di Carlo Musilli
Mentre nelle procure italiane va in onda la tragicommedia dei tesorieri mano-lesta, i maggiori partiti cercano un accordo lampo per salvare faccia e portafogli. E' stata una Pasquetta di telefonate febbrili quella di Angelino Alfano, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini, ma alla fine l'accordo è arrivato. Entro domani i tecnici di Pdl, Pd e Terzo Polo metteranno a punto alcune "norme ugenti - come si legge in una nota dei berluscones - per il controllo e la trasparenza del finanziamento pubblico ai partiti". Dopo di che, "nella giornata di giovedì - prosegue la nota - le norme potranno essere presentate alle altre forze parlamentari per una comune valutazione". Si discuterà poi su quale sia "il percorso di approvazione più efficace e rapido".
Finora, i progetti in cantiere non prevedono affatto di ridurre l'entità dei finanziamenti, ma semplicemente di disciplinare le regole di democrazia interna ai partiti - dando finalmente attuazione all'articolo 49 della Costituzione - e di riformare i controlli, che probabilmente saranno affidati alla Corte dei Conti. Come corollario, dovrebbe arrivare anche una restrizione: i partiti potranno investire la loro liquidità solo in titoli di Stato italiani. Niente più traffici in Tanzania o a Cipro. Quasi certamente il nuovo provvedimento sarà discusso dalle commissioni "in sede legislativa".
Tecnicamente, questo vorrebbe dire saltare i passaggi alle Camere e arrivare all'approvazione in tempi record. Si fa per dire, visto che nel 1993 un referendum promosso dai Radicali stabilì che gli italiani chiedevano a gran voce la totale abolizione di questi finanziamenti. Il risultato di quella consultazione è stato vergognosamente ignorato per anni e, ad oggi, le proposte di legge paludate in Parlamento sono addirittura una quarantina (ma la maggior parte è arrivata dopo l'esplosione del caso Lusi).
Perché allora tanta fretta proprio adesso, dopo quasi un ventennio di melina? L'improvvisa solerzia è quantomeno sospetta. In realtà, l'unità d'intenti trovata dal trio ABC sembra avere un duplice scopo, quanto mai bipartisan: recuperare credibilità agli occhi degli elettori e allo stesso tempo evitare di ritrovarsi con meno soldi del previsto - o con troppi controlli - nei prossimi anni. Gli scandali legati alle gesta dell'ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, e al suo compare di marachelle leghista, Francesco Belsito, hanno creato grane in entrambi gli schieramenti. Si parla di un fiume di soldi pubblici usato allegramente per scopi personali, senza che nessun esponente delle varie formazioni abbia mai battuto ciglio. Un silenzio durato anni e che si può spiegare solo in due modi: disonestà o sprovvedutezza. In entrambi i casi sarebbe legittimo che i cittadini pretendessero un'epurazione trasversale in Parlamento.
E' vero, gli italiani sono un popolo dalla memoria corta, e in altre circostanze i partiti avrebbero potuto come sempre giocare la carta dello sdegno estemporaneo per poi piazzare la sconveniente riforma su un convenientissimo binario morto. Oggi però è diverso. Tra meno di un mese ci sono le amministrative, quindi al momento é nell'interesse di tutti fingersi profeti del rinnovamento, o meglio della "pulizia", per arrivare alle urne con qualcosa di concreto da sottoporre agli elettori. Vedremo se sarà solo un contentino; certo è che ora somiglia molto a una giustificazione firmata dalla mamma per non aver fatto i compiti a casa.
C'è poi un altro dato politico di cui tenere conto. In tempi di governo tecnico, i partiti non possono più permettersi il lusso di temporeggiare ulteriormente sulla riforma dei finanziamenti pubblici a loro destinati. Se non ci pensassero loro, dovrebbero farlo i beneamati bocconiani, che a loro volta hanno una credibilità da difendere. Difficile chiedere al Paese di sopportare le riforme lacrime e sangue varate negli ultimi mesi e poi chiudere gli occhi di fronte a una dispersione così svergognata dei soldi dello Stato.
Il ministro della Giustizia, Paola Severino, si era detta pronta "ad intervenire sul tema, fornendo il proprio contributo tecnico non appena il Parlamento e i presidenti di Camera e Senato lo avessero richiesto”. In questo caso però il provvedimento sarebbe arrivato attraverso l'ennesimo decreto o - peggio ancora, a livello d'immagine - mediante un emendamento al Ddl anticorruzione. I partiti avrebbero così dimostrato definitivamente la propria totale subalternità al governo dei professori. Ma, soprattutto, avrebbero consentito ai tecnici d'immischiarsi nei propri affari di cassa.
Una prospettiva inaccettabile, perché da questa nuova legge dipende la florida sopravvivenza della politica italiana nei prossimi anni, quando i rigidi montiani saranno solo un ricordo. Una pagina ingiallita e archiviata della nostra storia. Un po' come quella del referendum del '93.
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