sabato 12 giugno 2010

L'ACQUA NON SI VENDE E NON SI RUBA NE' IN ITALIA NE' IN AFRICA



Presidio di fronte al Ministero Affari Esteri




Il ministro Frattini vuole finanziare la diga Gibe III in Etiopia con 250 milioni di euro



FERMIAMOLO!


MARTEDI' 15 GIUGNO ORE 15.30
PRESIDIO DAVANTI IL MINISTERO AFFARI ESTERI
Piazzale della Farnesina


Questa potrebbe sembrare la storia di un progetto di cooperazione qualunque. Ma non lo è. Qualcuno lo chiama sviluppo. Per altri si tratta solo d’affari. Altri ancora ne hanno fatto una battaglia di civiltà. Per qualcun altro, infine, è una pura questione di sopravvivenza.

La storia comincia nel 2004 quando la DGCS approva il più grande credito d’aiuto mai concesso prima dalla cooperazione italiana, 220 milioni di Euro per la costruzione dell’impianto idroelettrico Gilgel Gibe II in Etiopia.

I lavori, già iniziati, sono stati assegnati dal governo etiope ad una nota azienda italiana senza gara d’appalto e sulla base di studi ambientali giudicati parziali dal nucleo di valutazione tecnica della stessa direzione generale.

Il ministero dell’Economia e delle Finanze esprime un parere sfavorevole anche perchè l’Italia è in procinto di cancellare all’Etiopia un debito pari a 320 milioni di euro e non appare coerente reindebitare gravemente il paese. Nonostante le valutazioni negative dei tecnici il progetto viene misteriosamente approvato. Su tale mistero ha indagato anche la procura di Roma fra il 2006 ed il 2007, che in poco tempo ha archiviato l’inchiesta. Sulla vicenda cade uno strano silenzio. A gennaio del 2010 l’impianto viene inaugurato alla presenza del ministro Frattini e delle autorità etiopi. Due settimane dopo, il tunnel infrastruttura principale dell’impianto, crolla. Ad oggi l’impianto non è ancora in grado di produrre energia elettrica.

Ma facciamo un salto indietro. Nel 2006 la nota azienda italiana firma un altro contratto con il governo etiope. Questa volta si tratta di una mega-diga sullo stesso bacino, poco più a sud dell’altro. Si chiamerà Gilgel Gibe III e sarà una delle più grandi dighe africane. Anche questo contratto è assegnato senza gara ed i lavori iniziano senza studi di impatto e senza i necessari permessi ambientali. Tutto procede per il meglio, fino a che alcune ONG durante una missione in Etiopia realizzano quello che sta veramente accadendo. Un mega sbarramento di 240 metri in una delle zone a più alta diversità culturale e biologica dell’Africa. Quindici comunità indigene che vivono grazie alle piene naturali di un fiume vedono minacciata la loro sopravvivenza. Un lago desertico, il Turkana, nel vicino Kenya che rischia di ridursi drasticamente compromettendo la pesca locale, unica attività produttiva della regione. Un governo repressivo che arresta chiunque esprima dissenso e chiude tutte le associazioni di comunità. Il silenzio è rotto e la società civile internazionale lancia una campagna per fermare il progetto. I finanziatori tentennano, riconoscono la necessità di rifare gli studi di impatto ambientale e sociale. Ma il governo Etiope va avanti da solo e cede un pezzo di progetto ad una società cinese in piena campagna elettorale per dimostrarsi vincitore di quello che ormai è diventato un braccio di ferro internazionale.

Ed eccoci qui, a Piazzale della Farnesina, dove l’Italia ambisce a fare affari con regimi dalla scarsa caratura democratica, con i nostri soldi, in un momento in cui viene varata una manovra finanziaria con tagli drastici alla spesa pubblica, per un progetto che non ha niente a che vedere con lo sviluppo ma, al contrario, affamerà ed incrementerà la povertà di mezzo milione di persone.

250 milioni di Euro è il prezzo che il nostro ministro vuole farci pagare per non far perdere il contratto alla nota azienda italiana. Perché? A giudicar dai fatti la motivazione non può esser certo quella di aver bene operato. Ad ognuno il compito di cercare la risposta.

In attesa di trovarla potremmo scrivere le fine di questa storia insieme. Una storia di discutibili alleanze politiche ed economiche che riescono a dettare legge nel nord e nel sud del mondo, continuando ad imporre un modello di sviluppo che i fatti hanno già dimostrato essere sbagliato. Una storia dove i perdenti sono sempre gli stessi: i più deboli e marginalizzati. Una storia di cittadini il cui rispetto ed opinione sono quotidianamente calpestati da una politica arrogante e assolutista.

Ma la storia si cambia anche con battaglie simboliche. Questa è una di quelle battaglie.

Fonte: acquabenecomune. org



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