La famiglia di Hashem Azzeh vive da generazioni in Shuhada Street, la via chiusa dal 2000 per ordine militare. Circondato da coloni estremisti, Azzeh subisce attacchi quotidiani: aggressioni, confisca di terre, vessazioni. Questa è la sua storia
di Emma Mancini
Hebron (Cisgiordania), 30 aprile 2012, Nena News (nella foto, l’ingresso di Shuhada Street ad Hebron, bloccato da un checkpoint israeliano. Foto: Emma Mancini) – Dalla città occupata di Hebron arrivano quotidianamente notizie di violenze contro la popolazione palestinese, attacchi perpetrati dai circa 500 coloni israeliani e dagli oltre 2.000 soldati presenti. Ma la storia della famiglia di Hashem Azzeh riesce a colpire per la durezza delle condizioni di vita in cui sono costretti a sopravvivere dal 1984.
La loro casa, situata all’inizio di Shuhada Street, è sovrastata da due torrette militari e dai caravan di 35 famiglie di coloni dell’insediamento di Ramati Shay. Tra loro, l’abitazione di Baruch Marzel, leader del Jewish Defence League, considerato tra i coloni più estremisti in tutta la Cisgiordania.
Confisca di terre, raid contro la loro abitazione, pestaggi a donne e bambini, distruzione di alberi da frutto e vessazioni dell’esercito sono all’ordine del giorno. “La mia casa è circondata da sei checkpoint – racconta a Nena News Hashem Azzeh, da anni attivista ad Hebron – e l’originale accesso alla mia abitazione dalla strada principale è stato chiuso. Siamo costretti ad inerpicarci per strette vie sterrate per poter tornare a casa”.
Arrestato innumerevoli volte dall’esercito israeliano, Hashem ha trascorso quasi dieci anni di vita dietro le sbarre di una galera israeliana. Ma la battaglia che sta conducendo da decenni per la sua famiglia non cessa: “Da qui non me ne vado. Resterò nella mia casa fino a quando non saremo liberi. Fino a quando non avremo indietro la Palestina, dal Mar Mediterraneo al Mar Morto, da Haifa a Eilat”.
Shuhada Street (la Via dei Martiri) è considerata la più importante via della città di Hebron: collegando i quartieri centrali di Hebron con quelli a Nord e a Sud, è stata il luogo dei più importanti e vitali servizi della città. Dalla stazione dei bus a quella dei taxi, dal mercato di frutta e verdura ai mulini per il grano, oltre a decine di negozi e alle più vecchie scuole della città.
Dal 2000 Shuhada Street è stata chiusa per ordine militare dall’esercito: a nessun palestinese è permesso l’ingresso, eccetto a coloro che risiedono ancora lungo la via. Nel 2006 l’Alta Corte israeliana ha imposto la riapertura della strada alla popolazione palestinese, ma la strada è ancora chiusa. Nulla è cambiato e quel pezzo di Città Vecchia, cuore commerciale e sociale, si è trasformato in una città fantasma.
Il tutto all’interno del particolarissimo contesto di Hebron: dopo il massacro del 1994 nella moschea di Abramo, quando il fanatico israeliano Baruch Goldstein uccise 29 palestinesi durante la preghiera del mattino, sopraggiunse il Protocollo di Hebron, parte degli accordi di Oslo del ‘94. Così, la città è stata divisa in due: H1, sotto controllo militare e civile palestinese, e H2, sotto quello israeliano. Un caso senza eguali in tutta la Cisgiordania: la stessa città divisa in Area A e Area C.
La Città Vecchia è divenuta così una vera e propria “città fantasma”: in H2, infatti, oltre mille abitazioni palestinesi sono ora vuote, il 41,9% del totale. L’obiettivo dei coloni e delle autorità israeliane è stato parzialmente raggiunto: rendere la vita impossibile ai palestinesi e costringerli ad abbandonare le loro case in centro. Nena News
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