strapiene di soldi. Certo che i rialzi dei prezzi sono una causa scatenante. I rialzi improvvisi dei prezzi di alcuni generi di prima necessità sono dovuti alla speculazione e non agli aumenti improvvisi sul mercato internazionale. L'Algeria non è come la Tunisia, dove il commercio è completamente in mano privata e dove ogni rialzo sul livello internazionale ha effetti diretti sul mercato locale. Il mercato algerino degli alimenti di prima necessità è fortemente regolato dallo stato. Reminiscenza dell'era socialista, i prezzi dei cibi di prima necessità in Algeria sono protetti. Il pane e il latte, soprattutto. Ma anche l'olio e lo zucchero, i prodotti che hanno causato la fiammata di questi giorni. Le penurie sul mercato però sono un fenomeno endemico. Utilizzate per speculare e fare soldi o per creare tensioni sociali.

Altro fenomeno endemico nella società algerina è sicuramente la sommossa. Dalla prima insurrezione post-indipendenza della Cabilia del 1980, ci sono state periodicamente sollevazioni popolari. Addirittura, dal 2001 al 2010, le sommosse popolari sono state decine ogni anno.

Ma allora quello che sta succedendo è normale? No, per vari motivi. Ne cito due, che considero principali. Il primo è la contemporaneità con la Tunisia. Il secondo è l'interesse dato dalla stampa internazionale a tutte e due le rivolte. Il sistema tunisino non è come quello algerino. Si basa sulla figura del leader assoluto e su un rigido controllo poliziesco del territorio. Le sommosse non fanno parte del costume politico tunisino. In Tunisia si rischiano pesantissime pene di prigione solo per aver aperto un sito sbagliato su Internet. Le proteste in Tunisia sono rare, rarissime. Quando ci sono, sono sinonimo di grande crisi sociale, ma anche di grande debolezza del sistema politico poliziesco. Qualcosa si sta muovendo.

Poi di strano c'è la contemporaneità. Finora non ci sono mai stati fenomeni di contagio tra i due paesi. Le proteste nei paesi del Maghreb sono sempre state isolate. La seconda anomalia è la copertura data alle sommosse sia in Algeria che in Tunisia dai media internazionali. Non è sempre così! Ci sono state tantissime rivolte popolari ignorate dai media nel passato. Quanti di noi hanno sentito parlare delle insurrezioni della Cabilia dal 2001 al 2004, in Algeria? Pochissimi. I network internazionali hanno completamente ignorato l'evento. Stessa cosa per le rivolte dei minatori nel bacino minerario di Gafsa e Radayef in Tunisia tra il 2008 e il 2009. Silenzio totale. Perché allora queste?

Sia la diffusione veloce delle violenze, sia la copertura ampia da parte dei network internazionali, sono segno del fatto che, sia internamente che esternamente, c'è un accordo per un cambiamento. Se si fa il parallelo anche con il caso della Costa d'Avorio, si potrebbe dedurre che in Africa le potenze occidentali hanno deciso di giocare insieme e non più una contro l'altra. In un tentativo di limitare l'occupazione da parte della potenza cinese di terreni di caccia che una volta erano riservati all'occidente. Cambio di strategia che vuol dire anche riorganizzazione dei poteri locali, redistribuzione del potere tra le mani dei vari alleati interni. Cosa che, come ogni redistribuzione di potere, non può avvenire senza violenza e senza legittimità popolare, vera o finta che sia.

Quindi non ci rimane che aspettare per capire cosa ci porteranno queste sommosse. Quelle del 1988 portarono alla fine del socialismo, aprendo alla borghesia di stato la via dell'investimento privato. La guerra civile segnò la fine del monopolio di stato sulle riserve d'energia. Ora forse arriverà una nuova coalizione, ultraliberale, sicuramente islamista moderata, ugualmente sostenuta dalle varie potenze occidentali. E vivranno felici e faranno molti piccoli gestori del petrolio delle multinazionali.

* Insegnante, educatore, attivista politico e culturale algerino

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