lunedì 23 aprile 2012

CHI UCCIDE I GIORNALISTI? L'IRAQ IL PAESE PIÙ "IMPUNITO" DEL 2012

E' vero. Molti giornalisti sono rimasti uccisi durante la guerra. Ma ancora oggi la stampa si sente continuamente esposta a minacce e si autocensura. Baghdad al primo posto nell'Indice di Impunità.

di Angela Zurzolo

L'Iraq si riconferma, anche nel 2012, il paese con il più alto indice d'impunità nel mondo.
Dal 2002 ad oggi, i giornalisti uccisi che non hanno trovato giustizia in Iraq sono ben 93. Nessuna condanna. E dopo dieci anni, la magistratura non è stata ancora in grado di trovare un colpevole.

Nel 2012, il numero delle uccisioni è diminuito rispetto al 2006, quando decine di reporter sono rimasti  vittime della violenza inter-confessionale, ma la persecuzione nei confronti dei giornalisti è ancora molto forte.

Le statistiche dell'Impunity Index del Committee to protect journalists parlano chiaro: l'Iraq guida la classifica, distanziando con una percentuale di gran lunga superiore Somalia, Filippine, Sri Lanka, Colombia, Nepal, Afghanistan, Messico, Russia, Pakistan, Brasile e India. Buone notizie invece per il Bangladesh, che per la prima volta non compare nell'indice.
  
LA POLITICA UCCIDE QUANTO LA GUERRA
  
“La maggior parte degli omicidi si è avuta durante la guerra ma, anche ora che le autorità parlano di stabilità, non si è riuscito a fare giustizia nemmeno in uno solo di questi casi”, denuncia il CPJ.

Secondo le ricerche, l'impunità causa l'autocensura in tutto il corpo professionale. E' un chiaro segno della totale mancanza di tutela per i giornalisti.

Ad uccidere è solitamente la 'politica': se ne occupava il 30% dei giornalisti rimasti vittima nel mondo.

Quindi la politica uccide quanto la guerra: i reporter morti durante i conflitti sono il 28% del totale.

Nel 40% dei casi, le vittime hanno ricevuto insistenti minacce prima dell'esecuzione e in un caso su cinque nel mondo, i giornalisti sono stati torturati prima prima di essere uccisi.

HADI AL-MAHDI: IL GIORNALISTA SCIITA CHE DIFENDEVA I DIRITTI DEI SUNNITI

Processi inefficaci e condanne inesistenti fanno della magistratura irachena un fantoccio che è o si finge ancora incapace. E intanto, qualcuno blocca i tentativi dei soli soggetti che desiderano condurre indagini serrate e serie in materia di corruzione e politica.

A settembre, l'Iraq è stato sconvolto dall'uccisione di Hadi al-Mahdi, finito da uomini armati nella sua abitazione a Baghdad. Giornalista, regista e drammaturgo, l'uomo era tornato nel 2008 in Iraq, dopo 18 anni di esilio.

Per il programma “To whomever listens”, della radio indipendente “Demozy”, si era occupato di temi sociali e politici. Corruzione e confessionalismo, i temi principali delle sue trasmissioni.

Al Mahdi, poi, seppure sciita, aveva difeso pubblicamente i diritti dei sunniti.
Sulla sua pagina Facebook, grazie alla quale il giornalista organizzava le manifestazioni pro-democrazia, la vittima aveva parlato delle molteplici minacce ricevute. Due mesi prima di morire nel suo appartamento, si era dimesso dal programma radiofonico. Troppo tardi. E ora, la moglie e i tre figli non potranno nemmeno guardare in faccia gli uomini che hanno premuto il grilletto. 

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