martedì 17 aprile 2012

OBESITÀ GRAVE: CHIRURGIA ‘SALVAVITA’ PER 7000 PAZIENTI OGNI ANNO. “CON LA RETE DEI CENTRI POTREMMO OPERARE 1 MILIONE DI PERSONE”

Milano, 17 aprile 2012 – Il presidente Lucchese: “L’obiettivo è creare un network delle strutture per colmare il divario tra domanda e offerta e permettere al Sistema Sanitario Nazionale di risparmiare grandi risorse”

Vivono un decennio meno della media e costano allo Stato ottantotto miliardi di euro l’anno. Sono gli obesi italiani, circa 6.000.000, il 10% della popolazione: di questi, almeno un milione potrebbe risolvere efficacemente i propri problemi di salute con interventi di chirurgia cosiddetta bariatrica (per ottenere una forte riduzione di peso scongiurandone le ovvie conseguenze). Ma solo poco più di 7000 persone vengono operate ogni anno. La mortalità correlabile all’eccesso di peso rappresenta un serio problema di salute pubblica in Europa, dove circa il 7,7% di tutte le cause di morte è legato a questa condizione, cui viene attribuito ogni anno almeno un decesso su 13. Nel nostro Paese, dove gli obesi sono aumentati del 25% dal 1994, manca una rete di centri a cui questi pazienti possano fare riferimento per essere curati al meglio e con successo, garantendo loro una più alta qualità di vita e meno rischi per le gravi malattie, come il diabete e i disturbi cardiovascolari, che li colpiscono nel 90% dei casi. Gli esperti riuniti nel Congresso nazionale della Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità e delle malattie metaboliche (SICOB), che si svolgerà ad Abano Terme (PD) dal 18 al 20 aprile, chiedono alle Istituzioni di intervenire quanto prima perché la chirurgia bariatrica sia considerata un’operazione salvavita, quindi un investimento e non un costo. “È dimostrato, per esempio, che entro 3 anni dall’operazione - spiega Marcello Lucchese, presidente eletto della SICOB, Direttore della chirurgia bariatrica e metabolica del Policlinico di Firenze - l’intervento chirurgico consente al Servizio Sanitario Nazionale di risparmiare grandi quantità di risorse. È stato calcolato per esempio che in una Regione come la Lombardia, potrebbero essere trattati circa 42.000 pazienti: a fronte di un esborso di circa 233 milioni di euro si riscontrerebbe un risparmio pari a quasi 330 milioni di euro. Vogliamo realizzare un network di centri qualificati dotati delle più moderne attrezzature e di personale qualificato dedicato perché queste persone possano con sicurezza rivolgersi alla struttura più vicina a casa, eliminando il fenomeno della ‘migrazione sanitaria’. Nel 2011 sono stati eseguiti nei centri censiti dalla nostra società scientifica 7214 interventi di chirurgia bariatrica (nel 2008 erano 5974): 4093 al Nord, 1983 al Centro, 880 al Sud e 258 nelle isole. La rete rappresenta un progetto virtuoso di assistenza sanitaria che valorizza le risorse regionali a esclusivo vantaggio del paziente e della comunità scientifica”.

Il metodo più diffuso per misurare l’obesità è l’indice di massa corporea, in inglese Body Mass Index (BMI), ottenuto dal peso (in kg) diviso per la statura (in metri) elevata al quadrato. Il valore limite del BMI per il sovrappeso è 25 e per l’obesità è 30, stabiliti in base al rischio di patologie associate. Un BMI superiore a 40 è indice di obesità grave. “Le nostre linee guida - sottolinea il prof. Pietro Forestieri, presidente emerito della SICOB, Direttore del Dipartimento di Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli - stabiliscono un criterio di BMI minimo (superiore a 40 Kg/m2 o compreso tra 35 e 40 Kg/m2 in presenza di almeno una comorbilità), al di sotto del quale la terapia chirurgica non dovrebbe, in linea di massima, essere presa in considerazione, salvo casi eccezionali ed in Centri multidiscipilinari ad elevati volumi di attività che possano garantire trial clinici controllati. Purtroppo esiste una notevole diversità di trattamento economico tra le varie Regioni e, in genere, gli interventi sono sottopagati. L’attuale sistema dei DRG (il rimborso dei ricoveri ospedalieri) è, nella gran parte dei casi, non solo non remunerativo ma, spesso, non riesce nemmeno a coprire le spese vive dell’intervento e del ricovero. Chiediamo con forza alle Istituzioni sanitarie l’adozione di una remunerazione specifica per ogni intervento, diversificata sulla base dei costi diretti e indiretti, estremamente variabili e facilmente documentabili”.

L’aspettativa di vita nella popolazione severamente obesa è ridotta di 9 anni nelle donne e di 12 negli uomini. Sono molteplici i problemi che i grandi obesi affrontano nella quotidianità: spaziano dall’acquisto dell’abbigliamento adatto, al salire le scale, all’uso dei servizi igienici, fino al poter entrare in un’automobile. Queste persone sono talvolta oggetto di emarginazione sociale e lavorativa. Spesso non trovano un’occupazione, ma non hanno i requisiti per essere considerati invalidi a causa di normative che appaiono anacronistiche. Vi sono casi di giovani che pesano oltre 150 kg, malati obiettivamente, non ritenuti invalidi, ma nemmeno protetti né aiutati socialmente in alcun modo. “A determinare una condizione di obesità – continua il prof. Lucchese - possono contribuire fattori genetici, endocrini e metabolici, ma sicuramente la causa principale è un’eccessiva introduzione di cibo altamente energetico per errate abitudini ambientali o per un disturbo del comportamento alimentare su base psicologica unita ad una carenza di attività fisica che diviene poi, con l’aumentare del peso, sempre più difficile. La frequenza statistica di incidenza dell’obesità in Italia è quasi sovrapponibile a quella degli Stati Uniti. Negli ospedali dovrebbero esserci bilance capaci di misurare oltre i 140 kg e le apparecchiature per la TAC o la risonanza magnetica dovrebbero poter accogliere utenti di peso molto elevato o fuori misura, cosa che al momento non è possibile, anche se il diritto alla salute deve essere garantito a tutti, anche alle minoranze. Di solito l’apparecchio per la TAC può sopportare un peso fino a 150 kg e quello per la risonanza magnetica è troppo stretto per rischiare di farvi entrare un grave obeso”. Oggi in Italia, nella popolazione adulta, la percentuale di persone in sovrappeso è pari al 36,6% (maschi 45,6%; femmine 28,1%), mentre gli obesi sono il 10,6% (uomini 11,6%; donne 9,5%). “Questi dati sono in preoccupante aumento – conclude il prof. Nicola Basso, presidente uscente SICOB, Direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale dell’Università Umberto I di Roma -. Per poter entrare nella rete ogni centro dovrebbe eseguire ogni anno almeno 150 interventi e garantire l’assistenza di un’equipe multidisciplinare, con adeguati mezzi per seguire i pazienti anche nella fase post-chirurgica, particolarmente complessa. Attualmente nel nostro Paese circa 100 strutture rispondono a questi requisiti ma non fanno parte di un network. Grazie alla rete potremmo operare un maggior numero di persone. Esiste infatti un enorme divario tra domanda ed offerta di terapia, a cui si somma un atteggiamento da parte di alcune Regioni di ostacolo alle richieste di aumento dell’attività chirurgica. È necessario cambiare la percezione del nostro operato da parte dei cittadini: non stiamo parlando di interventi estetici ma di una chirurgia potenzialmente salvavita per un milione di italiani”. 

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